Leonard Cohen indimenticabile sul palco del Summer Festival

di Paolo Ceragioli
LUCCA - Pietra miliare nella storia del Summer Festival, il concerto di Leonard Cohen è stata un'esperienza incredibile, esaltante, indimenticabile. Domenica sera, 27 luglio,in una serata afosissima, il grande poeta-cantautore canadese ha incantato gli oltre cinquemila fans accorsi in piazza Napoleone, tenendoli inchiodati alle loro sedie per tre ore. Settantaquattro anni sulle spalle ma classe, fascino e tante cose ancora da dire e insegnare a tutti. Parterre vip della grandi occasioni: oltre al sindaco Mauro Favilla, all'assessore alla cultura Letizia Bandoni e al presidente della Provincia Stefano Baccelli, il presidente della Regione Claudio Martini, il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, Beppe Grillo, Biagio Antonacci e il solito ex-arbitro, oggi designatore, Pierluigi Collina.
A sensazione, "a caldo", quello di Leonard Cohen è stato il più bel concerto mai visto al Summer. Tante le ragioni: l'eccezionalità di un tour dopo quindici anni di assenza dalle scene, l'età dell'artista canadese, ma soprattutto un carisma, una freschezza d'espressione e di proposte che lasciano ancora oggi stupefatti. Quasi tre ore di musica, tanto per cominciare. Il via alle 21,30, puntualissimo, mentre la gente doveva ancora in parte accomodarsi in platea, secondo il solito malcostume che vuole che si arrivi, tutti insieme, dieci minuti prima dell' inizio: all'estero, questi bei campioni sarebbero stati lasciati fuori. In gilet, con cravatta americana e cappello nero, quest'ultimo subito tolto in segno di saluto, Cohen sorride e inizia il set con la mediterranea "Dance me to the end of love", ma questa specie di valzer è solo un assaggio dell'epopea dell'amore, che il grande canadese ha alternato a un chiaro impegno sui temi del sociale e anche poiltico. E "The future" è una lucida visione dell'umanità prossima ventura ("Ho visto il futuro ed è assassinio". L'alternanza dei temi è la colonna portante dello spettacolo: "Ain’t no cure for love", "Bird on the wire", uno dei classici più amati dal suo pubblico (e si sente); poi "Everybody knows", "In my secret life" e "Who by fire", aperta dall'assolo di chitarra flamenca di Javier Mas. Chiudono la prima ora di show la toccante "Hey, that's no way to say goodbye" e "Anthem". La voce chiara e profonda di Cohen è davvero in gran spolvero e la band mantiene un tono medio perfetto, al quale i cori e l'organo hammond danno un impronta soul-gospel abbastanza "nera". Dopo un quarto d'ora si riparte con "Tower of song", uno dei brani più ripresi dai rockers di oggi (cercate la cover di Nick Cave!) e sulla quale Cohen, sul coro finale trova il modo di scherzare: "Credo di aver capito oggi qual è la chiave della vita, dopo anni di studi, di ricerca e di filosofia... Volete saperlo? Ta doo run run.... Eccolo!". Poi imbraccia la chitarra per "Suzanne" ed è un boato. Con "Gypsy wife", ancora Javier Mas con la bandurria, mandolino spagnolo elettrificato e "Boogie Street" con Sharon Robinson a far sentire la sua voce. Arriva "Hallelujah" e Cohen si inginocchia per questa meravigliosa preghiera (che Jeff Buckley interpretò con l'anima) che tutti cantano in coro e dove domina l'hammond di Neil Larsen. Da sottolineare però anche la poliedricità dell'ottimo Dino Soldo, da Cohen presentato come "Master of wind", che ha suonato da ottimo solista dall'armonica al sax, dal clarinetto a uno strumento elettronico dal suono somigliante alla fisarmonica. Tutti in piedi e si riparte con "Democracy", altra frustata verso quei potenti che si arrogano di questa parola per giustificare i propri interessi (leggi USA).La sempre splendida "I'm your man" e "Take this waltz", che chiude il cerchio "danzante" iniziato con "Dance me...", portano a fine set, dopo un'altra ora di musica, con la platea ormai in piena esaltazione, compresi i tanti vip in tribuna. E siamo ai bis: "So long Marianne" è un altro boato, ma ormai la gente è in piedi e "First we take Manhattan" la colpisce come un rasoio. Qui Cohen sembra davvero un giovane rocker alla conquista del mondo. Esce e poi rientra, con qualche passo di corsa ed ecco "Sister of mercy" e poi "If it be your will", altra preghiera affidata al coro delle due sorelle Webb e "Closing time", giusta chiusura (così sembrerebbe) della serata. E invece, c'è ancora tempo per "I tried to leave you", sull'ineluttabilità dell'amore e il coro "a cappella" di "Whither thou Goest", altro momento spiritualmente altissimo. Stavolta è finita davvero. La gente se ne va, con la consapevolezza di aver partecipato, stavolta, a un vero evento. E un gruppo di giovani, verso l'uscita, ancora canta "Hallelujah"...
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