È morto Oliver Sacks, neurologo e autore di 'Risvegli'

Il cancro lo aveva colpito al fegato, lui aveva annunciato la malattia con un pezzo sul New York Times
NEW YORK - Il famoso neurologo e scrittore britannico Oliver Sacks è morto oggi a New York all'età di 82 anni. Lo scrive ilNew York Times, citando Kate Edgar, la sua assistente.
Sacks, come lui stesso aveva annunciato a febbraio in un editoriale sul Nyt, era affetto da cancro, che lo aveva colpito al fegato ed era entrato nella sua fase terminale. Tra i suoi libri più famosi, Risvegli, del 1973, eL'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, uscito nel 1985.


Nato a Londra da una famiglia di medici, laureato a Oxford, Sacks era uno studioso che amava scrivere ed era diventato popolare in tutto il mondo con alcuni bestseller come "Risvegli" del 1973 (da cui fu tratto il film con Robert De Niro e Robin Williams) e "L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello" del 1985. Prima che la malattia lo costringesse a interrompere ogni attività, aveva insegnato neurologia e psichiatria alla Columbia University e alla NYU School of medicine.
Come raccontato nella sua biografia, Sacks nel 1966 andò a lavorare in una casa di cura nel Bronx, una clinica di lunga degenza "dove molti pazienti avevano speso decenni in uno stato di congelamento, come statue umane, incapaci di muoversi". Sacks riconobbe la loro situazione come una conseguenza dell'epidemia di encefalite letargica che colpì il mondo dal 1916 al 1927, e cercò di curarli con una terapia a base di farmaco L-dopa che gli permise di riavere interazioni e "risvegli", ma che alla fine si rivelò illusoria. Da quell'esperienza nacquero il libro Risvegli e l'omonimo film in cui il suo personaggio era interpretato da un ispirato Robin Williams.
A febbraio di quest'anno aveva annunciato pubblicamente la sua malattia: "Non riesco a fingere di non avere paura, ma il sentimento predominante è la gratitudine: sono stato un essere senziente su questo splendido pianeta, e questo è stato un privilegio e un'avventura". Aveva appena scoperto di avere metastasi multiple al fegato conseguenza, abbastanza rara, del melanoma oculare che lo aveva colpito nel 2006.
Oliver Sacks aveva anche creato una Fondazione non profit impegnata nel "migliorare la comprensione del cervello umano e della mente attraverso il potere della narrativa non fiction e dei casi di studio". L'obiettivo è diffondere gli scritti di Sacks per "ridurre lo stigma della malattia mentale e neurologica, supportando un approccio umano alla neurologia e alla psichiatria". Una missione che aveva reso Sacks un riferimento unico per le famiglie a contatto con il disagio mentale, al punto che riceveva 10.000 lettere al giorno.
A dispetto di una serie disparata di problemi medici e chirurgici che includevano un cancro allora superato, gravi problemi di vista e alle ossa, Sacks scriveva di essere "felice di essere vivo". Felice "di aver provato tante cose - alcune meravigliose, altre orribili - di aver saputo scrivere decine di libri e di aver ricevuto innumerevoli lettere da amici, colleghi e lettori. Di aver goduto quella che Nathaniel Hawthorne aveva definito 'una comunione col mondo'".
E tanta serenità lasciava spazio a pochi rimpianti, come scrisse nei giorni del suo ottantesimo compleanno: "Aver perso tanto tempo. Essere ancora terribilmente timido come ero a 20 anni. Non parlare altro che la mia lingua madre. Non aver viaggiato e conosciuto altre culture come avrei voluto". Ma il bilancio è quello di una vita ben vissuta e pronta ad essere vissuta ancora per anni: "Spero di completare la mia vita", scriveva il neurologo, auspicando che alcuni dei suoi libri continuassero "a parlare ancora" dopo la sua morte. Di qui la bellezza degli 80 anni: "Uno può ancora guardare lontano e avere un vivido, vissuto senso della storia impossibile quando si è più giovani. Posso immaginare, sentire nelle mie ossa, il significato di un secolo. Non avrei mai potuto farlo a 40 o 60 anni".
http://www.repubblica.it/cultura/2015/08/30/news/morto_oliver_sacks-121880615/

