Meryl Streep. La grandezza del “non farsi trovare”.

Non finiremmo più se ad ogni compleanno di Meryl Streep ci mettessimo a elencare tutte le sue formidabili incarnazioni (per citarne solo due degli ultimi dieci anni: Hannah Pitt in “Angels in America” e Sorella Aloysius ne “Il dubbio” ). Per questo suo sessantaquattresimo, ecco giusto alcune ammirate considerazioni.
Può capitare che anche i veri tough-guys della critica si ritrovino di punto in bianco prosternati ai piedi di un artista inattaccabile, incensurabile, invincibile. In una parola, superiore.
E’ emozionante leggere come Diderot si sciolga di fronte al maestro delle nature morte Jean-Baptiste Chardin: «O Chardin, […] è la sostanza stessa degli oggetti, è l’aria e la luce che tu afferri con la punta del tuo pennello e che fissi sulla tela».
All’inizio dell’anno scorso il rinomato e giudizioso critico cinematografico Paolo Mereghetti si stava diderottianamente sciogliendo per la performance di Meryl Streep in “The Iron Lady” (2011, Phyllida Lloyd): l’attrice – maga come lo Chardin di Diderot – spariva come Meryl Streep e riappariva come Margaret Thatcher.
Nessuno negherebbe che la Streep – che oggi compie sessantaquattro anni – sia una diva, ma tradizionalmente esserlo implica un metamorfismo incompleto: il pubblico si aspetta di intravedere la specifica del divo sotto il personaggio.
Invece Meryl Streep porta il metamorfismo alle estreme conseguenze. Non c’è un quoziente fisso di merylstreepità, ma un quoziente fisso di verità. Il pubblico la conosce e va a vederla appunto per “non trovarla”.
Katharine Hepburn la accusava di essere troppo cerebrale; c’è sì qualcosa di Meryl Streep che si vede in trasparenza: le rotelle del suo cervello. Sarà…
La Streep ha dichiarato di sentirsi una performer musicale: è sia la suonatrice sia lo strumento. Se noi radiografassimo un pianoforte, non ci stupiremmo di vedere al suo interno i martelletti che si danno un gran da fare. Ma non per questo la musica ci sembrerebbe meno magica e più costruita.
Pertanto, bando alle ciance: là dove si inchina il Mereghetti mi inchino anch’io. Bisogna permettere alla meraviglia di fare il suo lavoro, senza opporre resistenza, le poche volte che – fortunatamente – capita.