La promessa dell'assassino: sequel in arrivo?

Pare che David Cronenberg stia seriamente pensando di realizzare un sequel del cupo e violento La promessa dell'assassino, thriller uscito nel 2007 e interpretato da Viggo Mortensen, Vincent Cassel e Naomi Watts che ha incassato 56, 1 milioni di dollari al box office mondiale.Il regista canadese, in un'intervista, spiega infatti che la produzione del progetto si sta avviando e sono tutti entusiasti all'idea di tornare a lavorare su un soggetto così interessante. Sembra certo il ritorno del protagonista Mortensen, che per il ruolo del truce Nikolai ha ricevuto una nomination all'Oscar come miglior attore protagonista, e anche di buona parte della crew, dallo sceneggiatore Steven Knight al produttore Paul Webster e allo studio che tornerà a finanziare il sequel, la Focus Features."A breve incontrerò Steve Knight e Paul Webster per discutere lo sviluppo della sceneggiatura di questo nuovo capitolo" ha aggiunto Cronenberg. "Ho moltissime idee su ciò che vorrei vedere nel film, ma voglio prima sentire le opinioni dei miei collaboratori. So già che se il progetto andrà in porto Steve scriverà un bellissimo script. Se convincerà tutto l'entourage, allora realizzeremo il film".

Juno Awards, dominano i Nickelback

I Nickelback, uno di quei gruppi dei quali non si parla molto ma i cui risultati di vendita sono comunque eccellenti, hanno fatto incetta di premi ai Juno Awards, i riconoscimenti dell'industria discografica canadese. La band, il cui ultimo album "Dark horse" è ancora nella Top 10 USA a 18 settimane dalla pubblicazione, alla trentottesima edizione dei Junos ha guadagnato il "Group of the year", l'"Album of the year" ed il "Fan choice honor". La band è anche intervenuta live al GM Place di Vancouver e ha eseguito "Something in your mouth". Kardinal Offishall di Toronto si è aggiudicato il premio "Best rap recording of the year", Sam Roberts di Montreal l'"Artist of the year", Alanis Morissette il "Best pop album" per "Flavor sof entanglement", la cantautrice Lights il "Best new artist". La sola categoria aperta ai non-canadesi, quella per il miglior album internazionale, ha visto affermarsi "Viva la vida" dei Coldplay