Il nudo maschile nella fotografia

Il nudo maschile nella fotografia è una forma di ritratto fotografico avente come soggetto un modello nudo. Questo tipo di ritratto ha fatto molta fatica ad essere accettato come forma legittima di espressione artistica nella storia della fotografia.
Quando iniziò la prima fioritura della fotografia, tra il 1830 e il 1840, la sua funzione principale era considerata la produzione di ritratti degli individui. Ciò che fino ad allora era stato possibile solo ai nobili, divenne alla portata di tutte le classi sociali.
I fotografi percepivano però che esisteva un mercato emergente al di fuori del ritratto. Nacque così il commercio di fotografie che ritraevano oggetti, case, strade, paesaggi e, finalmente, nudi.
Secondo David Leddick, autore del libro The male nude (1999), la società impose inizialmente la commercializzazione esclusiva delle fotografia di nudi femminili, anche con fini erotici per quanto camuffati sotto una patina "artistica": ma poiché alla maggioranza degli uomini non era interessata alla vista del nudo maschile, in un'ottica maschile nessuno si poneva il problema se qualche donna avesse potuto apprezzare la bellezza artistica contenuta in un nudo maschile. E gli uomini che potessero ammirare la bellezza in tale forma erano una minoranza.
Alle origini, la fotografia venne vista a lungo come una forma di riproduzione meccanica del reale, una "fotocopia" della realtà, priva della mediazione artistica permessa da forme d'arte molto più antiche, come la pittura e la scultura. La capacità della fotografia di mostrare le cose "per quel che erano" da un lato affascinava, dall'altro però spaventava per quella che veniva giudicata la sua "crudezza", che non permetteva gli abbellimenti normali nelle arti tradizionali.
Nella fotografia applicata al nudo si apprezzò subito la possibilità di fornire modelli ai pittori e ai disegnatori a un prezzo imbattibile, ma si deprecò la crudezza della rappresentazione, che faceva continuamente sfiorare il sospetto dell'oscenità e della pornografia anche quando il soggetto non aveva intenti espressamente sessuali. Questo pericolo era molto più presente, si sosteneva per giustificare il tabù nei confronti del nudo maschile, con il corpo dell'uomo, che ha i genitali esposti (se non esibiti) alla vista, cosa che invece non avviene in quello femminile. A tale problema sfuggono in origine solo le fotografie espressamente prodotte per fornire modelli agli artisti (e ancor oggi conserviamo molte immagini che hanno perfetti corrispondenti in quadri o statue), e quelle scientifiche, per esempio destinate ai medici: in entrambe il nudo era presentato come "necessità".
Tra le foto prodotte per artisti (in alcuni casi addirittura su commissione, come nel caso di Jean Louis Marie Eugène Durieu (1800-1874) con Eugène Delacroix, o di Gaudenzio Marconi (1841-1885) con Auguste Rodin) spiccano per interesse quelle di Cavalas e dei già citati Durieu e Marconi.
Particolarmente interessanti come documento dell'ideologia che vedeva il nudo fotografico quale "supporto tecnico" all'artista sono le immagini del libro Der act di Otto Rieth e Max Koch (1894), nelle quali il fotografo rinuncia ostentatamente a qualsiasi nobilitazione artistica del soggetto. I modelli sono collocati accanto a specchi per moltiplicare i punti di vista dell'immagine, appesi a trapezi, rovesciati su divani appoggiati in verticale al muro (con un effetto talora comico), badando esclusivamente a massimizzare l'utilità tecnica dell'immagine, anche a scapito della bellezza della composizione.
Tra le foto scientifiche di nudo spiccano ancor oggi per il loro valore estetico quelle del britannico Eadweard Muybridge, che negli USA studiò il moto degli animali, inclusi gli esseri umani (per l'appunto nudi) scattando a brevissimi intervalli sequenze d'immagini attraverso una serie d'apparecchi fotografici non sincronizzati, e unendo poi le immagini risultanti in sequenze che rendevano visibili le fasi del movimento (cronofotografia). I suoi studi furono pubblicati nel 1887 e conquistarono infine, anche nei puritanissimi Stati Uniti, una prima, timida rispettabilità "scientifica" al nudo, aprendo la strada anche agli esperimenti di un artista come Thomas Eakins. (La vulgata che vorrebbe Muybridge quale "sdoganatore" del nudo maschile a livello mondiale non ha ovviamente la minima base storica, essendo stato il nudo maschile prodotto da decenni in Europa anche prima del suo lavoro).
Le possibilità offerte in campo erotico dalla fotografia non sfuggirono affatto ai nostri antenati, che non a caso iniziarono a produrre foto di nudo o seminudo femminile praticamente in contemporanea con l'invenzione del nuovo strumento tecnico.
