Aggiornamenti sull'uscita del DVD dello Sticky and Sweet Tour

Arriva direttamente da madonna.com la conferma del ritardo dell'uscita del DVD dello Sticky And Sweet Tour negli Stati Uniti:
"Lo "Sticky & Sweet" Tour sarà distribuito su DVD, CD e Blu Ray a partire dal 30 Marzo nei negozi di tutto il mondo mentre, negli Stati Uniti, la pubblicazione è stata posticipata di una settimana. La nuova data di uscita è ora fissata al 6 Aprile."
"In coincidenza con la distribuzione del DVD, anche lo special di VH1 è stato posticipato al 2 Aprile. Un'occasione per i fan statunitensi di rivedere il concerto in TV prima della sua uscita nei negozi nazionali."

T IN THE PARK FESTIVAL: TUTTO ESAURITO IN 90 MINUTI

Clamoroso successo di vendite per il T in the Park 2010, il festival che si terrà in Scozia, a Balado, dal 9 all’11 Luglio. Ieri mattina (26/2) alle 9:00 è stata aperta la vendita di biglietti; appena 90 minuti dopo il festival ha registrato il tutto esaurito. Il merito va ai grandi nomi che parteciperanno quest’anno alla manifestazione: saranno presenti tra gli altri i Muse, Eminem, Jay-Z, Biffy Clyro,Empire Of The Sun, The Cribs, Florence And The Machine, The Courteeners e La Roux.
Il festival, giunto alla diciassettesima edizione, sarà come sempre sponsorizzato (ma con discrezione) dalla Tennent’s lager.
Ecco la line-up ad oggi prevista:
30 Seconds To Mars
Black Eyed Peas
Biffy Clyro
Black Mountain
Broken Social Scene
Calvin Harris
Carl Cox
David Guetta
Dirty Projectors
Dizzee Rascal
Ellie Goulding
Eminem
Empire of the Sun
Erol Alkan
Faithless
Fake Blood
Florence And The Machine
Four Tet
Goldfrapp
Gossip
Jay-Z
John Mayer
Kasabian
La Roux
Mayer Hawthorne and The County
Muse
Newton Faulkner
Paolo Nutini
Plastikman
Rise Against
Skunk Anansie
Slam
Stereophonics
The Cribs
The Coral
The Courteeners
The Proclaimers
The Prodigy
The Stranglers
The Temper Trap
The View
Two Door Cinema Club
Vampire Weekend
Wolfmother

General Hospital Promo - James Franco Arrives (Longer Version)

Eugene Hutz - Tromba De Zingari Testo

Hey Eugene do you remember me?
Im that chick you danced with two times through the Roofers album
Friday night at that party
kinhead friend passed out for several hours on the bathroom floor
I never knew A: where your
s and you told me
You weren't that drunk, and that I was your favourite Salsa dancer
Are you there Eugene Hey Eugene then
you had ever come across in New York city
Eugene Eugene Eugene
I said hello Euge n
ewe kissed once we lobbed your friend into
the elevator and went to write my number on a soggy paper towel
ng gone And you looke
And the car went down
And when we had finished making out we noticed that your skinhead
friend was gone. L
od into my bloodshot eyes and said is it too soon if I call you Sunday
Eugene Eugene Eugene I said hello, Eugene
Eugene Are you there
Are you there, Eugene I said hello (hello), Eugene (Eugene) Eugene (Eugene) Eugene (oh yeah) I said hello (hello) ,, Eugene (tell me are you there) I said hello (hello), Eugene (Eugene) Eugene (Eugene) Eugene (tell me oh)
I said hello (hello), Eugene (Eugene)
Does any of this ring a bell Eugene?

le star di Hollywood a "La Storia siamo noi"

Per la serie "La Storia siamo noi" Rai Educational presenta "Belli e Buoni", in onda mercoledì 10 marzo alle ore 08.05 e alle ore 00.40 su Rai Tre

Angelina Jolie e George Clooney, Bono e Madonna. Volti bellissimi che diventano testimonial di cause umanitarie.

Il glamour insomma va a braccetto con i diseredati del mondo. Ma per tutte queste stelle si tratta di vero impegno oppure è solo l'ultima frontiera di una pubblicità sempre piu' raffinata che oggi vuole i divi, oltre che belli, sempre più buoni?

A "La storia siamo noi" si ripercorre una iniziativa che ha radici molto lontane: dalla comicità di Jerry Lewis ed il suo impegno per la distrofia muscolare a Audrey Hepburn, diafana ed eterea, tra i bambini dell'Etiopia fino al primo personaggio che ha prestato il suo sorriso e la sua comicità indimenticabile: Danny Kaye, Ambasciatore di buona volonta' negli anni '50.