Valeria Golino, ostinazione e talento

di Goffredo Fofi
IlFestival del cinema europeo di Lecce che si svolge dal 31 marzo al 5 aprile mi chiese due o tre anni fa di scrivere su Lucia Bosè per un libro sull'attrice e, soddisfatti del risultato, mi hanno chiesto mesi fa di contribuire anche alla rassegna che preparavano su Valeria Golino. Ma questa volta non sono stati soddisfatti del mio articolo, e me lo lo hanno respinto giudicandolo troppo critico mentre io pensavo di avere esagerato nella direzione contraria! Continuando a considerare la Golino come la nostra migliore attrice cinematografica, tengo a far conoscere questo testo ai lettori del Messaggero, lasciando che siano loro a giudicare dell'attendibilità o meno delle mie opinioni e di questo curioso caso di censura, comprensibile soltanto se si pensa che tanti intendono oggi il lavoro del critico come informazione o propaganda e come spaccio di elogi superlativi per tutti.
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Sembra, nel cinema italiano contemporaneo, che il tempo si sia fermato nei primi anni ottanta e non si sia più rimesso in moto: un eterno presente senza storia, senza passato, senza futuro. “Datare” un film a questo o a quell’anno è diventato, nella mia memoria ma mi pare in quella di tutti, un’impresa quasi impossibile, soprattutto se non è legato a qualche accadimento che ricordiamo come importante: quella volta che mi successe questo o quest’altro, che X mi ha lasciato o che mi sono messo con K, l’anno delle Due Torri, l’anno di Berlusconi, l’anno di Prodi… Di per sé, un film non richiama più un’epoca, non segna un qualche passaggio mentre un tempo era facilissimo collocarlo, prima o dopo un altro titolo. Tutto cambia in continuazione eppure nei nostri film niente cambia, tantomeno il loro linguaggio. Sembrano tutti sotto una campana di vetro, gli autori e i personaggi dei nostri film, e letteralmente non respirano. C’era un’evoluzione del costume, e c’era, a certificarcelo, un’evoluzione dei modi di raccontare e dei personaggi centrali. Poi si è assistito a un lungo e noioso crepuscolo per quella che fu l’arte del secolo (il Novecento), in cui si concentrarono i sogni, le illusioni, le speranze, le fantasie dei popoli del mondo. Possiamo datare gli anni d’oro di questa peculiare forma di spettacolo del Novecento – come fenomeno della cultura di massa, come trasferimento della cultura popolare in quella “dell’epoca della riproduzione tecnica” delle opere – e sono quelli che vanno dalla fine della prima guerra mondiale agli anni di restaurazione che seguirono ai movimenti e alle lotte degli anni sessanta, sconfitti dentro i settanta. (Una “vera storia” del cinema italiano cominciò però soltanto con il sonoro e con le prime opere di Camerini e Blasetti.) Dalla fine dei settanta, dai primi anni ottanta in Occidente bastò al potere, per poter governare, di manipolare le coscienze con tutto il peso del consumo e soprattutto con quello del consenso e delle sue imposizioni “pubblicitarie”. L’autonomia sociale della produzione cinematografica e più in generale della cultura di massa, la loro rispondenza alle domande e ai bisogni di una collettività, la sua “democrazia” svanirono. Non c’era più la possibilità di un dialogo tra un pubblico e la sua arte, di una “comunicazione”: il pubblico doveva soltanto venir coperto da offerte teleguidate, prevedibili e omologate. Il cinema offrì da allora – risucchiati i generi dalla televisione – soltanto effetti speciali oppure blande storielle sentimentali: comuni, ovvie, miserabili. Guardiamo al cinema italiano in particolare. Esso aveva abbandonato ogni ambizione al superspettacolo e, dopo la morte dell’ultimo suo grande, allo sbalordimento; vi erano malinconicamente silenti Antonioni Lattuada Comencini; erano logorati dal burocratismo partitico-sindacale e non avevano niente dell’autore con la maiuscola gli Scola e i Maselli con la loro generazione di finti impegnati “di sinistra”; vi erano ambiziosamente solitari ma scontando l’incapacità di capire il tempo in cui agivano e di parlare per i molti, i Bellocchio e i Bertolucci, più frenetico e approssimativo nelle sue idee il primo, più cauto ma più estenuato il secondo; ed erano sprofondati nelle astuzie del narcisismo i Moretti e i Benigni; e presto recuperati nelle pastoie di Roma gli autori partiti dalla provincia e dal margine, perché le leggi del cinema erano romane e corporative e bruciavano ogni ansia federalistica e ogni impulso nuovo venuto dalle cosiddette periferie – e sarebbe stata questa una possibile via d’uscita creativa, per quanto transitoria, alla crisi delle ispirazioni, delle idee. E non essendoci infine personalità creative eccelse, come ce ne sono peraltro poche nel mondo (i nomi? Cronenberg e Lynch, Kaurismaki e Tsai Ming Liang, e meno di una dozzina d’altri di sicura tenuta), se si escludono per un certo arco di anni i nomi Amelio e, fuori dal “sistema” ufficiale, quelli dei geniali e non reggimentabili Ciprì e Maresco, si rimaneva con le caute speranze di qualche “nuovo” (come Garrone, Munzi, Mereu, pochi altri) ben sapendo che avrebbero avuto vita difficile in un “mondo del cinema” e in una paese-Italia scoppiati e confusi, ipocriti e amorali e ruffiane, e il cinema in particolare privato d’ogni vera necessità. In questo quadro nero o quantomeno assai grigio, cosa rimaneva da fare, per un’attrice volenterosa, appassionata, disponibile, intelligente e veramente dotata come Valeria Goliono? Cogliere le occasioni, arrabattarsi, fare il possibile, lavorare il più possibile, e per lavorare non dire no a quasi nessuno… Azzardare – in una continua rimessa in discussione non delle proprie potenzialità espressive ma della loro possibile messa a frutto. Di rischi ella ne ha corsi tanti, di risultati di cui gloriarsi non ne ha allineati tantissimi ma pure ce ne sono: i suoi tonfi li ha fatti e sofferti, ma alla fine la sua scommessa l’ha vinta, e continua anzi a vincerla. E allora: una partecipazione poco straordinaria qua e un ruolo da protagonista là, un film velleitario qua e un film riuscito là, i film si sono ammucchiati, spesso assomigliati e confusi. Perlopiù non hanno fatto e non fanno Storia, ma sono tanti, e la prestazione professionale della nostra attrice vi è stata, in genere, più che decorosa e a volte pienamente soddisfacente. Salvo, si direbbe, quando la convinzione e l’entusiasmo, dopo qualche giorno di lavorazione, se ne scendevano a zero. Ma come si fa a distinguere prima, sulla carta o anche sulla conoscenza diretta di un regista che magari parla e si presenta bene e si rivela poi uno sbruffone, quale ruolo e quale film val la pena di accettare e quale no, su quale ruolo puntare davvero tutte le proprie carte, le proprie energie? Non si vuole infierire, e dunque non si elencheranno della quarantina di lungometraggi girati da Valeria Golino in poco più di vent’anni quei titoli veramente dimenticabili, o addirittura imbecilli, siano essi nazionali o internazionali. Formano una parte consistente della sua filmografia, ma non è per quelli che Valeria Golino viene e verrà ricordata dagli spettatori e da noi. E’ per quelli non eccelsi ma spesso decorosi (gli autori? Del Monte, Archibugi, Campiotti, Ozpetek, Paravidino eccetera) che fanno parte di una poco variata ninna-nanna sentimentale e buonistica, pseudorealistica del cinema nazionale di maggior voga – film “senza Storia” per la fissità e noia dei problemi che la piccola borghesia benestante occidentale e in particolare italica in essi deve affrontare: la famiglia, la coppia, il cancro, il precariato, i soldi, i più ricchi di noi, la fine delle amicizie e delle illusioni di gioventù, la confusione sessuale, i figli, gli immigrati, la politica (non oltre il quartiere), e quando va proprio male la droga, soprattutto la droga se si elencano le volte che Valeria Golino ha dovuto averci a che fare nei film in cui ha recitato… In questo cinema mai si allarga e mai si scava, sembra anzi che farlo sia vietato. Non ci si ferma a pensare molto a lungo, nel cinema italiano. E si racconta allo stesso modo da decenni, seguendo osceni manualetti di sceneggiatura paratelevisivi e americani o gli insegnamenti paratelevisivi del Centro Sperimentale di Cinematografia, che andrebbe onestamente ribattezzato Centro Antisperimentale di Preparazione alla Fiction Televisiva. Parliamo dunque dei film – o meglio: delle interpretazioni più notevoli di Valeria Golino, e distinguiamo tra loro, lodando solo quando c’è da lodare. Elenco dunque quelle che io considero le sue prestazioni più esemplari, per soffermarmi sulle migliori. E confesso senza vergogna di non aver visto tutti i suoi film. La scoprii e mi piacque in Figlio mio, infinitamente caro (Orsini 1985), in un ruolo sgradevole se mai ve ne furono, di mezza-puttana divisa tra un padre, un figlio e, se ben ricordo, di già la droga… Non mi piacque affatto in Storia d’amore di Maselli, due anni dopo: eccessiva, magnanesca, mal diretta. (E mi irritò sentirle dire in televisione in una delle solite spompate feste di famiglia del cinema romano Dèvid invece che David: tornava fresca dagli Usa).Se la cavò bene in Paura e amore, moscio adattamento cechoviano della fiacca von Trotta, a fianco della Ardant e di Greta Scacchi, ma il film addormentava. Fu pessima e falsa come tutti i suoi colleghi nel pessimo e falso Puerto Escondido di Salvatores. Fu sveglia e commossa nel piccolo melò di famiglia di Campiotti Come due coccodrilli. Fu ottima, convincente perché convinta, in Le acrobate di Soldini, dove divise con Licia Maglietta la piccola gloria di due bei ruoli femminili (è una collega bella e brava come lei, Licia Maglietta, che nel film era la donna borghese) infine credibili e non da letteratura neo-rosa alla moda femminile. Vi fu proletaria e tarantina senza coloriture e senza ricatti, vi fu bella e commovente. L’anno dopo (1998) eccola in L’albero delle pere di Francesca Archibugi, ancora drogata ma stavolta con un figlio – e cominciò qui la sua avventura di attrice che ha avuto partner bambini o adolescenti più bravi e in ruoli più veri dei suoi colleghi adulti… E dello stesso anno è un film sfortunato e rigoroso, un film di vera regia, L’inverno di Nina Di Majo, una triste partita a quattro tra borghesi infelici. Anche qui aveva a fianco un’attrice assai brava, Valeria Bruni Tedeschi, in una delicata interpretazione sottotono, nel ruolo di una insicura e nevrotica donna di oggi e proprio di oggi, a quasi mezzo secolo dalla trilogia di Antonioni. Si passa infine, con molti salti, trascurando film e ruoli di buona professionalità ma di sostanza povera, alla sua interpretazione più celebrata e sinora, forse, la migliore, in Respiro di Crialese (2002), sintesi e summa delle sue qualità ma anche con qualcosa di pericoloso nella definizione di un personaggio dal sottile discrimine tra accettazione e rivolta, o meglio: follia. E’ con Crialese e nel successivo La guerra di Mario di Antonio Capuano, in un ruolo simile e opposto – simile per il racconto delle difficoltà nell’assunzione di responsabilità di una madre o di una che vuol essere madre, che entrano in conflitto con le responsabilità o i doveri, anche presunti, della moglie – che Valeria Golino ha dato la misura delle sue capacità di attrice ormai pienamente e splendidamente “adulta”: unica nel panorama nazionale in mezzo a tante bellone di cera e silicone, rimasticate e rifatte, incapaci di partecipazione e di azione, pseudoborghesi o pseudopopolane ma ugualmente piccoloborghesi, e a tante frigide madamine che reprimono ahinoi la loro vena di isteria, e a giovani veline capaci di tutto fuorché di mettere a frutto dei talenti nascosti, di quelli che la provvidenza elargisce a caso a ognuno, invece che le loro effimere doti fisiche. In altri tempi, in altri contesti, Valeria Golino sarebbe diventata un’attrice di più grandi chances, ma questo non è più tempo di Dive e neanche di Attrici. Che ella sia riuscita a difendere una sua figura di attrice vera, generosa e sensibile, e a darci ottime interpretazioni nei pochi bei ruoli offerti alle attrici in questi anni dominati da maschi innamorati solo di sé, è un merito davvero grande. Che sia da tempo la nostra migliore attrice è un suo risultato, una sua conquista. Che abbia saputo imporre un personaggio femminile fatto di inquieto rifiuto dei luoghi comuni e di insoddisfatta volontà di essere vera, in un mondo dove è il falso a regnare e alla donna toccano, peggio di ieri, ruoli chiusi e falsi nella vita come nella finzione, ruoli pesanti e castranti e dai quali è difficilissimo uscire, tutto questo è un merito soprattutto suo. E qui stanno la sua originalità e la sua bellezza. Tutto questo Valeria Golino non lo deve, oso dire, né ai cineasti che l’hanno cercata né al pubblico che l’ha seguita (forse senza mai davvero amarla, tanto poco ha concesso ai pregiudizi e alle richieste di consolazioni facili e sciocche), né tanto meno alla critica. Non basta essere bravi, in questo nostro cinema, in questo nostro contesto; bisogna anche essere molto esigenti verso se stessi e verso gli altri, e persuasi e rispettosi del proprio talento e delle proprie possibilità. Valeria Golino deve tutto alla propria ostinazione e al rispetto, rarissimo, per i propri talenti e per la professione che si è scelta, per la quale si è sentita chiamata.
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=52809&sez=HOME_CINEMA

