Muse: "Voliamo sul pubblico col nostro drone rock. E prima o poi suoneremo nello spazio"

Abbiamo parlato con la band inglese in occasione dell'unica data italiana del loro tour, questa sera a Roma davanti a 33mila persone: "Siamo troppo seri? Va bene anche se ci ascoltano solo per divertimento"
QUEL ramo del lago di Como si è incrinato tempo fa, dopo nove anni di fidanzamento con una psicologa italiana durante i quali è diventato vicino di villa di George Clooney, ma non si è mai spezzato: a Matthew Bellamy l'Italia sta molto a cuore. «Mi manca molto, il lago di Como poi è uno dei posti più belli al mondo. Ho una casa lì con studio di registrazione, ma ora ci vado meno spesso. Apparteneva al compositore Vincenzo Bellini. Mi piace pensare che il suo spirito ancora sia presente tra le mura. Vivere lì ha cambiato il mio modo di concepire il cibo, in Inghilterra non siamo così sofisticati. Ho imparato a sentirmi in simbiosi con le stagioni e gli ingredienti. Non so parlare bene la lingua, ma so fare la pasta in casa. I tagliolini, con uova e farina 00».
Il rapporto speciale dei Muse - la rock band inglese che Bellamy ha fondato venti anni, sette album e quasi venti milioni di copie fa - con il nostro paese torna a rinsaldarsi questa sera con l'unica data italiana del Drones World Tour , 33 mila biglietti venduti che hanno fatto registrare il tutto esaurito all'Ippodromo delle Capannelle di Roma per la rassegna Postepay Rock In Roma . L'ultima volta nella Capitale, nel 2013, decisero di riprendere con le telecamere il concerto allo Stadio Olimpico che diventò il dvd e cd ufficiale del tour, Live at Rome Olympic Stadium .
Bellamy: «Era un azzardo, perché non suonavamo in città da oltre dieci anni, e la volta precedente era stato in un posto molto piccolo. Si chiamava... Colosseum? Ah, no: Palladium. Molte band non arrivano fino a Roma perché scendere giù ha costi alti, ma noi ci tenevamo particolarmente. Ed è andata benissimo, quindi abbiamo scelto di registrare lì il nostro dvd dal vivo davanti a 80 mila persone».
Chris Wolstenholme, bassista: «Alcuni amici e familiari arrivati a Roma già da qualche giorno per il concerto di stasera mi hanno avvertito sulla grande ondata di caldo».
Qualche anno fa dicevate di voler suonare nello spazio. Credete di riuscirci?
Wolstenholme: «Alla fine potrebbe succedere davvero, la tecnologia magari ce lo permetterà presto. In fondo c'è già il progetto Virgin Galactic di Richard Branson per portare visitatori nello spazio. Intanto, dopo le date nei festival, penseremo alla scenografia del prossimo tour e ci piacerebbe utilizzare i droni, tema del nuovo album. L'importante è che non ci siano pericoli per il pubblico».
L'album " Drones ", per la prima volta al numero uno anche negli Stati Uniti, è una riflessione sulla tecnologia che minaccia l'umanità, un immaginario tra Isaac Asimov e "The Wall" dei Pink Floyd. Non temete mai di essere presi troppo sul serio?
Bellamy: «Non so, proponiamo un insieme di vari elementi. Ci sono musiche energiche per divertirsi ma anche considerazioni sulla vita contemporanea».
Wolstenholme: «In realtà in questa fase della nostra carriera siamo molto seri. Poi ognuno ci ascolta con lo spirito che vuole».
Una rock band può ancora cercare di cambiare le persone?
Wolstenholme: «A me è successo con i Nirvana. Ero un adolescente quando uscì Nevermind . Forse dopo di loro il rock non è più riuscito a essere così influente. Per me furono fondamentali. Mi autorizzavano a sentirmi diverso in mezzo agli altri a scuola. Ma l'aspetto autodistruttivo di Kurt Cobain non mi ha mai affascinato».
Bellamy: «Io avevo nove o dieci anni e ascoltai Crossroads in una registrazione dal vivo di Eric Clapton e rimasi stregato. Mi fece venire voglia di suonare la chitarra. Poi ho scoperto Jimi Hendrix e, anch'io, i Nirvana. E a 16 anni la musica classica mi ha spinto allo studio del pianoforte e dell'orchestrazione».
Non vi piacerebbe comporre una colonna sonora?
Bellamy: «Magari, ma sono sempre impegnatissimo con i Muse. Tutte le energie sono dedicate a questo progetto, la musica per film non è una cosa da affrontare nei ritagli di tempo. Mi piacerebbe lavorare con Quentin Tarantino, un fuoriclasse. E con David Fincher. Inutile dire che ammiro da sempre Ennio Morricone. A parte lui non conosco molto della musica italiana. Conosco gli Afterhours, perché lavoriamo con il produttore e ingegnere del suono Tommaso Colliva. Lo abbiamo conosciuto alle Officine Meccaniche, lo studio di Mauro Pagani dove abbiamo registrato anche gli archi dell'ultimo album».
Siete sempre stati restii alle collaborazioni con altri artisti, è una scelta precisa?
Wolstenholme: «Che senso avrebbe lavorare con altri quando abbiamo Matt che oltre a suonare la chitarra è anche un ottimo pianista? In realtà ci piacerebbe molto fare qualcosa con Elton John, una leggenda, ci siamo andati vicini con un brano per le Olimpiadi di Londra, ma poi non è andata in porto. Ma avere The Edge degli U2 che suonava con noi sul palco di Glastonbury anni fa è stata la realizzazione di un sogno».
http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2015/07/18/news/muse-119319127