Amy Winehouse, film e malinconie sonore.

«Sarà un film incredibilmente moderno, emozionante e attuale, in grado di catturare lo spirito del tempo e far risplendere una luce sul mondo in cui viviamo, in un modo che pochi altri film possono permettersi. Amy è stata un talento che appare una volta sola in una generazione, ha catturato tutti; ha scritto e cantato col cuore e noi siamo caduti vittime del sua incantesimo». Così presenta Asif Kapadia il progetto per portare la leggenda di Amy Winehouse sul grande schermo.
Non c’è bisogno di un film per celebrare Amy. Basta aspettare che finisca la pioggia, sbuchi timoroso il sole che si riflette sulle pozzanghere e armati di mp3, giacca leggera e stivali, passeggiare per la città ascoltando Valery. Il cielo si rischiara, come la mente, che sorride e le labbra iniziano a mimare i versi. Un po’ più difficile è, mentre continua la nostra passeggiata musicale, mantenere l’impassibile immobilità e noncuranza quando l’mp3 comincia a folleggiare Monkey man!
Aye aye aye, aye aye aye
(Tell you baby), you huggin up the big monkey man!
Amy con la sua voce così piena e graffiante, traballante sui trampoli esile e sottile, anche troppo. Una figura  tiranneggiata dalla satira per colpa del suo nido di capelli e quella tendenza alla cocaina e il goccetto in più. Satira che appare grottesca, a posteriori. Fissa nella mia mente l’ultima serie di concerti, dove Amy appariva offuscata, non riusciva a cantare, grattandosi le braccia tra i fischi. A Lucca non ci è mai arrivata. Il 23 luglio 2011 Amy fu ritrovata esamine a Camden Square, nord di Londra. Il mio biglietto è rimasto lì dov’era, nel cassetto dei desideri, insieme alle tre parrucche nere che indossai lo scorso Halloween per impersonarla.
Amy entra nel tragico club dei 27, che ci ha portato via, tra gli altri, Jimi Hendrix (18 settembre 1970, cocktail di alcool e tranquillanti, con un vago sospetto di omicidio pendente sulla sua compagna Dannemann, mai formalmente accusata) Jim Morrison (anche lui il 3 luglio1971 aParigi,referto ufficiale: arresto cardiaco, senza nessuna autopsia tanto che il tastierista Ray Manzarek definì la sua morte una «elaborata sciarada»), e Janis Joplin (4 ottobre 1970, overdose di eroina, al suo ventottesimo compleanno distava solo di tre mesi e diciassette giorni), Kurt Cobain (8 aprile 1994, suicidio, anche se rimane ancora molto controversa l’ultima parte della presunta lettera di addio, scritta in una grafia differente e che qualcuno ipotizza essere scritta dalla moglie Courtney Love).
Chissà se cantano insieme, in paradiso?
Per noi, rimangono Frank (2003), l’irresistibile Back to Black (2006) e il postumo Lioness: Hidde, oltre al ricordo di una pin up coperta di pin ups. E anche un film, tra poco.
E, la cosa più importante, muovere il piede a ritmo della sua musica, in metropolitana, quando ci rinchiudiamo nel piccolo mondo compreso tra due auricolari.
Tutto il resto, is a losing game.