Elio Germano e Luca Argentero ne "La Vita", il nuovo film di Daniele Lucchetti

Luca Argentero e Elio Germano saranno i protagonisti del nuovo film di Daniele Luchetti dal titolo La vita
Luca Argentero e Elio Germano sono stati scelti per partecipare al nuovo film di Daniele Luchetti, che si intitolerà La Vita. A dare la notizia è stato il quotidiano Il Messaggero. Elio Germano torna così a lavorare col regista de I piccoli maestri.
L’attore de Il passato è una terra straniera era stato infatti protagonista insieme a Riccardo Scamarcio dell’ultima pellicola di Lucchetti, Mio fratello è figlio unico, che raccontava la storia di due fratelli, molto diversi in tutto, uno fascista e l’altro comunista, uno moderato e l’altro estremista, uno chiuso nell’ortodossia di un’deologia, l’altro disponibile a ammorbidire la propria visione del mondo. Chissà quali saranno i ruoli che vedranno insieme Elio Germano, che sarà tra i protagonisti di Nine, il nuovo musical del regista Rob Marshall, e Luca Argentero, tra i volti emergenti del cinema italiano. Lo scopriremo presto…
http://www.vivacinema.it/articolo/luca-argentero-ne-la-vita-il-nuovo-film-di-daniele-lucchetti/7725/

Cohen, nessun pentimento

«Quando mi dicono: pentiti/ Mi domando cosa vogliano dire». Comprensibile lo stupore di Leonard Cohen mentre canta «The future»: di cosa mai dovrebbe rammaricarsi questo artista canadese arrivato a superare i 70 anni e capace ancora di eseguire in maniera eccellente il suo repertorio dal vivo? Di questa vitalità e della modernità delle sue composizioni, è testimone il dvd e doppio cd «Live in London». Le registrazioni sono tratte dal concerto che Cohen ha tenuto con la sua band alla 02 Arena di Londra, lo scorso 17 luglio. Per il cantautore e romanziere canadese si è trattato di un ritorno, visto che mancava dal palcoscenico da almeno 15 anni. «Siamo onorati di suonare per voi stanotte», confessa Cohen al pubblico londinese, prima di ammettere che sono passati diversi anni dall'ultima volta che si è esibito dal vivo nella capitale inglese. «Era il 1994 - scherza lui - ed ero solo un ragazzino di 60 anni con un sogno folle». Il ritorno del grande Leonard all'attività concertistica è stato accolto lo scorso anno con entusiasmo: le cifre parlano di 700.000 biglietti venduti per gli 84 concerti del tour.«Live in London» funziona anche come greatest hits, visto che ripercorre tutta la carriera di un artista non solo benedetto dal dono di una voce cupa, profonda e calda ma anche acuto autore di liriche entrate nella storia della musica leggera. Tra amore sacro e amore profano, tra le delizie della carne («I'm your man», «Ain't no cure for love») e la passione per le Scritture («Hallelujah», «Whither thou goest»), Cohen soprattutto in concerto, accompagnato da un coro femminile, mette in scena la dicotomia - ascesi e godimento - presente nella sua scrittura, forse l'elemento che dà modernità alla sua arte.Ogni nuova generazione, dagli anni '60 in poi, riscopre il proprio Cohen ma il cantautore/ performer che forse meglio ne ha capito le spinte opposte e le contraddizioni lancinanti è stato Jeff Buckley. Così possiamo dire che, se oggi il grande saggio Leonard è ascoltato anche dai ventenni, lo si deve alla versione celestiale di «Hallelujah» che ne diede Jeff nel suo primo e ultimo album realizzato in vita, «Grace». Questo brano, cantato dal suo autore nel secondo cd di «Live in London», rimane un capolavoro senza tempo, tanto che è rientrato in vetta alle classifiche inglesi nel marzo del 2008, riscoperto dal reality «American idol», e poi ripreso nella colonna sonora della serie americana per teenager «One tree hill». Lo scorso Natale c'erano 3 versioni del brano nella top 40 inglese: quella della vincitrice di «X Factor» versione britannica, quella di Buckley e poi quella di Cohen stesso. Che il suo fascino, anche vocale, sia rimasto immutato lo dice anche il calendario dei prossimi concerti: il 17 aprile sarà in California, al Coachella Music Festival, la rassegna più «cool» del mondo.
G.BR.
http://www.larena.it/dossiers/Temi%20Continuativi/59/149/41309/

Madonna in Malawi per adottare una bambina

29 marzo 2009 - La pop star americana Madonna è giunta nel Malawi per depositare in tribunale la richiesta relativa all'adozione di Mercy James, una bambina di quattro anni che potrebbe entrare a far parte della famiglia Ciccone.Foto: la cantante visita il villaggio Chinkhota con la figlia Lourdes Maria.(Credits: AP)
http://gallery.panorama.it/gallery/madonna_in_malawi_per_adottare_una_bambina/165236_madonna_in_malawi_per_adottare_una_bambina.html#defloater

Amy: "Con la droga ho chiuso. E ora rivoglio mio marito"