Tale produzione fu però duramente contrastata dalle autorità, e spesso confinata a creazioni fatte "in proprio" (che circolavano tramite originali fotografici, stampati uno per uno, e non riprodotte su libri o riviste a stampa a basso costo, come oggi), dalla diffusione clandestina, spesso prodotta per e spacciata nei bordelli, nei quali serviva anche ad esibire al cliente in modo comodo e rapido (e "senza veli") il "catalogo" delle prostitute presenti.
Ancora più rara e ancora più perseguitata fu la produzione erotica di nudo maschile, che aveva un mercato quasi esclusivamente omosessuale, in un mondo in cui l'omosessualità era in sé stessa un reato in molte nazioni occidentali.
Per questo motivo la foto erotica di nudo maschile fu costretta ad apparire sotto aspetti maggiormente "accettabili" per la società dell'epoca.
L'arte, di cui si è già parlato, fu ovviamente l'alibi principale che permise una produzione limitata (e comunque perseguitata) di nudo erotico maschile, di prezzo elevato e quindi riservata ad una élite. Poiché la fotografia iniziò ad essere accettata come un'arte a sé relativamente tardi (ancora a XX secolo avanzato si dibatteva sul fatto se lo fosse o no), una parte di questa produzione si camuffò nella categoria sopra discussa dei "modelli per artisti".
Un altro alibi fu la fotografia "antropologica" o "etnologica", relativa a popoli percepiti come "non civili" (e quindi "scostumati"), e abitanti in zone in cui, per il clima, la (semi)nudità era comune. Questa produzione toccò anche paesi meno lontani, ma nei quali il turismo omosessuale portava i potenziali clienti: l'Italia soprattutto, ma anche i Paesi del Nord Africa, con la proposta di ragazzi del luogo seminudi o nudi del tutto. La più celebre produzione di questo tipo è probabilmente quella dello studio Lehnert & Landrock, che operò in Nord Africa, proponendo foto "antropologiche" ed "esotiche" di nudo integrale femminile, accanto a foto più castigate, ma di sensibilità un po' pedofila, di ragazzetti semi svestiti. Si noti che questi soggetti, che oggi sarebbero senza dubbio tacciati di pedofilia, furono all'epoca riprodotti come cartoline e venduti (e spediti attraverso il normale servizio postale) a migliaia di esemplari. La mentalità dell'epoca giudicava infatti, all'opposto di quanto facciamo noi oggi, meno immorale il nudo di bambini rispetto a quello di adulti. I segni della pubertà, a iniziare dal pelo, specie quello pubico, erano all'epoca considerati come automaticamente "sessuali", e quindi "osceni". Viceversa il nudo preadolescente era considerato come meno evocativo della sessualità, e per questo era più facilmente accettato. (Questa osservazione vale ovviamente anche per gli altri tipi di foto di nudo dell'epoca).
La nascente fotografia sportiva costituì un altro campo in cui era lecito, anzi addirittura logico, esibire la bellezza di un corpo maschile nudo o seminudo, anche se il suo utilizzo per soddisfare la domanda del mercato di immagini di nudo maschile fu un fenomeno che si sviluppò solo dopo la Seconda guerra mondiale, massimamente negli USA. A questo tipo di fotografia si rivolgevano coloro che avevano una preferenza per il corpo maschile adulto e virile, mentre la foto d'arte tendeva allora a preferire il corpo adolescente o comunque dell'adulto dalle caratteristiche maschili non troppo marcate. Con la scusa della "statuarietà" furono prodotte e smerciate in migliaia di esemplari cartoline rappresentanti celebri lottatori o sollevatori di pesi dell'epoca. Assimilabile alla fotografia sportiva era in questo senso anche la foto circense, venduta alle esibizioni pubbliche di forza (nei circhi, ma anche nei teatri) che ebbero molto successo a cavallo fra XIX e XX secolo, creando vere e proprie "star" del muscolo, le cui foto adeguatamente discinte erano prodotte in massa per essere vendute a spettatori e fan.
Viceversa, in genere la fotografia scientifica (medica, antropometrica, criminologica, antropologica) non fu utilizzata a fini artistici, anche se talora gli istituti medici e scientifici si rivolsero a fotografi che furono artisti; le foto commissionate avevano comunque un fine quasi esclusivo di documentazione, che non permise quasi mai una resa con valore d'arte, e tanto meno erotica. Per questo non si ha notizia di una produzione erotica di nudo maschile spacciata attraverso l'alibi della foto scientifica.
Esistette infine una produzione commerciale "da bordello", specie francese, di intenti apertamente pornografici, la cui natura e diffusione attende ancora d'essere studiata adeguatamente.
In più di un caso i fotografi che usarono l'arte come alibi erano artisti davvero, cosa non sorprendente in un'epoca in cui l'otturatore non era stato ancora inventato e il fotografo doveva calcolare "ad occhio" le esposizioni e quindi la qualità della luce, dopodiché doveva provvedere da solo anche allo sviluppo, alla viratura eccetera. Non a caso in molti campi della fotografia i primi fotografi erano stati in origine pittori.

