Muse, il segreto in una lampadina

Londra - All’Emirates Stadium, casa dell’Arsenal, le aspettative sono davvero alte per «la band più eccitante dal vivo» , come ha stabilito con un sondaggio il sito del New Musical Express, uno dei più autorevoli sulla musica britannica. È sabato sera per la prima mondiale di un tour che toccherà l’Italia il 28 e 29 giugno allo stadio Olimpico di Torino e il 6 luglio all’Olimpico di Roma.
Cominciate a prepararvi perché la regola dei Muse, un po’ iperbolica, dice: più ce n’è, meglio è. Vale per il sound ridondante e per una messinscena così ricca di effetti speciali da allarmare, nei giorni scorsi, gli abitanti delle arie limitrofe durante le prove. Con 45 Tir per il trasporto di macchinari, computer e installazioni da galleria d’arte, il trio inglese viaggia con un baraccone che fa competizione anche agli U2, i megalomani nel rock.
Eppure, sabato sera l’attacco dei Muse è sottotono. Matt Bellamy e compagni tradiscono nervosismo con la falsa partenza di “Supermassive Black Hole” e al frontman scappa pure un’imprecazione. L’atmosfera inizia a scaldarsi con il ritmo funk di “Panic Station”: schermi giganti progettano le figure computerizzate di Obama, del premier inglese David Cameron e di Paul McCartney che si esibiscono in una divertente dance.
Ma è con “Knights of Cydonia” che i Muse travolgono i 60 mila fans che saltano all’ unisono schizzando le braccia al cielo. Per rendere ancora più potente “Animals”, ballata di protesta contro i crimini impuniti della finanza, un uomo d’affari, ripreso live nei maxischermi, attraversa la folla per poi accasciarsi sul palco sotto una pioggia di banconote. Sembrano euro ma da vicino si legge la scritta “Muso”. Il teatro va avanti: il bassista Chris Wolstenholme si avvicina ai piedi del “cadavere” e suona con l’armonica un elogio funebre.
Poi Matt Bellamy, con una giacca di pelle a righe bianche e nere, pantaloni rossi e un paio di scarpe più adatte a una gita in yacht che a un concerto rock, siede al pianoforte per la ballata “United States of Eurasia”: il testo è influenzato dal classico di George Orwell “1984” ma la musica tradisce l’amore del frontman per i Queen quando alterna il falsetto a un timbro di voce pieno, potente. Si sentono forti anche l’influenza di Prince e l’amore per la musica classica: dopotutto non ci sono molte band che mescolino una grande varietà di generi con la stessa efficacia dei Muse. Eppure la citazione di “House of the Rising Sun”, classico popolare reso celebre da The Animals e da Bob Dylan, si inserisce con difficoltà nella scaletta di stasera.
Lo stadio però ne canta ogni singolo verso. «Fumatori!» urla Bellamy, che sino ad allora non ha interagito con il pubblico «è il momento di tirare fuori gli accendini». Che nel 2013, equivale a dire: estraete gli iPhone e metteteli in funzione “torcia”. A quel punto tutto lo stadio è illuminato. Per “Unsustainable” entra in scena un enorme robot, presentato col nome di Charlie, e per completare l’eccentrico quadretto Bellamy bacia un fan vestito da Spider-Man fra il pubblico.
Un’enorme lampadina gonfiabile spunta a sorpresa sulla band e quando raggiunge il centro dello stadio ne esce una ballerina che fluttua leggera nell’aria mentre il leader è sdraiato per terra a cantare “Blackout”. Certo, l’effetto è spettacolare ma il vero punto di forza dei Muse resta nel talento dei tre musicisti: la disinvoltura con cui Bellamy si esibisce in assoli mozzafiato, mentre scorrazza per il palco, è travolgente. È stata la nonna a incoraggiarlo a studiare la chitarra quando aveva 14 anni. Il pianoforte invece lo suona dai 6 ed è anche figlio d’arte: papà è stato chitarrista dei The Tornados, gruppo inglese di culto degli anni ’60.
Al polistrumentista Bellamy va anche un insolito primato, quello di avere fracassato il maggior numero di chitarre: centoquaranta solo nel 2010. Quindi, almeno dallo show all’Emirates, ha buone probabilità di superare il record nel nuovo tour. Come suggerisce la foga che mette nel lanciare a terra lo strumento dopo l’esecuzione di “Survival”, brano ambizioso visto che lo aveva scelto come inno delle Olimpiadi londinesi.
Il finale è glorioso con i successi “Plug in Baby”, “Uprising”, dove la coreografia prevede anche un improvviso cambio d’abito, e “Starlight”. La folla è in adorazione, e c’è da aspettarsi la stessa reazione negli stadi dove lo spettacolo piomberà come un meteorite: agli ultimi Muse piace sperimentare con un sound da terzo millennio ma l’appeal delle canzoni-inno non sugge a nessuno.