E "La storia siamo noi" ha trovato le immagini del grande attore americano che improvvisa uno spettacolo tenero e commosso con gruppo di bambini siciliani, in un'Italia ancora segnata dalle profonde cicatrici della II guerra Mondiale.

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"Losing My Religion" - REM

Michael Stipe, i Rem, la musica americana. Canzoni bellissime che pure faccio fatica a classificare, talmente belle che non vengono le parole. Perfette? Inimitabili e personalissime? Una voce che incanta come la musica di un incantatore di serpenti? Tutto vero ma resta sempre incompleto questo tentativo di classificazione. Musica originale e senza tempo. Canzoni misteriose e solari, solo paradossi per tentare di catturarne l'essenza solidissima ed evanescente.
Ascoltandole mi viene in mente l'idea della perfezione. La mancanza di asperità. La forza e la grinta. La mancanza di un sistema di temporalità lineare. Un inizio e una fine. Quando le ascolti sembra che siano state sempre lì ad aspettarti, che già suonassero e sempre siano suonate, come le sfere celesti. Eri tu che non le avevi mai ascoltate. Come un Viandante delle stelle che un giorno passa in una galassia di luce e ne rimane rapito.
Ti portano, se le ascolti, lontano nello spazio e nel tempo. Avanti e indietro. Ancora da capo, senza fine.
Sfere, figure geometriche perfette, un nucleo di voce e tutto che intorno gira con armonia. Così se "Drive" è un maestoso astro che ruota lentamente sul suo asse, "What's the frequency Kenneth?"è una cometa, velocissima, insolita, che irrompe e passa nel cielo.
A me piace però più di tutte "Losing my religion". Lei in questo universo è una supernova che ti incanta con la forza accecante della sua bellezza incontenibile

Christina Aguilera collabora con MIA, Santigold, Goldfrapp etc.

Christina Aguilera sta dando gli ultimi ritocchi al suo nuovo album. Questa notizia sarebbe tranquillamente trascurabile se non dovessimo aggiungere i nomi che hanno collaborato con la popstar. Dopo Ladytron, Sia e Goldfrapp, la Aguilera ha infatti rivelato di aver collaborato anche con MIA e Santigold. Una lista dei talenti più interessanti della scena contemporanea. Orgogliosa la cantante: “Sono più orgogliosa per questo lavoro che per qualsiasi altro, solamente perché ho lavorato con tante grandiose persone di incredibile talento.”
Che sia Chistina allora?, diventa sempre più probabile...

James Franco Reprises His Role As Gucci Cologne Frontman

Following James Franco’s good-natured spoof of his earlier Gucci Pour Homme fragrance ad campaign on Funny Or Die, the actor is officially back in front of the camera for the Italian luxury brand’s newest scent, Gucci by Gucci SPORT pour Homme. “James Franco is perfect for this fragrance and perfect for Gucci,” the brand’s creative director, Frida Giannini, tellsWWD. “He personifies the sort of nonchalance and unforced appeal that is most attractive in a man. In the advertising campaign, he captures the fragrance’s casual, modern and masculine air.” Shot by famed fashion photographers Inez van Lamsweerde and Vinoodh Matadin in Cannes, France, the new series depicts a very wet and chiseled Franco gazing seductively into the camera after a fully-clothed dip in a pool. The sporty fragrance, a mix of fresh citrus scents and masculine undertones like veviter, is available in stores now with products ranging from a deodorant stick for $27 to a 50 ml spray at $57. Tell us: What do you think of Franco’s new sexy campaign? —David Yi

Speciale Muse su MTV BRAND:NEW

Venerdì 26 e domenica 28 marzo su MTV BRAND:NEW (Canale 706 di Sky) andrà in onda uno speciale sui Muse, scelto e presentato dai Muse stessi. Di seguito gli orari in cui verrà trasmesso:
Venerdì 26 Marzo: ore 18.00 e 22.30
Domenica 28 Marzo: ore 12.00 19.00 e 23.00