Dopo tre mesi di Caraibi, Amy Winehouse è tornata a Londra. Ha preso casa a Barnet, North London, a un tiro di schioppo dai genitori e lontano dalla folla dei paparazzi, e si è rifatta la stessa pettinatura cotonata di sempre - è il suo marchio - abbandonata in vacanza. Ha annunciato anche il suo grande ritorno sulle scene dal 26 maggio a Londra, anche se i guai sono più tenaci dei paparazzi e seguono Amy ovunque vada. Denunciata per aggressione a un fan, si è discolpata giorni fa in tribunale, mentre restano irrisolti i problemi coniugali col marito Blake Fielder-Civil. Amy cosa l'ha portata a Santa Lucia, l'isola caraibica? "Volevo prendermi una bella pausa al sole. Volevo mangiare bene e rimettermi fisicamente così ho scelto un bellissimo albergo con una spiaggia stupenda e un centro benessere. Ogni giorno sceglievo un trattamento, sauna, massaggio con le pietre calde e poi facevo yoga , nuotavo in mare oppure giocavo a tennis anche se non sono bravissima". Circolano foto di lei al trapezio "Be', la gente non sa che prima di arrivare al successo andavo sempre in palestra, quindi non è difficile per me riprendere l'allenamento fisico. Mi piaceva fare esercizio al trapezio sul prato davanti al bar dell'hotel. Tutti i pomeriggi alle quattro ci alternavamo al trapezio sotto la guida di un istruttore. Serve concentrazione ma è un esercizio completo che tonifica i muscoli della parte alta del corpo". Davvero ha smesso con la droga? "Sì, del tutto. Da quando sono andata ai Caraibi non mi faccio più di eroina né di crack e sto molto meglio. Gli alcoolici erano inclusi nel prezzo dell'hotel e qualche sera ho bevuto un paio di drink, ma non c'è niente di male in vacanza". Com'è la situazione tra lei e suo marito a questo punto? "Amo ancora Blake, moltissimo, e voglio che venga a vivere con me nella casa nuova. Non gli permetterò di divorziare da me perché lui è me al maschile, siamo perfetti l'uno per l'altra. Ok, mi sono divertita un po' con un bel tipo a Santa Lucia, ma era una cosa da vacanza, voglio solo Blake, nessun altro. Non volevo tornare in Gran Bretagna finché lui era in cella perché c'erano troppe negatività in giro. Mi sarebbe piaciuto portarlo con me a Santa Lucia perché ci siamo stati in viaggio di nozze e so che adora quel posto. Vedremo". Come mai una nuova casa? "Volevo ricominciare da zero in un posto nuovo, lontano dal centro di Londra, dove è troppo facile per i paparazzi accamparsi davanti alla porta e osservare ogni mio movimento. Volevo anche abitare più vicino a mia mamma, vivere in campagna. Penso che sia una vita più sana". Deve esser pesante per lei finire sui giornali, le sbronze, il peso, i graffi sulle braccia... "Mi disturba solo il pensiero che le foto le vedano i miei e si preoccupino, a me normalmente non fanno nè caldo nè freddo". Quel tempo se l'è lasciato alle spalle. "Sì, sono stata male e mio padre ancora mi fa la ramanzina. Mi sono messa nei guai ma non lo farò più". Ha mai preso lezioni di canto? "Sì a scuola assieme a molti altri alunni, ma mai lezioni individuali. Mi è sempre piaciuto scrivere poesie, ma la prima volta che ho musicato un testo è stato a quindici anni per l'esame di musica. Mi ricordo che pensai che era una cosa facilissima ma non l'ho consegnato. Così ho preso un'insufficienza". Come crea una canzone? "Parto da un'emozione, ma detto così suona un po' sdolcinato, vero? A volte parto da un'emozione, a volte da dei versi o da una melodia che ho in testa, gli accordi di chitarra in genere vengono per ultimi. Per Rehab, ad esempio, ero per strada con Mark Ronson e ho cantato il refrain ad alta voce, così, per scherzo. In realtà era insulso". Le ha cantato anche il pezzo che fa "no no no"? "Sì, la strofa tutta intera esattamente come è nel disco! Non è stato difficile , racconto quello che la mia vecchia casa discografica (guidata dall'ex manager delle Spice Girls Simon Fuller) voleva che facessi: disintossicarmi". E' vero che ha un carattere intrattabile? "Beh, do retta solo alla bambina che ho dentro. Da quando avevo quindici anni i miei si sono resi conto che avrei fatto solo quello che volevo, e così è stato". In passato lei ha detto che potrebbe anche abbandonare la musica per farsi una famiglia. "La musica farà sempre parte della mia vita ma non devo per forza venderla agli altri. Amo la musica ma mi piace anche avere una famiglia , che è la cosa più importante per me. Non vuol dire che io sia pronta a costruirne una adesso, subito. Sento di avere dentro un altro album". Compone ancora? "Sì e no. Ho un sacco di roba qui (indica la sua famosa cotonatura) mi serve solo un po' di tempo per passare in rassegna i testi e le idee che mi sono annotata. Io butto giù e poi ci torno sopra. Ho ancora moltissimo materiale dell'ultimo album rimasto inutilizzato. Mi piace raccontare il lato buffo delle cose tristi e il lato triste delle cose allegre. Mi piace l'agrodolce e ci saranno sempre cose dolci-amare per me su cui scrivere. Quello che davvero mi piacerebbe fare è una serie di EP, uno di canzoni popolari sentimentali e uno di brani anni quaranta stile Vera Lynn . Non delle cover, canzoni nuove , ma in quello stile". A parte la musica, cosa le piacerebbe fare? "Mi piacerebbe aprire un centro estetico. Mia nonna, riposi in pace, quando io e mio fratello eravamo piccoli ci ha insegnato a farle le cure di bellezza. Mica scema. Io avrò avuto quattro anni e mio fratello otto, lui le faceva la pedicure e io manicure e capelli".
© IFA, 2009 (traduzione di Emilia Benghi)

Intervista a Raoul Chiesa. Pioniere degli hacker, oggi protagonista della lotta al cyber crime

