Nymphomaniac? Un falso tremendamente vero

"Lars Von Trier ama le donne" come ci rassicura la protagonista di Nymphomaniac, Charlotte Gainsbourg? Non saprei, certo le sue donne, in tutti i suoi film, non si amano. E in questo almeno c'è una grande verità. L'unica, forse, nel grande falso che rappresenta l'approdo artistico di un autore che aveva cominciato con il 'Dogma' dell'assoluta realtà (vale a dire la più la grande bugia possibile) e oggi proprio con l'affascinante e insostenibile Nymphomaniac decide di regalarci una serie di inganni senza precedenti.
Il porno tanto sbandierato in mesi di stillicidio mediatico è espulso dalle versioni in normale distribuzione (4 ore divise in due parti, che usciranno da noi ad aprile distribuite da Good Films), gli organi genitali sono sovrapposti in digitale o posticci, le scene di sesso più forti e che coinvolgono le star, in realtà, non sono mai avvenute e l'illusione si affida alla computer graphic, mentre quelle esplicite che si vedono nella versione espansa (5 ore mezza presentate in anteprima a Berlino e destinate a paesi con leggi che ne consentano la proiezione) sono state girate da attori hard su set concomitanti.
Infine la protagonista ninfomane Joe, interpretata dalla Gainsbourg, per tutta la prima parte si limita a narrare la discesa nella dipendenza dal sesso, ma delega l'intera gamma della lussuria e del degrado al suo alter ego adolescente e giovanile Stacy Martin, debuttante. Insomma, tutto sta nel crederci e nella confessione della Gainsbourg che fa da cornice al film, capace di evocare orgasmi da Bignami o erezioni palesemente meccaniche.
Che grande inganno, come rivela una frase in apertura del capitolo Specchio: "l'immagine che vedete in uno specchio al primo sguardo pare la replica esatta dell'oggetto che osservate. E tuttavia è falsa perché l'oggetto sarà sempre una versione riflessa e dunque imperfetta dell'originale"!
Sulla stessa ambiguità si fonda il cinema maestoso del controverso regista danese, furbo di talento che inventa digressioni astratte graffiate sulla pellicola e tensioni quasi insostenibili, capace di debordare verso il ridicolo senza troppo soffermarsi (la scena dei due amanti occasionali di colore che in un sordido alberghetto perdono tempo a decidere tra loro la posizione migliore per consumare sesso con Joe), sempre imbrigliato in voli pindarici sulla cosmogonia e la natura, le metamorfosi della ninfa o le levitazioni orgasmiche della bimba nei campi, o frusti accostamenti tra la morte al lavoro e i furibondi amplessi al buio con sconosciuti e poi però capace di inanellare capitoli sublimi come quello che accosta la "Polifonia" di Bach alle quotidiane variazione sul tema erotico della ninfomane, "tre voci (tre maschi) ognuno con il suo carattere, ma in totale armonia".
Le eroine di DeSade seguivano la partitura del Divino Maestro, scalavano le disavventure della virtù e i gradini ardui della sottomissione, apprendevano le regole di una messa in scena dell'erotico teatrale, mistica e catartica fino alla noia. In Von Trier l'umiliazione è scatenata e voluta dalla vergine stessa, origina da quella somma confusione, piuttosto antica, tra femminilità e dominio dell'irrazionale, che palesemente tormenta l'autore .
Le masochiste di Von Trier, umiliate e offese in ogni film, sono schiave solo di se stesse, soprattutto quando si consegnano al Dominante come fa Joe/Charlotte in un crescendo di punizioni e frustate organizzate con devastante puntiglio, a furia di dettagli matematici e perciò più degradanti. Schiave di se stesse, o almeno così le vuole l'autore. Che pure le ama, dice la sua protagonista. Sarà per questo che, nel bene o nel male, l'estrema finzione ci trascina verso un sentimento disturbante di realtà.
Nella caduta di Charlotte, nella sua vita trascorsa a punirsi e a godere di questo, dove l'amore è bandito e quando arriva è una folgore che inibisce l'erotismo, qualcosa di profondamente vero c'è, anche se avremmo preferito non saperlo.
http://www.huffingtonpost.it/piera-detassis/nymphomaniac-un-falso-tremendamente-vero_b_4754913.html