Michael Cunningham: «The Hours mi ha sorpreso, come il sesso»

La nostra intervista al Premio Pulitzer. Come scrive, i nuovi progetti e un altro film con Meryl Streep. E New York, «che è tutta la mia vita». Di Antonella Viale
Cinema, letteratura, creazione, Michael Cunningham si racconta senza reticenze, con profondità alternata a umorismo e autoironia.
Incontriamo il Premio Pulitzer al Festival degli scrittori di Firenze. Il cinema, dice, "Mi ha aiutato a prendere un po' le distanze da me stesso, a diventare più allegro e meno serio".
Meno autocompiaciuto è sottinteso. E tutto è iniziato con una delle sue scelte controcorrente, quando non ha voluto occuparsi della sceneggiatura del suo romanzo più famoso, The hours e lo ha abbandonato alla tastiera di David Hare, un professionista.
"Credo di essere l'unico scrittore vivente soddisfatto del film tratto dal suo romanzo e David Hare lo ha rispettato molto più di quanto avrei fatto io - continua Cunningham - Per me un romanzo è né più né meno che la cosa migliore che avresti potuto in quel preciso momento della vita. Il tempo passa, cresci, cambi: ogni tanto mi viene voglia di passare di libreria in libreria, cancellare frasi e scrivere note a margine di ognuno dei miei romanzi. E poi ero curioso di vedere che cosa avrebbe fatto con il mio lavoro un altro cervello, un altro cuore, un'altra intelligenza. Volevo essere sorpreso, come nel sesso, ci vuole un po' di sorpresa no?"
Ha avuto quello cercava: la sorpresa e la soddisfazione. Con un regalo in più, inaspettato che racconta con intensità e il volto incupito: "Abbiamo parlato di adattare il libro per il film, ma il libro è già un adattamento della vita. Infatti il personaggio di Julianne Moore è ispirato a mia madre, che non era una grande lettrice. Quando le ho portato il libro ero matto, credevo che si sarebbe sentita fiera di me: era un terzo mia madre, un terzo Virgina Woolf. Invece lei si è sentita umiliata e tradita. Più avanti le è stato diagnosticato un cancro, tutto si è concluso in fretta e ho capito che non avrebbe potuto vedere il film. Così ho chiesto al produttore le scene che aveva e ho il ricordo di noi due sul divano che guardavamo lei rappresentata da Julianne Moore, come se stessimo guardando la sua reincarnazione. E lei ha capito e ho pensato che il film stava dando a mia madre qualcosa che non ero riuscito a darle con la scrittura".
Di certo questo elemento autobiografico ha contribuito a consolidare un amore che c'era già, ma non era tanto intenso. "Non scrivo assolutamente mai pensando a un eventuale film" asserisce Cunningham: "se quando scrivi un romanzo cominci a pensarlo come punto di passaggio verso un'altra arte, sei già nei guai. Malgrado sia molto soddisfatto dell'adattamento di David Hare, non ho più scritto romanzi adattabili, sarà un caso? E tuttavia amo il cinema, anche quello scadente, sto scrivendo sceneggiature e, anche se penso che un romanziere debba aspirare a una profondità maggiore, sono tanto contento dell'horror che ho appena venduto a Hollywood..."
A proposito, che cosa sta scrivendo adesso? Un mucchio di cose, dice Cunningham: "Sto finendo una sceneggiatura che racconta di una donna illetterata che ha un figlio autistico sapiente e decide di non mandarlo a scuola per normalizzarlo, ma di rafforzare le sue doti, che sono fisica e matematica. Il film è già quasi in fase di realizzazione. Ne sto scrivendo un'altra per Meryl Streep, che rappresenterà una donna separata con due figli che riesce a tenere segreto il suo alcolismo. Infine sto scrivendo un romanzo su un uomo che non ha religione, ma una spiritualità tutta personale. È un tema molto diverso dai miei".
E come lavora? "Scrivo un grande casino e poi cerco di tirare fuori quello che serve. Siccome ho manie di grandezza sento che sarà una grande opera, in cui avrò messo tutto quello che so, tutto quello che so padroneggiare, spiegherò le ragioni della guerra di Crimea o i viaggi interstellari... Quando rileggo, vedo che ci sono cose buone e cose meno buone, ma non c'è nulla di quel progetto grandioso, umoristico, straordinario, sembra una cattiva traduzione. Uso solo personaggi inventati perché la vita vera comporta troppi coinvolgimenti emotivi. La sfida è proprio questa: far uscire i personaggi dal nulla. Mi chiedono sempre quale dei miei personaggi è autobiografico: tutti".
Cunningham è spesso ospite della fondazione Santa Maddalena, voluta dalla baronessa Beatrice Monti della Corte, vedova di Gregor con Rezzori e fondatrice del premio che gli ha intitolato, per accogliere scrittori e botanici e dargli la possibilità di lavorare in pace: scrive in Italia, gli piacerebbe viverci? Che effetto gli fa tutta quella bellezza?
"L'Italia che conosco, tra Firenze e Venezia, è un altro pianeta, in cui le persone e gli oggetti sono completamente diversi da quelli negli Stati Uniti. Se fossi così totalmente preso dalla bellezza italiana non potrei scrivere, mi schiaccerebbe. Non sono come Stendhal, la bellezza non mi sopraffà, ma mi stimola. New York è tutta la la mia vita, quando sono all'estero sono un turista: devo lavorare a casa mia. È come se fossi sposato con New York: un'interessantissima e difficile persona".