Pioniere degli hacker italiani, Raoul 'Nobody' Chiesa oggi si occupa professionalmente di cyber crime e di sicurezza informatica ad alto livello, collaborando in progetti nazionali ed internazionali. Lo abbiamo incontrato al Security Summit, importante appuntamento dedicato alla sicurezza It organizzato dal Clusit e da Edipi.«Sono diventato hacker per curiosità. Per l’emozione di collegarmi su rete Itapac con l’altro emisfero quando internet non esisteva ancora. Per la sfida a trovare la 'combinazione' giusta e aprirmi un varco in zone off limits...». Così Raoul comincia a raccontarsi, svelando l'origine della propria passione. Premesse che lo conducono presto a compiere eclatanti intrusioni su reti informatiche, come quella nel ‘95 sulla rete della Banca d'Italia, conclusasi con un patteggiamento di pena di cui si pente ancora oggi «mi accusarono di “violazione sistema informatico protetto”: ma in realtà, lì, nulla era protetto».Quando decide di mettere le proprie competenze al servizio del lato chiaro della forza, per tutelare i sistemi informatici delle aziende, nessuno lo prende sul serio: «dicevano che ero troppo giovane e l’idea di eseguire un penetration test su una rete era accolta come una proposta oscena».Adesso le cose sono cambiate, le sue consulenze sono richiestissime e ha coronato il sogno di tutti gli hacker: essere pagato dalle società per attaccarle e dimostrare così le falle dei loro sistemi di sicurezza. Per questo si definisce un 'hacker etico'. Ma chi sono gli hacker, oggi? «Il panorama è molto sfaccettato. Hanno età diverse, abitano contesti diversi, lo fanno per motivi diversi. Dopo 4 anni di ricerca avviata con il progetto internazionale Hpp-hacker's profiling, abbiamo individuato nove tipologie: si va dallo Script Kids, i figli della generazione internet, giovanissimi smanettoni (dai 7, 8 anni ai 12) che scaricano gli script da internet (ai miei tempi dovevamo scriverceli da soli…) e cercano di ‘sfondare’ la rete del vicino; fino ai Military Hacker, arruolati all'interno di corpi speciali di stampo militare, che vedono la luce agli inizi degli anni ’90 con la Guerra del Golfo. Poi abbiamo identificato il Wannabe Lamer (l’imbranato), il Cracker (il distruttore), l’Ehical Hacker (l'hacker "etico"), il Quiet, Paranoid & Skilled Hacker (l'hacker "paranoico"), il Cyber Warrior (il mercenario), l’Industrial Spy (la spia industriale), il Governative Agent (l’agente governativo).
In che modo un hacker può rappresentare una minaccia per l’utente comune?Sfondare il pc di qualcuno significa innanzitutto accedere verosimilmente a dati personali molto appetibili (account di home banking, Social Security Number se sei cittadino Usa...). Ma la vera minaccia è rappresentata oggi dai Botnet: se io sfondo un solo pc domestico alla volta, con una connessione da 10 megabit, non ottengo gran che, ma se ne sfondo 1 milione e c’è un unico cervello che li comanda, posso disporre di un esercito di robot, con una potenza di fuoco - di banda - incredibile! E’ ciò che avviene con i Botnet.Ci puoi spiegare meglio?In pratica, l’hacker crea un worm che invia a un sito internet l’indirizzo ip dell’utente il cui pc viene ‘zombificato’. L’ultimo botnet identificato in Australia era gestito da un ragazzino di 16 anni aveva 1.400.000 pc. A questo punto entrano in gioco i veri criminali (mafia russa e di altri paesi) che si rivolgono ad aziende alle quali affittano botnet per missioni mafiose on demand. La più diffusa è il distributed denial of service (dDoS), in grado di mettere in ginocchio un server in pochissimo tempo. Significa colpire da un server anonimo la propria vittima inviando migliaia di richieste al minuto fino ad arrivare a saturare la banda e a bloccare i sistemi, esaurendo le risorse di cui il server dispone.Come si configura il profilo dei nuovi criminali?Sempre più spesso si tratta di organizzazioni mafiose molto ben strutturate, con profitti da capogiro. Il caso più eclatante tra tutti è quello di Russian Business Network (RBN), una società con sedi in Russia e negli Usa, che nel 2008 ha fatturato, in base a ricerche di intelligence internazionali, 2 miliardi di dollari. Apparentemente è un provider di servizi di rete, definita dalle società di sicurezza "la peggiore delle peggiori" organizzazioni digitali a delinquere. Nella borsino del cyber-crime qual è la merce più quotata?Oggi si sta sviluppando un vero e proprio mercato nero delle vulnerabilità aziendali. I segreti per scardinare la security dei server di Sky, ad esempio, varrebbero oro.Domani potrebbero sorgere nuove minacce? Verso quali obiettivi?Potrebbero facilmente diventare bersagli di attacchi criminali strutture nevralgiche e comunque molto vulnerabili quali le infrastrutture critiche nazionali: acquedotti, aeroporti, reti elettriche... Da questo punto di vista, nessun paese al mondo è protetto. Se i terroristi capiscono che rischiano molto di meno ad avvelenare una città piuttosto che facendosi esplodere con cinture di tritolo......Ma questo è fantaterrorismo, gli hacker cosa c'entrano?Certo, occorre qualcuno che fisicamente contamini l’acquedotto, ma la sonda che ti dice se c’è o no il veleno è pur sempre un computer.
(Laura Ferrari)

Libri – David Lynch. Mulholland Drive

Autore : Luca Malavasi Titolo : David Lynch. Mulholland Drive Editore : Lindau Collana : Universale Film Anno : 2008 Dati : 240 pp, tascabile formato 13,5x19, brossura, 32 fotografie b/n fuori testo Prezzo : 18,50 € web info : Scheda del libro sul sito della Lindau
È un punto di inizio e un trascinante sviluppo attorno a una delle opere cardine del cinema contemporaneo, questa interessante, completa e complessa monografia scritta dal giovane docente e studioso Luca Malavasi, pagine dense che assumono una caratteristica di necessità all’interno della critica cinematografica italiana, una sintesi e un continuo rilancio per i sempre più frequenti studi lynchiani e buon viatico per chiunque voglia addentrarsi nell’arte di uno dei pochi autori che possa fregiarsi del titolo di inventore del cinema. Il libro è un’analisi e un incastro di rimandi a pensieri e letture intorno a un’opera mondo che è regno di una pluralità che la rende « un classico testo aperto (o forse, e meglio, non chiudibile) », una pellicola che fa della poetica del mistero e della duplicità la sua ragione di vita, una sfida per i suoi lettori e per la nozione stessa di interpretazione di un prodotto artistico. Perché David Lynch è l’alterità stessa all’interno dell’arte cinematografica. Una differenza che attraversa inter(n)amente il suo cinema e che chiaramente si fa spazio fra le pagine di Malavasi, fin dall’introduzione, poiché « Altro, del resto, è il percorso che avvicina Lynch al cinema : mentre i movie brats della Hollywood Renaissance vi arrivano in modo più lineare e coerente, armati di un’enciclopedia cinefila e con la consapevolezza anche teorica [...], Lynch [...] comincia come disegnatore e pittore, sviluppando solo più tardi un interesse specifico per l’arte in movimento – quando il movimento, quasi per caso, soffierà sulla pittura, facendogli desiderare il cinema ». Un percorso che nel 2001 è giunto sulle colline che dominano Los Angeles, fino a Mulholland Drive : un mondo ’dreamlike’ lucido e razionale che sbeffeggia il metodo indiziario, ma che non può vedere la sua complessità ridotta da una mera contemplazione senza interpretazione per un film segnato da un racconto che assume la forma di un ’surrealismo lynchiano’ (che per dirla tutta, però, mantiene una fragile relazione con il surrealismo propriamente detto), un racconto indebolito che porta alla mente Francis Bacon, per certi suoi polittici senza sintassi. Mentre Il mago di Oz, già omaggiato in Cuore selvaggio, è un classico film d’avventura onirica che qui offre soprattutto « l’impianto generale di una classica vicenda tra mondi, che Lynch passa poi a decostruire, insistendo soprattutto sui margini », struttura ordinata che « si dissolve a poco a poco, senza smarrirsi del tutto », rivelando sia la ricchezza e la minaccia di un « immaginario che ha storicamente contribuito a dare forma al reale », per creare alfine un balbettio disordinato, ma certamente non illogico, pre-grammaticale piuttosto. Laddove Lynch in un certo senso è un autore manierista che « non sovverte mai completamente l’ordine costituito ma lo lavora », sostituendo alla tipica sequenza realtà / non realtà / realtà una coraggiosa struttura duale e incerta, che rende il suo film un lungo sogno, senza alcun interesse nel ricomporre la frattura che ha aperto, mostrando nuovamente l’unicità del suo autore all’interno dello stesso panorama contemporaneo. Ma Lynch mette in scena anche una ’morality play’ che nella trama presenta punti di contatto con Palcoscenico di Gregory LaCava (citato anche attraverso la presenza di Ann Miller, ossia Coco, che ricopre ruoli secondari in entrambe le pellicole), film del 1937, l’age d’or ed epoca classica hollywoodiana, pre-testo per un autore in vena di stilettate contro i produttori statunitensi (mentre Malavasi ben evidenzia i problemi incontrati da Lynch con i dirigenti della ABC, che hanno causato la trasmigrazione nella forse più comoda sala cinematografica di un progetto inizialmente pensato per la televisione). Hollywood, ossia il Sogno per eccellenza, dove il sogno che è proprio del cinema ha potuto trovare il terreno più adatto nel quale lussureggiare, mostrando la cancrena che si cela al di sotto di una superficie che offusca la realtà. Perché la Mulholland Drive del titolo è un Viale del tramonto percorso dalla caduta di un corpo già caduto, che forse non si è ancora accorto di essere ormai putrefatto. Mentre Lynch, attraverso il suo classicismo aberrante « fondato su un impasto passionale di perturbante, mistery e horror », si confronta con i codici della tradizione che tra le sue mani diventano macerie e « testimonianza di un rapporto ormai incrinato tra l’immagine cinematografica e la società americana », restituzione dell’instabilità dei segni, per « il più realista dei registi contemporanei » che, al pari di Don DeLillo, si interroga sullo statuto di realtà del mondo circostante. La doppiezza rivelata spalanca le contraddizioni del mondo, come sta a dimostrare la Laura Palmer sulla quale si specchia Bob in Fuoco cammina con me, dove – viene qui da riflettere - la ’Red Room’ letta al contrario diviene un ’Murder’, la parola che il Danny di Shining aveva già scritto sulla porta di una camera da letto dell’Overlook Hotel, parola che si manifesta se letta in uno specchio, in un film che ha come punto centrale il caos cosmico e la violenza della / nella mente, una stanza che in Lynch assume il colore rosso, lo stesso colore col quale, secondo il Bergman di Sussurri e grida, è stata dipinta l’anima. È di certo una lettura stimolante, questo lavoro di Malavasi, perché spazza via svariate apparenze su una pietra miliare della settima arte : a tratti difficile, richiede una certa attenzione e pazienza – meritandosele tutte – nel dover tornare indietro sui sentieri che si credeva essere già stati tracciati da un pensiero stabile, tragitto alla fine del quale si può trovare una ricompensa che solo certe fatiche possono rendere così dolce. Però bisogna aggiungere che al tutto avrebbe giovato una maggiore stringatezza e una migliore organizzazione della materia trattata, per un percorso che sarebbe potuto essere restituito in maniera più fluida. Ultimo appunto su un particolare, piccolo ma non minuscolo, è da muovere contro la scelta di aver sistemato fuori testo le riproduzioni di alcuni fotogrammi che vengono richiamati lungo l’analisi : trentadue fotografie virate in un bianco e nero non particolarmente allettante, immagini alquanto grandi che però sarebbe stato meglio ritrovare dentro il testo, di certo in un formato più piccolo, ma di sicuro di maggiore utilità, al fine di non distrarre la mente e l’occhio dall’effluvio di pensieri che si agitano fra le dita, inquieti ma generosamente proficui.