Wallis Simpson, nuova sfida per Madonna

E' la regista del film sulla donna per cui abdicò Edoardo VIII
ROMA
Non era particolarmente bella, ma, come si legge in molte biografie, aveva un carattere volitivo, un grande carica sensuale, uno spirito ribelle e un’assoluta lucidità nel perseguire l’obiettivo di una vita agiata, comoda, brillante. Non è un caso che il personaggio di Wallis Simpson, duchessa di Windsor, moglie di Edoardo VIII (che per lei abdicò al trono d’Inghilterra), abbia risvegliato l’interesse dell’icona pop Madonna.
Anzi, prima che su Variety, nei giorni della Berlinale, apparisse la notizia dell’avvio del progetto, chiunque avrebbe immaginato la cantante nel ruolo della protagonista. E invece no, stavolta la signora Ciccone si fa da parte, firma la regia (è la seconda prova dietro la macchina da presa, dopo Filth and Wisdom, presentato in anteprima al Filmfest di due anni fa) e affida la parte a Vera Farmiga, la signora con trolley che nel film di Jason Reitman Tra le nuvole riesce a mettere in scacco nientedimeno che George Clooney. Insomma, un tipo pericoloso, da prendere con le molle, proprio come doveva essere Wallis, snob e anticonformista, decisamente troppo per le rigide regole della famiglia reale inglese. Non si conosce ancora il nome dell’attore che indosserà i panni del principe di Galles nonché erede al trono, poi duca di Windsor ma si sa che Madonna è impegnata, con Alex Keshishian, nella fase della sceneggiatura.
Nella vita di Wallis, americana di Baltimora, classe 1895, la popstar ritroverà temi che le sono cari, una donna che s’impone con la forza del carattere, la tenacia nel rompere le regole, il gusto travolgente per la vita. Una miscela destabilizzante per i tempi in cui a Wallis era capitato di esistere, basta pensare al titolo della biografia a lei dedicata da Channel Four, The Demonised Duchess, un’inchiesta molto documentata in cui si tenta di liberare l’immagine della duchessa dagli stereotipi che l’avevano perseguitata, primo fra tutti quello di avida arrampicatrice sociale.
Morta nel 1986 a Parigi, nella villa al Bois de Boulogne dove si era ritirata, poi sepolta a Windsor, nella cappella reale accanto al marito, Bessie Wallis Warfield era arrivata in Europa sull’onda di un divorzio da un marito alcoolizzato che aveva fatto scandalo nella sua stessa famiglia d’origine. Tre anni dopo, si era risposata con il banchiere Ernest Simpson e con lui, a Londra, aveva conosciuto il principe Edoardo, che all’epoca aveva 36 anni ed era single. Incuranti di pettegolezzi e commenti, i due erano subito diventati amici.
Quell’americana dai modi disinvolti non piaceva a nessuno e, quando Edoardo invitò i Simpson a corte, il Re andò su tutte le furie proibendo al figlio di riportare in quel luogo «la sua amante». Poco dopo Wallis divorziò per la seconda volta, era il ‘36, ed Edoardo salì al trono deciso a ufficializzare la relazione. Lei invece sapeva benissimo che nessuno in Inghilterra l’avrebbe mai accettata come regina. L’Impero britannico stava piombando in un’imbarazzante crisi costituzionale. Perciò Edoardo decise di abdicare e, sei mesi dopo in Francia, sposò l’amore della sua vita.
Per la coppia, da quel momento, ebbe inizio un’esistenza da rotocalchi, viaggi, feste, mondanità. Ma l’ombra del nazismo offuscò il glamour degli innamorati, prima per la sospettata amicizia di Wallis con l’ambasciatore tedesco Ribbentrop, poi per il viaggio di Edoardo in Germania nel ‘37. Per allontanare il duca, il governo inglese gli affidò la carica di governatore delle Bahamas, una meta esotica dove vivere in libertà con la moglie. Alla fine del conflitto i due rientrano a Parigi. Eduardo mette piede in patria solo per i funerali del fratello Giorgio VI, nel ‘52, mentre non è nemmeno invitato alla cerimonia d’incoronazione di Elisabetta II. A Wallis va ancora peggio, sarà in Inghilterra solo per le esequie del consorte, nel ‘72, e farà ritorno in occasione delle proprie. L’impressione è che a corte, ancor oggi, un film di Madonna che rievoca il caso non sia poi così gradito. Dopo Diana, un altro fantasma di lady sfrontata che rivive davanti agli occhi del grande pubblico.

L’arte di scrivere canzoni: Bob Dylan in pillole

Qui sotto un collage di pensieri sparsi di Bob Dylan raccolti dal cantautore e critico musicale statunitense Paul Zollo in un’intervista del 1991 contenuta nella raccolta Songwriters.

I have made shoes for everyone,
even you, while I still go barefoot
Bob Dylan

«Songwriting? Che ne so io di songwriting?», mi chiede Bob Dylan, poi scoppia a ridere. Porta un paio di jeans, una canotta bianca, beve caffè da un bicchiere di vetro. «Nel bicchiere di vetro è più buono», mi dice con un sorrisone. La sua chitarra acustica di legno chiaro è appoggiata su un divano accanto a dove siamo seduti. La chitarra di Bob Dylan. La sua influenza è talmente enorme che tutto ciò che lo circonda si carica di significato: I mocassini di Bob Dylan. La giacca di Bob Dylan.

