Charlotte Gainsbourg, vita di un'effrontée

Charlotte Gainsbourg non ha scelto la via del cinema per arrivare al successo. Per lei, da sempre esposta ai media, lo schermo diventa un’esplorazione di sé che a tratti prende il sapore di una Via Crucis, con ferite inferte tanto al corpo quanto all’anima. Una parabola che, dopo i ruoli estremi per Lars Von Trier, incrocia sentieri battuti dalla "gemella italiana" Asia Argento.
Incompresa lo era stata per prima, quando, con indosso jeans troppo larghi per quel fisico già esile e allungato e una maglia alla marinara, scappava via da una famiglia che le stava stretta, da corteggiatori improvvisamente aggressivi, al ritmo della hit dell’estate, la Sarà perché ti amo dei Ricchi e Poveri tanto amata dai francesi.   Era il 1985 e la quattordicenne figlia d’arte, e non di vip a caso ma della coppia più scandalosa del cinema e della musica, il "maledetto" Serge Gainsbourg e la bellissima Jane Birkin, debuttava sul grande schermo per Claude Miller in quello splendido ritratto giovanile che è, ancora oggi, dopo tanti anni, L’Effrontée.   Il broncio, rimasto inalterato, era sembiante esteriore di un’età adulta che premeva per emergere mentre lei, la Charlotte del film, strepitava per conquistarsi il suo diritto alla rêverie, contrastato dalla figura materna di Bernadette Lafont. Di fronte alle fantasticherie sulla nuova amica, l’adolescente Clara, bella, bionda, musicista di talento, che l’avrebbe portata con sé in tournée, l’ex musa di Truffaut le gridava “E cosa sarai per tutta la vita? Una sognatrice? Allora la tua sarà una vita di sofferenza! È questo che vuoi? Soffrire?”.
La carriera artistica di quella ragazzina magra e ossuta avrebbe fornito presto la risposta, sia al primo quesito, come i  sognatori di professione cui dà vita ne L'arte del sogno di Michel Gondry, sia al secondo: Charlotte Gainsbourg non ha trovato la via del cinema per arrivare al successo. Quello, del resto, insieme all’attenzione morbosa dei media, lo aveva avuto già come diritto di nascita. Spiata dai paparazzi e  dai suoi stessi genitori, che – racconta – hanno sempre aperto le porte della loro casa, messo in vetrina la propria vita di relazione – con il picco Je t’aime, moi non plus – e familiare: nel 1984, eccola sdraiata su un letto, in camicia e slip accanto al padre, nel video musicale di Lemon Incest, dove canta “L’amore che non faremo mai insieme è il più bello e il più violento”.   Il cinema diventa allora una via, paradossalmente più autentica, per scoprirsi e trovarsi, al di là delle etichette e degli sguardi imposti. Un’esplorazione difficile, che a tratti prende quasi il sapore di una Via Crucis, con ferite inferte tanto al corpo quanto all’anima, per arrivare a una liberazione, a una nuova consapevolezza di sé. In questo cammino artistico era perfettamente naturale che la Gainsbourg incrociasse la via di Lars Von Trier, che vi ha pressoché ritrovato in carne e ossa una delle sue eroine, l’interprete più vicina alla Bess de Le onde del destino, pronta a offrirsi alla macchina da presa con la stessa ingenuità, con la stessa fiducia, nonostante l’aria elegante e controversa.
Già, perché Charlotte Gainsbourg reca in sé un paradosso: quello dell’essere una donna di grande personalità, con quello sguardo ostintato e sfrontato, e un’attrice capace di apparire a tratti assolutamente inerme. Come la vuole l'autore tanto amato (alla notizia che Nymphomaniac chiuda la loro collaborazione si è detta addolorata) al secondo film insieme, Melancholia, dove la ignora, concentrandosi su Kirsten Dunst, per gettarla in una condizione d’abbandono efficace per la parte. “La voglio esattamente così: angosciata” dirà il danese alla produttrice, vietandole di rassicurare l’attrice durante le riprese. Nei tre film girati insieme, Von Trier assume uno sguardo da padre-padrone riproponendo un gioco voyeuristico che sembra quasi una quadratura del cerchio rispetto alle performance infantili. Come se, offrendosi interamente nuda all’occhio della cinepresa, mostrando anche l’infilmabile, si riappropriasse  integralmente del suo corpo.
Trovarsi sullo schermo, indagarne il confine con la vita, quella vera, che nel frattempo la rende moglie, madre, e non solo attrice ma anche cantante, interprete raffinata e musa nientemeno che di Beck, insieme al quale vince premi su premi. Dopo la Jane Eyre di Franco Zeffirelli che ne sfrutta i tratti irregolari per dare vita a una delle eroine più atipiche della letteratura anglosassone, Charlotte affronta sempre ruoli che definiscono la donna nel suo ruolo familiare: figlia in Pranzo di Natale, film all star della Thompson, che la accoglie nella grande famiglia del cinema francese che conta, e poi moglie e madre: in procinto di diventarlo, come in Mia moglie è un’attrice del marito di Yvan Attal, in cui di nuovo vita e schermo si confondono; madre negata come in 21 grammi di  Iñárritu, in cui tenta in ogni modo di avere un figlio dal marito Sean Penn.
Madre snaturata e distratta, infine, nell’ultimo film di Asia Argento, dove incontra la sua versione transalpina, anche lei figlia di genitori ingombranti, ribelle, spregiudicata, forse solo più italiana. Charlotte e Asia condividono lo stesso passato e di certo lo stesso presente, diverse solo per indole caratteriale: più timida e bon ton Charlotte, che sembra amare le provocazioni soltanto sullo schermo; più incontinente, intemperante Asia, che firma infatti un film sgangherato ma traboccante di vita. Incompresa, sorta di nuovo Effrontée, è il manifesto di un cinema dell’infanzia che guarda con invidiabile sincerità tanto a Comencini come a Truffaut, passando appunto per il film di Miller.   Impudenti e sfrontate al cinema o nella vita, col ruolo di questa madre tanto affascinante quanto crudele, Asia e Charlotte danno vita a un transfert continuo, che le vede ora bambine indifese ora adulte, venute su in un mondo che le voleva cresciute prima del tempo (in un memorabile e lontano episodio di Roma-Milano, viaggio on the road accanto a Loredana Bertè, Asia ricordava proprio, della sua infanzia, il senso di inadeguatezza “la vergogna di essere bambina”).   Con un taglio da diva anni Settanta alla Daria Nicolodi, la Charlotte di Incompresa, è una femme fatale immatura, imbronciata, sboccata, che nell'impeto di sincerità della regista ricorda anche la Asia madre di oggi, in una aperta autocritica agli amori sbagliati e distratti, monito analogo a quello della piccola Giulia Salerno che sigilla il film. In quest'opera piena di generazioni di figli dello schermo, da Gianmarco Tognazzi, che può finalmente rifare e storpiare il padre Ugo, alla delicata Anna Lou, figlia di Asia e Morgan, Charlotte Gainsbourg gioca come non mai col proprio cliché: da icona eurochic, come l'aveva voluta Todd Haynes per il piccolo ma potente ruolo in I'm not there, in uno dei frammenti migliori del film, alla denigrazione sorniona e divertita di quella stessa maschera.
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