Il condom non salva ma non uccide. Lettera aperta sull’irresponsabilità dei grandi

(Napoli) Una petizione promossa da donne autorevoli, del mondo della cultura, della politica, della società civile, per denunciare che, “La responsabilità di quanto accade a milioni di donne infettate dall’HIV è collettiva e planetaria”. “Non basta un preservativo, perché quelle donne non sono libere di decidere se e come congiungersi con un uomo. La totale sottomissione delle mogli ai mariti, lo stupro etnico e di guerra non si battono con il preservativo. Col preservativo, convincendo gli uomini a usarlo e le donne a farlo usare, se è loro concesso e disponibile, la trasmissione dell’HIV può essere scongiurata. Lo dicono gli uomini delle organizzazioni della Sanità, anche alle donne del nostro paese, dove ogni parola dei capi decide ciò che è buono e ciò che non lo è. In questa situazione se il condom è solo un rimedio estremo e non salva in assoluto, l’HIV uccide certamente. Nella totale acquiescenza degli stati, nonostante l’assegnazione di prestigiosi premi a chi dice il contrario, una donna nel mondo è definita povera se perde il marito, se è nubile, se è scacciata perché stuprata. Noi sappiamo che se le donne sono libere di gestire piccolissime somme di denaro, sono ricche per se stesse e, se ne hanno, per i propri figli. Ma la comunità internazionale decide guerre, predazioni ambientali e assiste alle vedovanze fino al prossimo matrimonio. I mali delle donne non si battono col preservativo, perché non si possono obbligare gli uomini a usarlo. Tutto dipende da loro in certi paesi. E in certi paesi convincerli a usarlo è un rimedio che se non libera le donne, può sottrarle alla morte e alle sofferenze, di un male “troppo costoso da curare”. Altre malattie a trasmissione sessuale sono subite dalle donne, finché la statistica non fa parlare i numeri: anche nel nostro paese. Tutt’ora la prevenzione della trasmissione delle malattie per via sessuale è di fatto affidata alla “sensibilità” del capofamiglia. Come avviene per le violenze sessuate, se ne parla sempre dopo, quando il danno diventa un dramma. In questo ordine mondiale è addirittura crudele parlar male anche di rimedi piccoli come il preservativo, da sedi autorevoli e con la cassa di risonanza che viene loro riconosciuta. Annie Lennox durante un’intervista ha rivolto al Pontefice cattolico l’accusa di essere irresponsabile, non per la condanna del condom che da sempre i cattolici assumono col rifiuto delle libertà sessuali, ma per aver pubblicamente contraddetto l’utilità e l’efficacia di un mezzo estremo, che come tale è irrinunciabile. Noi pensiamo che Annie Lennox abbia fatto bene a dire una cosa semplice e logica. Una cosa semplice e logica che diventa coraggiosa, soprattutto nel nostro Paese, dove i capi tra di loro parlano molto, ma pubblicamente tacciono”.
Hanno firmato la petizione:
Stefania Cantatore, Carla Cantatore, Filomena Gallo, Ersilia Salvato, Ofelia De Renzo, Donatella Massotti, Alma Mazzi, Renata Zamengo,Pina Di Flumeri, Valentino Lisa, Venera Finocchiaro, Maria Luisa Nolli, Liliana Valenti, Rossella Fierro, Elena Pirandello, Lucia Formichetti, Giorgio Scafetta, Paola Bella, Marguerite Lottin, Simona Sarti, Luisa Stendardi, Esther Basile, Fiorenza Taricone, Cinzia Di Marino, Caterina Arcidiacono, Luigi Di Fiore, Elisa Bucci, Simona Toscano, Danielle Turone Lantin, Elena Dompé, Fiorella Saura, Patrizia Falovo, Silvana Turco, Gabriella Bartolini, Giovanna Gandini, Fausta Manno, Giovanna Crivelli, Paola Toscano, Luigi Di Fiore, Maria Luisa Ricciuti, Anna De Lorenzo, Angelica Alemanno, Carla Papa, Maria Antonietta Migliorelli.
Info e Contatti: udinapoli@gmail.com, Stefania Cantatore- 3334843616
(Delt@ Anno VII, N 65 - 66 del 27 - 28 Marzo 2009)

Madonna in Malawi, nuova adozione

(ANSA) - ROMA, 26 MAR - Madonna e' attesa lunedi' prossimo in tribunale in Malawi per depositare la richiesta di adozione di un altro bambino dopo il piccolo David. La settimana scorsa Madonna, che sta per divorziare da Guy Ritchie, aveva dichiarato alla stampa del paese africano di voler adottare un secondo bambino.'Molte persone dicono che David dovrebbe avere un fratellino o una sorellina',aveva affermato la popstar, aggiungendo:'Spero di poterlo fare, ma solo se ho il sostegno del popolo e del governo del Malawi'.