Pete Seeger una volta ha detto: «Tutti i songwriter sono anelli di una catena», eppure in questo arco evolutivo sono pochissimi gli artisti che hanno lasciato un’influenza profonda come quella di Bob Dylan. È difficile immaginarsi l’arte di scrivere canzoni così come la conosciamo prescindendo da lui. Nell’intervista ripete che «l’avrebbe fatto qualcun altro», ma in verità è stato lui l’istigatore, quello che sapeva che le canzoni potevano fare di più, che potevano sobbarcarsi un compito più importante. Sapeva che la forma canzone poteva contenere una ricchezza lirica e un significato che andassero molto oltre il raggio d’azione delle canzonette pop, che le canzoni potevano avere la stessa bellezza, la stessa forza della più grande poesia, e che per il fatto di essere scritte con un loro ritmo e in rima potevano parlare alle nostre anime. Partito dai modelli dei suoi predecessori, il talking blues imparato dai pezzi di Pete Seeger e Woody Guthrie, Dylan scartò presto le vecchie forme per modellarne di nuove. Infranse tutte le regole del songwriting senza abbandonare il mestiere e la cura necessari per creare canzoni che durano. Alla poesia folk di Woody Guthrie e Hank Williams aggiunse la bellezza della lingua di Shakespeare, Byron, Dylan Thomas e l’apertura e la sperimentazione beat di Ginsberg, Kerouac e Ferlinghetti. E mentre il mondo si stava appena abituando a questa nuova forma, portò la sua musica in una direzione ancora diversa, fondendola con l’elettricità del rock’n’roll. «È troppo e non è ancora abbastanza», dice riferendosi alla natura aperta di molte delle sue canzoni. «Sì, be’, ma cosa puoi dire di sapere veramente delle persone?», mi chiede Dylan, ed è una bella domanda. Quanto a lui, per anni è stato un mistero, «praticamente impenetrabile», ha detto Paul Simon, e questo mistero non è stato penetrato dalla mia intervista né da nessun’altra. Le risposte di Dylan contengono spesso più punti interrogativi delle mie domande e, un po’ come le sue canzoni, danno molto a cui pensare ma non rivelano necessariamente granché dell’uomo che le ha scritte. Visto di persona, come hanno notato alcuni, ha qualcosa di Charlie Chaplin. Il corpo è più piccolo e la testa più grande di quanto ci si aspetterebbe: dà l’idea di un ragazzino che indossa una maschera di Bob Dylan. Possiede una delle facce più singolari del mondo; laddove certe celebrità in carne e ossa possono risultare sorprendentemente normali e non fare colpo, trovarsi faccia a faccia con Dylan è forse ancora più impressionante di quanto ci si aspetti. A vedere quegli occhi, e quelnaso, appare chiaro che può trattarsi solo di lui. E davvero, non è il tipo di volto che ci si aspetta di poter incontrare nella vita di tutti i giorni. Anche se Van Morrison lo ha definito il più grande poeta del mondo, lui non si vede come un poeta. «I poeti finiscono affogati nei laghi», dice. Eppure ha scritto alcuni tra i versi più belli che il mondo abbia conosciuto, versi d’amore e di indignazione, di astrattezza e di chiarezza, di eternità e di contingenza. Pur messo di fronte all’evidenza di un catalogo di canzoni che potrebbe contenere intere carriere di una dozzina di ottimi songwriter, Dylan mi dice che non si considera un songwriter professionista. «Sono sempre stato più confessionale che professionale», dice.

«Dammi un punto da cui cominciare»

