La ricetta di Carmen Consoli 'Con la musica sono onnivora'

GUARDANDO la lista delle interviste di quest' anno una cruda realtà mi appare davanti agli occhi. Nessuna donna. Inquietante. Che vergogna. Mi gioca l' occhio. Carmen Consoli in Salento. Pare sia una appassionata di cucina. Da buona catanese, abbiamo millenni di invasori comuni, oltre che un uso spropositato di olio e spezie. La convinco, prendendola per la gola. Stasera suonaa pochi chilometri da uno dei luoghi sacri della crudità salentina. MARUZZELLA, santuario di cozze pelosee fasolari. Come spesso succede, proprio là fuori, un vecchietto vende la scapece gallipolina e tutto felice le offro un cartoccio, che praticamente finisco da solo per l' emozione. Non sarà l' ultimo dei momenti di difficoltà in cui mi sono cacciato con Carmen Consoli. Ha verve da venderee mi chiudo spesso in un silenzio patetico, esasperato dal rosato di De Castris, sanissima bevanda rinfrescante salentina, soprattutto a pranzo sotto il sole. Avevo impostato l' intervista sulle nostre comuni passioni rock, ma lei, amante delle provocazioni e Giovanna d' Arco delle musiche popolari, mette in crisi tutte le mie domande. Dai tuoi inizi sembra che la tua adolescenza sia stata un po' all' insegna di Janis Joplin e cibo siciliano, stile tavolate e rock' n' roll. «Non credere. Sono sempre stata onnivora. Figurati che assieme agli Uzeda, mitico gruppo indie della scena catanese, la prima canzone che ricordoè Mille violini suonati dal vento di Modugno». Hai cantato con la madrina del rock. Patty Smith. Che piatto è la sua musica? «Secondo me è una buongustaia. Orecchiette di rapa ben piccanti. Ma mi scoccia un po' questo tuo parlare solo di straniere. Non dimenticare le nostre femminazze. La nostra Balistreri aveva una voce rotta, come la Joplin. E soprattutto, la signora Nilla Pizzi. Non aveva nulla da invidiare alle americane». Cambio argomento, mi conviene. Il tuo legame col cibo? «Mi è sempre piaciuto cucinare. Ho avuto la fortuna di andare dai 13 ai 19 anni a passare l' estate in Inghilterra. A parte il fatto che già allora mi accorsi che noi catanesi ascoltavamo le stesse cose, come Rem o Pixies, la cosa divertente è che passavo il tempo a cucinare lasagne agli inglesi. Era il mio modo di esprimermi. Mi portavo dietro le lezioni delle nonne». Dove vivi ora? «Molto tempo lo passo a Parigi. Avevo voglia di imparare il francese. E poi non potevo scegliere città migliore. Per il cibo, la musica, come quella di Brel e Gainsbourg... per tutto insomma». La Francia è il regno delle ostriche, mangiate senza troppa mondanità. Che ci abbini? «In omaggio alla Francia direi Edith Piaf, però anche il nostro Bruno Martino ci sta bene». La tua musica si è evoluta. Prima elettrica, poi sempre più acustica. Come lo spiegheresti gastronomicamente? Un bel piatto siciliano? «Sushi». Come non detto. Qualcosa di casa tua? «Non mi hai lasciato finire. Mi sento come un cuoco catanese che apprezzo molto che ha deciso di fare il sushi con il pesce azzurro. Se ci pensi la prima volta il wasabi fa schifo. Ma è tutta una questione di testa e aprirsi ad altri gusti. E poi mi piace l' etica del cibo giapponese. Al contrario di noi, anche i fritti li fanno leggeri. Ecco, cerco un' etica nel rock. Proporre la stessa forza, la stessa tensione emotiva di un amplificatore con una chitarra acustica e gli archi». Per favore, un gossip. Ci sarà un piatto siciliano che ti piace. «La caponata con la polenta». Mi prendi in giro? «Una contaminazione, frutto del fatto che mia madre è veneta. È come la mia musica, acustica ed elettrica. E poi la tonnina cu a cipuddhrata, tonno cotto in agrodolce, con riso basmati. Prodotto sull' Etna. Non è la prima volta che passi in Puglia: alla Notte della Taranta, forse anche grazie alla lingua simile, facesti un figurone. Che ti piace? «È un bel momento per voi, nella valorizzazione della cultura popolare. In Sicilia si fa più fatica. Io sono il frutto di un' epoca fertile di laboratori a Catania, da sempre all' avanguardia nella cultura alternativa. Ora la politica ha smesso di investire nella cultura». Pensi che i tuoi canti in siciliano possano servire al dialetto, come a noi le canzoni dei Sud Sound System? «Il sicilianoè da sempre fiero della propria lingua, della poesia, del teatro. Anche gli aristocratici parlano il dialetto. Ma c' è ignoranza totale sulla musica popolare. La mia lotta è farla riemergere». Sei una donna di carattere. Quanto sono importanti figure come la tua o quella di Emma Dante, per mostrare una sensibilità nuova, femminile, nell' arte e nella cultura? «Non sono abituata a fare differenze tra i generi. Un artista vale, che sia maschioo femmina, se il suo è un messaggio universale. Siamo un paese morboso, accecato dal gossip. Sensibilità femminile della minchia. Io chiamerei Amnesty per l' Italia. Le scelte personali si sono ridotte all' osso. Si stava meglio quando c' era la Carrà, che aveva il coraggio di cantare Com' è bello far l' amore da Trieste in giù. Un omaggio sentimentale all' unità d' Italia. Perché senza l' amore si sta male».