Amy Winehouse convince Mark Ronson a lavorare di nuovo con lei

Mark Ronson, il produttore di alcuni dei brani del fortunato "Back to black" di Amy Winehouse, è stato convinto dalla stessa cantante a tornare a lavorare per lei. Lo riferisce un tabloid britannico, secondo il quale, dopo un disaccordo risalente ad undici mesi fa, successivamente al quale i due si erano allontanati l'uno dall'altra, ora la coppia musicale è nuovamente assieme. Ronson e Winehouse starebbero mettendo mano, per cambiarne l'approccio, alle canzoni che recentemente la tribolata diva soul-jazz si è vista respingere dalla sua etichetta. Una fonte ha detto al quotidiano: "Mark pensa che adesso Amy stia molto meglio, così è tornato in barca per lavorare un po' su qualche pezzo. Ora è felice di dare ad Amy una mano; su 'Back to black' sono stati un'ottima coppia e spera che una parte di quella ispirazione possa tornare".

Pubblicità per ''I Am Because We Are'' in Francia

Ecco una pubblicità per l'uscita di ''I Am Because We Are'', da oggi nei cinema francesi. La scansione è tratta dal quotidiano gratuito Direct Soir.Parte degli incassi del documentario di Nathan Rissman saranno devoluti a Raising Malawi. Cliccate per ingrandire.
madonnatribe.com

Fotografia erotica. Madonna vista da Lee Friedlander nel 1979

Che capolavoro. Questa è l'arte del nudo. Complimenti alla giovane Madonna e a Friedlander.

NUOVO TOUR PER I MUSE

I Muse hanno annunciato nei giorni scorsi che il prossimo autunno saranno impegnati in un nuovo tour.La lunga serie di concerti in programma li porterà in Nord America ma anche in Europa, in particolare nel Regno Unito.Maggiori dettagli a proposito delle date europee ed inglesi verranno rese note a breve, al momento però è stata confermata la notizia che i Muse avranno l'onore di aprire alcuni dei live che gli U2 terranno in America, primo fra tutti quello fissato per il 24 settembre presso il Madison Square Garden di New York.

I diritti dei morti, se la musica uccide sé stessa

Il quesito è semplice, e sta al confine fra morale, diritti commerciali e integrità artistica: è giusto continuare a sfornare ininterrottamente – a venti, trenta o quarant'anni dalla morte di un artista – improbabili inediti, bootleg inascoltabili e registrazioni private solo per continuare instancabilmente a fare cassetta? Sondaggio: giusto pubblicare inediti di artisti deceduti? VOTA! La questione è tornata prepotentemente alla ribalta negli ultimi giorni, sia in Italia che negli Stati Uniti. Ma è uno di quei temi spinosi che, si sa, tendono a ripresentarsi ciclicamente perché decine sono i personaggi la cui memoria vale operazioni del genere, per la serie raschiamo il barile. Da una parte, nel Belpaese, il nuovo lavoro di Rino Gaetano (ma è poi corretto scrivere "di" Rino Gaetano? Cosa c'è di suo, in una raccolta che esce a quasi trent'anni dalla tragica morte?) che vedrà nella propria tracklist ben sette brani inediti (leggi la news). Dall'altra, le spaventose dichiarazioni della sorellastra di Jimi Hendrix, che senza alcun timore ha affermato di poter disporre di materiali inediti per almeno altri dieci anni di pubblicazioni (leggi la news). Senza contare che nell'anno in corso usciranno ben due dischi a nome del mitico chitarrista, uno dei quali contenente un lungo reportage privato stile reality-show. Ma i casi sarebbero davvero tanti. Forse il più spregevole è quello del povero Jeff Buckley, che in vita ha dato alle stampe un solo, strepitoso lavoro di inediti (Grace) ma che a oggi conta a suo nome qualcosa come una decina di dischi. Ed è morto nel 1997. Guarda le foto di Rino Gaetano e Jimi Hendrix Le domande sono molte e controverse. Per esempio: hanno i parenti il diritto di distruggere a suon di compilation e raccolte artisti ormai divenuti icone della contemporaneità? E ancora: anche legalmente parlando, quale legittimazione si ha di apporre il nome di un artista su un prodotto discografico laddove il medesimo (visto che è trapassato da tempo) non ha avuto voce in capitolo sul progetto complessivo, sulla struttura, su tutta la produzione del lavoro? Basta che ci sia la sua voce, magari inascoltabile perché rubata da una cassettina demo?

Eva Herzigova, Shalom Harlow e Vincent Gallo per la nuova campagna moda di H&M

La nuova campagna Spring 2009 firmata H&M riunisce un trio d’eccezione. Si tratta di Eva Herzigova, Shalom Harlow, Vincent Gallo. Due top avvezze ai servizi fotografici e un attore del cinema d’autore (come dimenticare la sua interpretazione in Arizona Dream di Emir Kusturica?). Insomma la bellezza e il mistero dato che ai sorrisi smaglianti delle due top (rigorosamente con il vento fra i capelli e fra gli abiti) si mescola il volto espressivo dell’attore. La nuova collezione del duo svedese Hennes e Mauritz viene brillantemente interpretata in un catalogo dalle atmosfere luminose e molto fresche, totalmente bianche. Non manca un pizzico d’astrattismo ravvedibile soprattutto nelle costruzioni lineari di colore arancione, colore dell’ottimismo e della vitalità. E proprio la vitalità e l’ottimismo sono i motivi della nuova collezione primaverile. Gli abiti ritratti nelle fotografie sono assolutamente ricchi e fantasiosi con colorate e dinamiche stampe multicolori o animalier in linea con le ultime tendenze della moda. H&M infatti si è imposto a livello internazionale come un marchio di abbigliamento low coast che permette però di essere sempre alla moda. Nelle foto si possono ammirare le super top con scarpe vertiginosamente alte con plateau d’ordinanza e con il make up che esalta l’incarnato e si focalizza sulle labbra e sul loro effetto rosso fuoco. Non mancano gli accessori, dai grandi orecchini ai numerosi bracciali. Una campagna che esalta il glamour di una donna e di un uomo che vogliono essere alla moda senza dover fare necessariamente affidamento alla sicurezza della grande firma. E sicuramente l’imponente campagna pubblicitaria darà i suoi frutti.