«Be’, vedi, le motivazioni che ci sono dietro una canzone non le puoi mai conoscere veramente. Di chiunque sia la canzone, non puoi mai capirne le motivazioni. È una bella cosa sapersi mettere da soli nella condizione giusta per poter accettare completamente tutta la roba inconscia che ti arriva dal lavorio interiore della mente. E poi sapersi interrompere nel punto in cui riesci ancora a controllarlo, a metterlo su carta… Edgar Allan Poe probabilmente lavorava così. Così fanno quelli che scrivono seriamente, e ce ne sono alcuni, ma gli altri il materiale ormai lo prendono perlopiù dalla televisione o da qualunque altro mezzo che coinvolga i loro sensi tutti insieme. Il tempo dei grandi romanzi è finito. Devi essere in grado di tirare fuori i pensieri dalla tua mente. Nella nostra mente ci sono due tipi di pensieri: ci sono i pensieri buoni e ci sono i pensieri cattivi. A tutti vengono in mente pensieri di entrambi i tipi. Certa gente ne ha un maggior numero di un tipo e meno dell’altro. Ad ogni modo, questi pensieri ti passano per il cervello. E devi saperli prendere e scartare, se vuoi essere un songwriter, uno che canta le canzoni. Devi sbarazzarti di tutto quell’ingombro. Dovresti essere capace di scartarli, quei pensieri, perché non significano niente e ti fanno solo perdere tempo. È importante che ti sbarazzi di quei pensieri in blocco. A quel punto puoi partire da una sorta di esame distaccato della situazione. Dentro di te c’è un punto da cui puoi guardare le cose senza fartene influenzare troppo. Un punto in cui puoi dare un tuo contributo su una questione invece che prendere e solo prendere prendere prendere prendere. Come ormai succede in un sacco di situazioni della vita. Prendere prendere prendere, è l’unica cosa che si fa. Io che cosa ci ricavo? Questa sindrome è cominciata nel Decennio del Me, neanche mi ricordo quando è stato… Ma ci stiamo ancora dentro. Proprio adesso».

«Le melodie che ho in testa sono molto, molto semplici, si basano soltanto sulla musica che abbiamo ascoltato tutti da piccoli. Quella, e pure la musica che c’era prima di quella, andando indietro nel tempo, ballate elisabettiane e chissà che altro… Per me, è roba vecchia. Roba vecchia. Non è qualcosa che, con quella dose minimale di talento che ho, se lo puoi chiamare così, con quella dose minima di talento… Secondo me uno che si presenta sulla scena adesso dovrebbe senz’altro capire, interpretare quello che c’è là fuori, se è interessato, seriamente, a essere il tipo di artista che rimarrà un artista anche quando raggiungerà l’età di Picasso. Allora ti conviene imparare un po’ di teoria della musica. Eh sì, ti conviene, se vuoi scrivere canzoni. Invece di limitarti a prendere un arpeggetto hillbilly, capito, e basare tutto su quello. Perfino la musica country oggi è più orchestrata di un tempo. È meglio se arrivi ad avere abbastanza dimestichezza con la musica da non dovertela portare sempre in testa, ma poterla mettere per iscritto. È questa la gente che… si dedica seriamente a questo mestiere. La gente che fa così. Non quegli altri che vogliono solo sputare fuori quello che hanno dentro e devono per forza uscirsene con una grande idea e vogliono proprio raccontarla al mondo intero, questa idea, certo, puoi scriverci una canzone, da sempre ci si può scrivere una canzone. Le canzoni le puoi usare per qualunque scopo, sai? Il mondo non ha bisogno di nuove canzoni. La gente ne ha abbastanza. Ne ha troppe. Di fatto, se da oggi in poi nessuno scrivesse più canzoni, il mondo non ne soffrirebbe. Non importa a nessuno. Ce n’è già a sufficienza di canzoni da ascoltare, per chi le vuole ascoltare. Si potrebbero spedire a ogni uomo, donna e bambino della terra cento dischi ciascuno senza mai spedirne due copie uguali. Ce n’è a sufficienza di canzoni. A meno che non spunti fuori qualcuno con un cuore puro e qualcosa da dire. Allora è tutta un’altra storia. Ma se parliamo di songwriting, qualsiasi idiota può scrivere una canzone. Se vedi che lo posso fare io, lo può fare qualunque idiota. Non è una cosa tanto difficile. Tutti sono in grado di scrivere una canzone, così come tutti hanno dentro di sé un grande romanzo».

«Sai chi è una brava? Madonna. Madonna è brava, ha talento, mette insieme tutta una serie di cose, il mestiere che fa ha imparato a farlo bene… Ed è un mestiere che ti prende anni e anni di vita, se lo vuoi imparare. Devi fare grossi sacrifici. Sacrifici. Se vuoi sfondare, devi fare grossi sacrifici. È sempre così. È sempre così».

«È dentro di me. È una cosa che è dentro di me, mettermi un giorno da parte e andare a fare il poeta. Ma richiede dedizione. Richiede molta dedizione. I poeti non guidano la macchina. I poeti non vanno al supermercato. I poeti non vanno a buttare la spazzatura. I poeti non partecipano al consiglio d’istituto della scuola dei figli. I poeti non vanno a picchettare l’Istituto Case Popolari o quello che è. I poeti non… i poeti nemmeno parlano al telefono. I poeti in generale con le persone non ci parlano proprio. I poeti passano molto tempo ad ascoltare e… e di solito sanno perché sono poeti! I poeti vivono in campagna. Si comportano da gentiluomini. E vivono secondo il loro codice di gentiluomini. E muoiono al verde. Oppure affogano nei laghi. I poeti di solito muoiono senza happy end. Prendi la vita di Keats. Prendi Jim Morrison, se vogliamo chiamarlo poeta. Prendi lui. Certo, c’è gente che crede si sia nascosto sulle Ande».

