La sfida di Antony: "In scena il mio manifesto transgender per un nuovo femminismo"

Esce il 10 novembre in dvd il documentario sullo spettacolo "Turning" che il cantante allestì nel 2004 con la sua "community"
ROMA. LE PAROLE gli escono a fatica, come se ogni frase affondasse la lama in un dolore antico e ancora vivo. Oggi Antony Hegarty, 43 anni, fa parte dell'eccellenza della musica  -  una voce diversa che ha conquistato il mondo con collaborazioni preziose (da Lou Reed a Franco Battiato; da Björk a Marina Abramoviæ) e i trionfi delle performance di Antony and the Johnsons, che nel 2005 si aggiudicarono il prestigioso Mercury Prize con l'album I am a bird now  -  ma il percorso di artista transgender è stato lungo e non sempre glorioso. Quando nel 1990 approdò New York, la città non era generosa con la scena alternativa come ai tempi dei Velvet Underground. "È stato solo grazie alla mia perseveranza se sono arrivato fin qui", mormora. "Cantavo, cantavo ogni giorno, avevo un disperato bisogno di esprimermi, per reagire agli anni in cui ero costretto a nascondere la mia sensibilità, una qualità femminile che mio padre, devoto al culto della virilità, disapprovava; in casa mia intuito ed emotività erano considerati le più infime manifestazioni dell'essere umano".
Sul potere femminino Antony ha costruito un'ideologia (il manifesto Future Feminism) e una carriera; aveva già una solida reputazione quando mise in moto il primo tour mondiale, iniziato in sordina a Manhattan nel 2004 e terminato due anni dopo nei grandi teatri d'Europa. Per affermare l'identità del transgender, Antony e il regista Charles Atlas organizzarono un visual show in cui alle canzoni si accompagnavano le performance di tredici modelle che ruotavano in scena mute ma fortemente caratterizzate da immagini proiettate sul grande schermo. Le scene dei concerti europei tenuti nel 2006 a Londra, Roma, Parigi e Madrid  -  con l'aggiunta di speech rivelatori, commoventi e a volte scioccanti  -  furono montate in un documentario, Turning, che il 10 novembre sarà disponibile in dvd+cd.
"Riguardandolo oggi lo vedo come l'incrocio del trans-femminismo con quello che ormai da un po' di tempo chiamo future-feminism ", spiega Antony. "Sono ritratti di personaggi che fanno parte della mia community di Manhattan immersi nella musica di Antony and the Johnsons. La pièce, che fu presentata per la prima volta nel 2004 a New York nella Biennale del Whitney Museum, è un omaggio a coloro che fanno parte del mio universo creativo, un progetto nato da un'idea di Johanna Constantine che poi ho sottoposto a Charles Atlas; volevamo esibire questi personaggi in una sorta di immobilità che riuscisse a esprimere in maniera prepotente la loro identità".
Come fu viaggiare per l'Europa con la sua community?
"Quando quel progetto prese piede io ero ancora un artista semisconosciuto, fu dopo il Mercury Prize che le cose cambiarono radicalmente. Turning è stato l'ambasciatore del mio pensiero, la chiave d'accesso all'Europa. Fino a quel momento non pensavo di poter arrivare a un pubblico vasto come quello del Barbican di Londra o dell'Auditorium di Roma".
Fu l'inizio di una love story con l'Italia che è culminata con l'esibizione all'ultimo Sanremo, il massimo del mainstream.
"Non solo la risposta della platea fu entusiastica, ma lo show continuava dietro le quinte e ovunque ci spostassimo: i ragazzi volevano incontrarci, parlare, capire. Ci facevano un'infinità di domande per capirne di più, per cercare di scoprire quale fosse la nostra sessualità, donne diventate uomini? Uomini diventati donne? Le informazioni sui trangender erano ancora poche".
All'epoca scrissero che Turning era una sorta di manifesto transgender, a lei però la definizione non piacque.
"È riduttiva, non tutte le protagoniste sono transgender anche se hanno lottato e sofferto per affermare un'identità al di là il genere; è dunque più appropriato parlare di transfemminilità. Alcune, come Johanna Constantine e Kembra Pfahler, sono artiste visionarie con le quali condivido l'idea del femminino nell'arte represso, violato e brutalizzato dalla cultura maschilista. Il manifesto Future Feminism va ben al di là di morbose connotazioni sessuali, ma riflette sul potenziale ecologico del femminino. Le ultime scene di Turning sono state girate nel 2006, il film fu presentato in anteprima all'Olympia di Parigi tre anni dopo, quando le modelle transgender stavano già diventando un fenomeno globale  -  una sorta di trans-revolution dilagata nell'arte, nella moda, persino in pubblicità. Per evitare che diventassero dei simboli sessuali decidemmo di farle volteggiare come dervisci e di mostrarne solo i volti. L'idea di questo cerchio di femminilità avrebbe ispirato tutta la mia carriera, l'inizio del pensiero espresso da Future Feminism: è tempo che i poteri politici vengano affidati alle donne organizzate in un sistema di governance circolare".
Quando si è reso conto come artista del potere del femminino nella società?
"Come transgender è stata un'inclinazione naturale. Sono nato in un'epoca in cui non ci era dato partecipare alla discussione tra i generi. Cultura e religione ci hanno impedito di esprimere quanto profonda sia la connessione del nostro essere al pianeta e quanto la biologia del nostro corpo sia in sintonia con esso. Per i transgender non esiste altro modo di liberarsi da questa schiavitù se non quello di connettersi direttamente con madre natura. Che è anche un'opportunità per ristabilire il contatto con la propria essenza. Al di là del genere".
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