Charlotte Gainsbourg: "Mi piace farmi sfruttare"

“Do fiducia ai registi che mi permettono di spingermi sempre più in là” dice la protagonista di Tre Cuori, in cui è una donna inafferrabile, un concentrato di pura passione. Perché in amore “non si può che essere estremisti”.
L'intrigo è perfetto, quasi magico. La malinconia - per le occasioni perdute, per la fatale mancanza di sincronia - distribuita a profusione. Lei è “inafferrabile”. Merce rara l’evanescenza, Charlotte Gainsbourg dovrebbe metterla come prima voce del curriculum. In Tre cuori, melodramma di Benoît Jacquot in cui divide la scena - il triangolo - con Chiara Mastroianni e Benoît Poelvoorde, è la donna che suscita la passione. Basta un unico incontro, naturalmente fatale, tra l’uomo che ha perso l’ultimo treno e lei, oggetto di molti futuri palpiti, perché il meccanismo implacabile del destino si metta in moto. Gli amanti si perdono, un ritardo, il cuore che fa cilecca, i numeri di telefono mai scambiati, lei parte e lui incontra un’altra donna, si placa, la sposa. Ma le due donne, la moglie e l’oggetto del desiderio, sono sorelle. 
Gainsbourg che, hanno scritto “irradia emozioni come un filamento incandescente”, appare e scompare, quasi un fantasma. E anche adesso che è seduta qui, composta sul divanetto scomodo, mentre beve tè verde e sussurra le risposte, le gambe lunghe e nude, i tacchi vertiginosi, i capelli spettinati, vien da pensare che se c’è una creatura perfetta per il melodramma, quel luogo in cui si fanno solo scelte radicali («Ti lascio, parto, torno, ti amo, mi uccido»), di solito tra molti sospiri, quella è lei: «Non si può che essere estremisti in amore» chiosa. 
Benoît Jacquot dice di lei che «scivola via, occupa lo spazio e il tempo in un modo speciale, quasi un’apparizione». Si sente davvero così fantasmatica? 
Mi sento sempre fuori posto. Anche qui, adesso. C’è un abisso tra me e un’attrice vera come Meryl Streep. Lei comanda il suo talento. Io non lo so fare, né mi piacerebbe. Non è che mi lasci trasportare dalle cose, ma c’è molta fragilità nella mia vita. Basta un nulla perché tutto cambi direzione. E non lo dico per umilità, è che proprio non so dove sono. 
Però non sbaglia un colpo. E tiene duro in situazioni dove altri abbandonano. È l’unica ad aver fatto tre film con Lars Von Trier. Le sue colleghe scappano… 
Le mie scelte non sono mai state professionali. È sempre stato tutto molto sentimentale. E prima del piacere che mi dà il lavoro, c’è sempre stato il desiderio di far parte di una famiglia. Ora è diverso, perché ho una famiglia mia e mi sono costruita come persona, ma da adolescente per me ogni film portava con sé una nuova comunità di adozione, un mondo in cui esistevo, in cui ero io. Tutti i figli d’attori hanno questo problema quando decidono di essere attori a loro volta, hanno bisogno di distogliere lo sguardo degli altri dai propri genitori per attirarlo su di sé. Questo, all’inizio, mi rendeva triste perché poi loro passavano ad altro, mi dimenticavano. Poi ho capito che non c’era falsità, i loro sentimenti erano veri, solo che avevano imparato ad accenderli e spegnerli.
Si dice fragile, eppure non sembra che abbia paura di esporsi. Ha pubblicato un disco dal titolo Irm (in francese l’acronimo per Tac) in cui parlava dell’emorragia cerebrale che l’ha colpita nel 2007, un evento che deve averle provocato dolore e paura.
Molta paura. Ma la musica e il cinema sono due universi separati in me. Non ho problemi a parlare di cose intime in musica. Non lo faccio mai al cinema, lì sono al sicuro dietro una maschera. L’intimità c’è, ma è solo con l’autore: i registi conoscono tutto di me, più di chiunque altro al mondo. 
Ha due personalità che mette in gioco e alterna? 
Quello che mi dispiace è che nella musica io non ho una personalità da mettere in gioco, sono solo io. E mi turba, perché non è gran cosa: ho solo la mia voce. Nei film invece sono usata, sfruttata da un regista, ma mi piace farmi sfruttare. 
Le piace... In che senso? 
Io mi fido. È tutto lì. Se ti lasci prendere dalla paura, non ti viene voglia di dare niente. Io mi fido e ho voglia di spingermi sempre più in là. 
In Tre cuori lavorava con una famiglia vera: Catherine Deneuve interpreta la madre sua e di Chiara. Come si è sentita? 
Ho fatto il mio primo film con Catherine, anche allora interpretava mia madre. Era molto amica di mio padre, l’ho vista spesso durante l’infanzia, con Chiara ogni tanto ci si incrociava. Non è come essere parenti, forse... vicini di casa. 
Suo marito è attore e regista, avete tre figli: crede seguiranno le vostre orme? 
È orribile decretare che qualcuno sia predestinato a un certo destino. Ma io intravedo già il loro desiderio. Mia madre lo vedeva in me ben prima che io ne fossi consapevole. Spero che i miei figli intuiscano, guardandomi, il piacere che può dare questo mestiere. 
Sarebbe la quarta generazione. 
La quinta. In realtà anche il mio bisnonno era attore. Sono contenta di avere iniziato giovane quando ancora non mi rendevo conto del fardello dell’eredità. 
Crescere a Parigi con due genitori celebrity non deve essere stato facile. 
Per me sono sempre stati solo i miei genitori. La loro sola stranezza era la vita notturna: passavano la notte nei locali e arrivavano a casa la mattina quando per me era ora di uscire. A parte quello erano persone dai gusti semplici. Solo molto dopo ho compreso che mio padre era un genio. 
Quando l’ha capito? 
È morto quando avevo 19 anni, e a lungo ho pensato che avrei potuto lavorare solo con lui, attraverso le sue parole, le sue poesie, le sue canzoni. Poi, quasi senza accorgermene, sono diventata una persona indipendente.
http://www.iodonna.it/personaggi/interviste/2014/charlotte-gainsbourg-intervista-5073844481.shtml