«Si fa sempre fatica ad accettare ciò che è più grande di noi. Guardandosi indietro, si potrebbero arrivare alla conclusione che non è stato prodotto da nessuno. Non ti fa bene se ti metti a pensare come sarà recepito il tuo lavoro un domani. Sul lungo periodo ti fa male ragionare così».

«Sul pianoforte preferisco i tasti neri. E gli accordi di diesis e bemolle suonano meglio pure sulla chitarra. A volte quando una canzone è in bemolle, mettiamo per esempio in si bemolle, quando la trasponi sulla chitarra potrebbe convenirti abbassarla in la. Ma… prima tu hai detto una cosa interessante. La tonalità cambia i riverberi del suono della canzone. Nel mio caso, in genere le canzoni suonano molto diverse. Suonano… Quando prendi una canzone in bemolle, composta sui tasti neri del piano, e la passi alla chitarra, quindi sei in la bemolle, non siamo in molti ad amare queste tonalità. Ma a me non dà fastidio. (Ride.) Non mi dà fastidio perché tanto la diteggiatura è sempre la stessa. Per cui queste canzoni, anche senza il piano, che è comunque il suono dominante nelle canzoni in bemolle – che motivo c’è di comporre in bemolle se non per avere un suono di piano dominante? – le canzoni suonate in questa tonalità per essere state composte al piano hanno un suono diverso. Più profondo. Sì. Hanno un suono più profondo. Sui tasti neri tutto suona più profondo. Rimane il fatto che non sono tonalità da chitarra. Le guitar band di solito non amano suonare in bemolle. Il che peraltro mi fa venire in mente un paio di canzoni che forse suonerebbero meglio in bemolle».

«Dovunque ti sei andato a cacciare, c’è sempre un modo per tirartene fuori. Se vuoi uscirne. Che già è stata dura entrarci, nel pezzo. Ma appena ci entri dentro la cosa da fare è capire che devi subito uscire. E se non te ne vai via liscio e rapido non ha senso restare là dentro. Ti impantanerai sempre di più. Potresti passare anni a scrivere sempre la stessa canzone, a raccontare la stessa storia, a fare la stessa identica cosa. Per cui una volta che ci sei dentro, che ci sei scivolato dentro anche solo per caso, la cosa da fare è uscirne. Insomma, il tuo impulso primario ti porta solo fino a un certo punto. Ma dopo magari pensi: vediamo un po’, questa è o non è una di quelle canzoni che da un momento all’altro cominciano a scorrere lisce come l’olio? E all’improvviso ti metti a pensare. E quando la mia mente comincia a pensare: “Adesso che succede? Ah, qui c’è una storia da raccontare”, e comincia a entrarci dentro, sono subito nei casini. E di solito sono casini grossi. Magari va a finire che ti perdi l’idea che avevi avuto. Ci sono un sacco di modi per uscire da questo meccanismo. Puoicostringerti a uscirne cambiando tonalità. Un modo è questo. Prendere tutto il pezzo e cambiare tonalità, tenendo la stessa melodia. Vedi se questo ti porta da qualche parte. Più spesso che no questa cosa ti rimette in moto. Una volta in moto, ovviamente devi stare attento a non prendere la rotta sbagliata, ma intanto così sei di nuovo in moto. Diretto da qualche parte. E se poi anche questo metodo fallisce, e resti di nuovo arenato, puoi sempre tornare da dove eri partito. Due volte non funziona. Funziona solo se lo fai una volta. Torni indietro da dove eri partito. Sì, perché qualunque cosa tu scriva in la, in sol sarà una canzone completamente nuova. Questo mentre la stai ancora scrivendo. In sol [alla chitarra] ci sono troppe corde suonate a vuoto per non influenzare la composizione, a meno che tu non stia suonando gli accordi col barré».

«L’avrebbe fatto qualcun altro in qualche altro modo. Vabbè, e allora? E allora? È tremendamente facile sviare la gente in una direzione piuttosto che in un’altra. Alla gente sarebbe andata meglio senza di me? Certo. Avrebbero trovato qualcun altro. Magari altri avrebbero trovato altri e sarebbero stati influenzati da altri ancora».

