Vincent il cattivo

L’attore è protagonista, con Léa Seydoux, della nuova versione di “La Bella e la Bestia”, un kolossal digitale tutto europeo. Diretto da Christophe Gans, in Italia uscirà il 27
PARIGI - Vincent Cassel ha l’aria di uno che non crede alle favole. E che non se le racconta. È uno degli attori più virili e raramente, sullo schermo, la sua virilità ha ceduto alla tenerezza. È diventato famoso con "L’odio" (1995), violentissima storia di disagio urbano, e da quel momento è sempre stato un duro. Ladri, banditi, mafiosi russi, ex detenuti, ma anche psicoanalisti, perfino direttori di corpi di ballo: tutti cattivissimi se hanno il volto di Cassel. Questa volta, invece, è l’eroe romantico di una favola. Assieme a Léa Seydoux, l’attore francese è protagonista di una nuova versione cinematografica di "La Bella e la Bestia", il film di Christophe Gans con il quale domenica prossima si concluderà il Festival di Berlino (uscita italiana il 27 febbraio).
La storia è sempre quella che Madame de Villeneuve pubblicò nel 1740 ma dimenticate Jean Marais, romantica Bestia di Cocteau del 1946; e il musical di Broadway (in scena a Parigi per l’intera stagione nel teatro Mogador); anche il cartone animato di Walt Disney (1991). Qui la poesia c’entra poco e Bella è il contrario della giovane donna impaurita e devota, almeno quanto la Bestia lo è del mostro innamorato che si trasforma in principe. C’è sempre l’amore che rende belli e buoni, ma stavolta i due hanno piglio e si tengono testa in un filmone pieno di effetti speciali, con esterni e panorami totalmente digitali. Vincent Cassel, irriconoscibile, non indossa maschere. Il suo muso di Bestia è ricostruito al computer (solo gli occhi sono i suoi) attraverso dieci milioni di puntini agitati dal “motion capture”. «In testa avevo solo un casco di pelo. Tutto il resto è fatto in postproduzione con modernissime tecniche digitali. Se avessi dovuto indossare una maschera avrei rinunciato al ruolo», dice l’attore seduto in un albergo parigino. Ha un’abbronzatura da Copacabana e il contrasto tra gli occhi azzurri, la pelle ambrata e i capelli lasciati elegantemente grigi è seducente. È uno dei pochi che possa permettersi un pullover a pelle senza sembrare un bullo di periferia. Ha modi rapidi, ma cortesi; parla un inglese quasi perfetto, un buon italiano (dopo quasi vent’anni accanto a Monica Bellucci) e adesso che vive a Rio anche il portoghese. In portoghese ha girato l’episodio di Fernando Meirelles del film collettivo "Rio, ti amo" (dopo Parigi e New York) del quale fa parte anche Paolo Sorrentino. Tra poco girerà con Maiwenn e in primavera volerà in Italia per recitare, in inglese e accanto a Salma Hayek, nel nuovo film di Matteo Garrone tratto da Lu cunto de li cunti, raccolta di favole del diciassettesimo secolo.
Si è trasformato in un attore di fantasy?
«In realtà "La Bella e la Bestia" è la mia seconda incursione nel genere dopo "Il patto dei lupi" del 2001, sempre diretto da Gans. Credo che le favole siano importanti. Attraverso le loro metafore i bambini comprendono la vita. Da piccolo adoravo ascoltarle sui dischi. Ancora ricordo "Il piccolo principe" letto da Gérard Philipe».
Nessuna timidezza nell’ereditare il ruolo che fu di Jean Marais?
«Conosco bene il film di Cocteau ma trovo che sia invecchiato. Molto poetico per l’epoca, non lo è più adesso. Personalmente non mi ha mai fatto impazzire: di Bella non ricordo neanche il volto. E quando si dimentica un’attrice... Il vero protagonista di Cocteau era la Bestia. Nel film di Gans è Bella. E di Léa Seydoux non ci si dimentica facilmente».
Identificazione con il personaggio?
«Tutti abbiamo un potenziale bestiale ma siamo animali sociali, e per vivere insieme dobbiamo dominare l’istinto. Ci sono ancora, però, cose e situazioni che trasformano l’uomo in un animale spaventoso: il denaro, il razzismo... Nessuna identificazione».
Che cosa le è piaciuto in un film così lontano dalle sue corde?
«Il coraggio di Gans di voler fare un film epico con una coproduzione totalmente europea. È una grande scommessa per il nostro cinema che non riesce a liberarsi del naturalismo della Nouvelle Vague, che racconta sempre storie personali, che sembra vergognarsi ad amare storie come Tarzan o James Bond o Black Swann, che pensa che, se parlato in inglese, il cinema sia minore. In Italia avevate un genio come Fellini che raccontava sogni. E adesso? Avete perfino criticato un film come "La grande bellezza"».
Lo ha visto?
«Certo, e spero che vinca l’Oscar. È coraggioso e cinico. Per questo forse a qualcuno non è piaciuto».
Girato negli studi Babelsberg di Berlino, dove Lang girò Metropolis, La Bella e la Bestia è una coproduzione francotedesca. L’asse diventa anche cinematografico?
«Non penso a questo. Penso piuttosto che sia un film ambizioso e possa competere anche con il mercato anglosassone».
In tre parole: perché ha accettato di girare con Matteo Garrone?
«Go-mor-ra. Ho risposto? E, aggiungerei, una gran bella sceneggiatura». 
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