Annie Lennox e Peter Gabriel rispondono al Papa. Il preservativo va usato perché salva la vita

Annie Lennox e Peter Gabriel sono famosi oltre che per il grande talento artistico, anche per l’impegno in prima persona - da sempre - per cause umanitarie a sostegno dei più deboli. Dopo le recenti e discutibili dichiarazioni del Papa sull’inutilità dei preservativi, i due artisti rispondono senza peli sulla lingua e prendono una posizione netta. Annie Lennox, a Milano per la presentazione della sua raccolta, ha dichiarato: Il Papa è fuori di testa, è un irresponsabile. Ha preso una posizione netta sull’uso dei preservativi contraddicendo quanto avviene quotidianamente nella realtà. Va contro i suoi stessi missionari che salvano tante vite grazie alla distribuzione dei condom. La gente fa sesso, è impensabile proibirglielo, e il preservativo è fondamentale, salvifico.Ho rispetto per la Chiesa Cattolica ma mi domando perché non prende una posizione netta anche contro la pedofilia, visto che parecchie volte la Chiesa stessa ne è stata accusata. Tutto questo mi sconvolge. Non da meno Peter Gabriel qualche giorno fa in una conferenza stampa a Buenos Aires (dove è in tour): Il Papa Benedetto XVI con le sue dichiarazioni contro il preservativo nella battaglia all’AIDS si è comportato come un assassino … è un leader irresponsabile … questa è una mancanza di rispetto per attaccare qualcosa che può preservare la vita di migliaia di persone.Il Papa deve imparare a rispettare la gente. Ci sono molte cose che le religioni ci devono ancora spiegare. Ma passa il tempo e le risposte non arrivano. Le reazioni sono durissime ma come dargli torto? A proposito: ragazzi, usate i preservativi! L’AIDS e le altre malattie sessualmente trasmissibili colpiscono tantissimi giovani, anche nel nostro paese, anche se i media ne parlano poco.

La Cina oscura Youtube per la seconda volta in due settimane

Da alcune ore il portale di condivisione video YouTube è irraggiungibile dalla Cina. È lecito pensare si tratti dell’ennesimo blocco da parte del governo di Pechino, che continua sfacciatamente a sostenere che Internet non sia considerato un pericolo e che gli internauti cinesi siano liberiYouTube è da qualche ora inaccessibile dalla Cina. Il portale di condivisione video YouTube è l’ultima vittima della scure censoria di Pechino, che di quando in quando blocca l’accesso alle informazioni più scomode presenti sul Web. L’ultimo episodio di censura di Internet da parte della Cina risale allo scorso mese gi agosto, in concomitanza con le Olimpiadi di Pechino. In quell’occasione era stato inibito l’accesso dal Paese comunista ai siti considerati più scomodi, tra cui Amnesty International, Reporters Sans Frontières, la Tv tedesca Deutche Welle, la Bbc in cinese, l’Apple Daily di Hong Kong e la versione cinese di Voice of America. Dopo una lunga serie di pressioni da parte della stampa internazionale vennero successivamente rimossi i filtri.Sempre nel mese di agosto 2008 fu iTunes vittima dei filtri di Pechino: il sito Apple venne oscurato per evitare la distribuzione del disco “Songs for Tibet”, con musica di Sting, Alanis Morissette, Garbage e altri, oltre a un discorso di 15 minuti del Dalai Lama.L’inaccessibilità delle scorse ore di YouTube potrebbe essere riconducibile, stando a quanto sostenuto dalla BBC, alla pubblicazione di un video nel quale figurano soldati cinesi che, dopo l’irruzione in un monastero tibetano, picchiano duramente i monaci. Per Pechino un video del genera rappresenta un motivo più che valido per oscurare l’intero portale. Va ricordato che un filtro tuttora presente sul Web cinese è relativo all’accesso al sito del movimento spirituale Falun Gong, considerato fuorilegge. Il Ministro degli Esteri cinese Qin Gan si ostina a sostenere che il governo non teme Internet. “È una falsa impressione, è l’esatto opposto”, sostengono. Intanto per YouTube si tratta della seconda censura in due settimane.In Cina gli utenti del Web sono oltre 300 milioni: tutti liberi, secondo il governo di Pechino, che a conferma della tesi cita la presenza su Internet di oltre 100 milioni di blog cinesi, a loro avviso un inequivocabile indicatore di democrazia e libertà. Per Pechino comunque è necessaria una “regolamentazione della Rete” al fine di evitare la diffusione di informazioni che mettano in pericolo la sicurezza nazionale. In merito al blocco di YouTube il Ministero degli Esteri ha detto di non saperne nulla. Ogni commento è a dir poco superfluo.

IMMAGINA...

Immagina non ci sia il Paradiso
prova, è facile
Nessun inferno sotto i piedi
Sopra di noi solo il Cielo
Immagina che la gente
viva al presente...
Immagina non ci siano paesi
non è difficile
Niente per cui uccidere e morire
e nessuna religione
Immagina che tutti
vivano la loro vita in pace...
Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che ti unirai anche tu un giorno
e che il mondo diventi uno
Immagina un mondo senza possessimi chiedo se ci riesci
senza necessità di avidità o fame
La fratellanza tra gli uomini
Immagina tutta le gente
condividere il mondo intero...
Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che ti unirai anche tu un giorno
e che il mondo diventi uno
(John Lennon)

La Censura

Per censura si intende il controllo della comunicazione verbale o di altre forme di espressione da parte di una autorità. Nella maggior parte dei casi si intende che tale controllo sia applicato all'ambito della comunicazione pubblica, per esempio quella per mezzo della stampa od altri mezzi di comunicazione di massa; ma si può anche riferire al controllo dell'espressione dei singoli. Fra i significati specifici che il termine può assumere in contesti particolari si possono citare i seguenti tipi di censura....

Da Annie Lennox? Parole sagge!!

«Il Papa è un pazzo. È decisamente fuori di testa». Incontrando i giornalisti ieri a Milano, dove in serata ha tenuto uno showcase live per promuovere il greatest hits «The Collection», la popstar Annie Lennox ha commentato con parole dure e sferzanti la posizione del Vaticano sui metodi per prevenire l'Aids in Africa. «Ho grande rispetto per la chiesa cattolica, ma Benedetto XVI si è comportato da irresponsabile: le sue bugie rischiano di compromettere seriamente anni di sforzi compiuti dai volontari in Africa. Proibire l'uso del preservativo significa negare l'unica forma di prevenzione realmente praticabile. Predicare l'astinenza sessuale come soluzione per evitare il contagio dell'Aids è solo inutile demagogia, perché il sesso è un atto naturale per ogni essere umano. Considerato che tutte le persone hanno rapporti sessuali e continueranno ad averne, educhiamole a usare il profilattico per non mettere a repentaglio la salute propria e del proprio partner». La 54enne artista scozzese, visibilmente emozionata e infervorata, ha poi criticato l'omertà del Vaticano sui preti pedofili. «Mi fa arrabbiare vedere il Papa scagliarsi così duramente contro l'uso del preservativo. Questa sua ingerenza sui problemi dell'Africa mi sconvolge di più, se penso che non ha ancora preso una posizione forte e negativa nei confronti della pedofilia nella Chiesa». In futuro l'ex Eurythmics («Escludo una reunion con Dave Stewart») vuole dedicarsi a progetti umanitari e sociali. «Essere celebre è disgustoso. Io non voglio diventare come Bob Geldof, ma comunque sfruttare la mia popolarità come opportunità per fare del bene. Penso a progetti per la sostenibilità ambientale e soprattutto in difesa dei diritti delle donne». Annie Lennox è scossa anche dalla vicenda di Josel Fritz, il padre-mostro austriaco. «Non capisco che atteggiamento bisogna avere nei confronti di quest'uomo, che è stato a sua volta perseguitato da una madre sadica e sottoposto a continue violenze. La punizione per Fritz, qualunque sia, non darà alcun sollievo alle sue vittime».