«Sai, quando fai il musicista ti capita di girare il mondo. Non ti affacci ogni giorno dalla stessa finestra. Non percorri sempre la solita strada. Per cui devi abituarti a osservare qualunque cosa. Ma nella maggior parte dei casi la realtà ti colpisce, non serve nemmeno che la osservi. Ti colpisce. Come la “ferrovia gialla”, magari era un giorno di luce accecante e il sole batteva così forte sui binari in qualche luogo che mi è rimasto impresso. Non sono immagini escogitate a tavolino. Sono immagini che stanno lì e prima o poi escono fuori. Sai, se sono là dentro prima o poi devono uscire fuori».

«Slow Trainè una canzone per cui si potrebbe scrivere una canzone per ogni verso della canzone. Veramente, lo si potrebbe fare. Qesta non è che sia una cosa buona. In fondo no. Alla lunga magari la canzone avrebbe retto meglio se davvero avessi fatto così, se avessi preso ogni verso per farci una canzone. Se qualcuno avesse avuto la forza di volontà. Ma quel verso, anche lì, è un verso intellettuale. È un verso, «Well, the enemy I see wears a cloak of decency», che potrebbe essere falso. Potrebbe. Mentre invece «Standing under your yellow railroad», questo verso proprio non potrebbe. Sai, per Woody Guthrie la radio era sacra. E quando sentiva qualcosa di falso, lo sentiva alla radio che per lui era comunque sacra. Le sue canzoni però non erano false. Ora noi sappiamo che la radio non è una cosa sacra, ma per lui lo era. E molti erano influenzati da questo atteggiamento, quando io ero agli esordi. Insomma, si sa, tutte le canzoni della hit parade in fondo sono un mucchio di schifezze. Ma all’inizio, quando nessuno lo sapeva, questa faccenda della radio mi ha influenzato. Perché non lo sapeva nessuno. Hai presente: «If I give my heart to you, will you handle it with care?» [Se ti dono il mio cuore, lo tratterai con dolcezza?]. O «I’m getting sentimental over you» [Mi stai facendo diventare romantico]. A chi gliene frega un cazzo? È un concetto che si può esprimere in maniera pomposa e chi canta questa roba magari riesce a rifilarla al pubblico, ma siamo seri, dipende dalla sua bravura di cantante, non dal fatto che è una grande canzone. Anche Woody oltre a scrivere canzoni le cantava. Per questo molti di noi ci sono cascati. Ma di fatto in radio non c’è mai niente di buono. Non succede mai. Poi ovviamente sono arrivati i Beatles e praticamente hanno preso tutti per la gola. O eri per loro o eri contro di loro. Eri per loro o ti univi a loro, o quello che è. Allora tutti dicevano: “Be’, le canzonette non sono poi così male”, e a quel punto tutti volevanoandare in radio. Prima di allora la radio non contava nulla. I miei primi dischi non erano mai passati in radio. Non se ne parlava proprio! I dischi folk non passavano in radio. Non li sentivi mai alla radio e a nessuno importava che li passassero in radio. Proseguendo nella vicenda, anche dopo che sono venuti fuori i Beatles e tutti gli altri gruppi dall’Inghilterra, il rock’n’roll è rimasto una cosa americana. La musica folk no. Ma il rock’n’roll sì, è una cosa americana, anche se tutta cambiata e deformata. Gli inglesi ce l’hanno rispedita indietro, no? E hanno fatto in modo che ancora una volta ottenesse il rispetto di tutti. Così alla fine tutti volevano andare in radio. Adesso nessuno sa più neanche cosa sia la radio. Se ne parli con qualcuno non ti dice mai che gli piace. Non la ascolta nessuno. Ma d’altro canto la radio non è mai stata così importante. Però nessuno sa davvero come prenderla. Nessuno la può spegnere. No? E nessuno capisce più se in radio ci vuole andare o no. Magari vuole vendere un sacco di dischi, ma questa cosa c’è sempre stata. E invece per i cantanti folk avere delle hit non era mai stato importante… Oddìo, ho perso completamente il filo del discorso».

«È un altro modo di scrivere una canzone, certo. Parlare con qualcuno che non c’è. È il modo migliore. Il più vero. Dopodiché si tratta solo di vedere quanto è eroico il tuo discorso».

«Non devi per forza attraversare un periodo tormentato per scrivere una canzone, ma devi stare un po’ isolato dal resto del mondo. È per questo che molti, compreso me, scrivono canzoni nel momento in cui vengono respinti dalla società, da qualunque tipo di società. Perché così ne puoi scrivere dall’esterno. Qualcuno che non è mai stato fuori dalle cose può solo averne un’immagine vaga. Fuori dalla situazione in cui ti trovi. Ci sono tipi diversi di canzoni, ma si chiamano sempre canzoni. Ci sono tipi diversi di canzoni proprio come ci sono tipi diversi di persone, capito?»

«Per dire, un verso di Byron sarebbe una cosa semplice del tipo: «What is it you buy so dear / with your pain and with your fear?» [Cos’è che paghi a tanto caro prezzo / con il tuo dolore e il tuo ribrezzo?]. Ecco, questo è un verso di Byron, ma avrebbe potuto essere uno dei miei. Fino a un certo punto, forse agli anni Venti, la poesia era così. Così la si faceva. Era… semplice e facile da ricordare. E sempre ritmata. Aveva ritmo, che ci fosse o meno la musica».

«Scartare o tenere… mah, le canzoni le tieni se pensi che abbiano qualcosa di bello, se non lo pensi… puoi sempre darle a qualcun altro. Se hai canzoni che non farai, che proprio non ti piacciono… falle vedere a qualcun altro. Di nuovo, si riduce tutto a una questione di motivazioni. Perché fai quello che fai. Tutto qui. È un confronto con… la dea del sé. Dio del sé o dea del sé? Qualcuno mi ha detto che era una dea del sé. Mi hanno detto che è una dea a regnare sul sé. Gli dei maschi non si occupano di problemi così terreni. Solo delle dee… si abbasserebbero a tanto. Solo loro si inchinerebbero così a terra».

«Dunque, per me l’ambiente in cui uno scrive una canzone è di estrema importanza. L’ambiente deve tirarti fuori da dentro qualcosa che voleva uscire. È un discorso di contemplazione, di meditazione. Le emozioni allo stato puro non sono il mio forte. Perché vedi, io non scrivo bugie. È dimostrato: la maggior parte delle persone che dicono “ti amo” non lo pensano sul serio. L’hanno dimostrato dei dottori. Allora, l’amore genera molte canzoni. Moltissime, direi. Però ecco, io non voglio che le mie canzoni siano influenzate dall’amore. Così come non lo erano i pezzi di Chuck Berry o quelli di Woody Guthrie o di Hank Williams. Quelle di Hank Williams non sono mica canzoni d’amore. Le svilisci, quelle canzoni, se le chiami canzoni d’amore. Quelle sono canzoni venute dall’Albero della Vita. Non c’è amore sull’Albero della Vita. L’amore è sull’Albero della Conoscenza, l’Albero del Bene e del Male. Per cui nella musica pop ci sono molte canzoni d’amore. Ma a chi servono? A te no, a me nemmeno. L’amore lo puoi usare in molti modi che possono rivoltartisi contro e ferirti. Perché l’amore è un principio democratico. Una cosa da Greci. Un professore universitario mi ha detto che se leggi la storia della Grecia capisci tutto dell’America. Così nulla di quello che accade oggi ti confonderà più. Leggiti la storia dell’antica Grecia e di quando arrivano i Romani e non ci sarà più niente dell’America che ti metterà in difficoltà. Vedrai l’America per quello che è. Be’, ecco, magari ci sono un sacco di altri Paesi nel mondo a parte l’America… Due. Non te li puoi dimenticare».

«La mia mente l’ha sempre vista così. La musica. Come Paul Whiteman. Paul Whiteman crea un’atmosfera. Per me, quello crea un’atmosfera. I primi dischi di Bing Crosby. Creavano un’atmosfera, come quel suono di fiati un po’ spettrali alla Cab Calloway. I violini, quando le big band avevano un suono vero, senza lo sfarzo di Broadway. Da quando ha preso piede la fissa di Broadway tutto è diventato roba da lustrini e da Las Vegas. Ma non è sempre stato così. La musica creava un ambiente. Oggi non accade più. Come mai? Forse è la tecnologia che ha fatto fuori l’atmosfera e non ce n’è più bisogno. Perché abbiamo uno schermo che riteniamo tridimensionale. Che viene spacciato per tridimensionale. Che vorrebbe far credere di essere tridimensionale. Be’, sai, come nei vecchi film e in tutta quella roba che ha influenzato molti di noi che ci siamo cresciuti. (Raccoglie il flauto peruviano.) Come questa vecchia cosa qui, non è niente, solo una vecchia… cos’è?… Ascolta. (Suona una lenta melodia.) Ascolta questa canzone. (Suona ancora.) Ok. Questa è una canzone. Non ha parole. Perché le canzoni hanno bisogno di parole? Non ne hanno, infatti. Le canzoni non hanno bisogno di testi. No».

«La canzone è una cosa magica. Non si può costringerla in uno schema. Non è un puzzle. Non ci sono pezzi che si incastrano. L’immagine completa che ne viene fuori è qualcosa che nessuno ha mai visto prima. Ma sai come si dice, sia lodato Dio per i songwriters».

© minimum fax, tutti i diritti riservati Traduzione di Francesco Pacifico

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