Wilhelm von Gloeden
Come pittore aveva studiato anche Wilhelm von Gloeden (1856-1931), nobile tedesco trasferito in Sicilia per problemi di salute, che dovette trasformare l'hobby della fotografia in professione a seguito di un tracollo finanziario, producendo per un trentennio immagini arcadiche di ragazzi siciliani camuffati da pastori neoclassici.
Inizialmente accademico e pittorialista, Gloeden seppe letteralmente inventare un mondo fantastico, totalmente suo, nel quale il nudo era "disinnescato" dalla carica esplicitamente erotica, e reso accettabile per la mentalità dell'epoca attraverso il richiamo a una classicità ideale, avulsa dalla realtà.
Il carattere omosessuale delle sue produzioni di nudo maschile era comunque evidente ai suoi clienti, ma l'alibi si dimostrò sufficiente a permettere a Gloeden di lavorare indisturbato (anche se non sempre al riparo di polemiche e accuse di fare "commercio di carne umana"), per tutta la vita. Negli ultimi anni della sua vita, però, il tipo di ragazzo efebico da lui prediletto passò di moda, rimpiazzato dal gusto per un nudo maschile più retorico, muscoloso, adulto.

Nella fotografia di Gloeden, e dei suoi contemporanei, il nudo si emancipa infine dalla pretesa di essere un sussidio per la pittura, e diventa di per sé la ragion d'essere dell'immagine. Addirittura, a questo punto dell'evoluzione il rapporto fra pittura e fotografia si rovescia: saranno le incisioni di Mariano Fortuny a suggerire le pose di alcune celebri fotografie di Gloeden, mentre una delle sue immagini in assoluto più celebri, il Caino, non è altro che la riproposizione del "Nudo assiso sul bordo del mare" di Flandrin (oggi al Louvre).

Wilhelm von Plüschow
Un approccio diverso da quello di Gloeden ebbe il cugino Wilhelm von Plüschow (1852-1930), forse un po' meno dotato dal punto di vista artistico del parente stabilitosi a Taormina, ma paradossalmente più "moderno" nel suo approccio alla fotografia, che intese maggiormente come un prodotto industriale legato alle richieste di un mercato.
Plüschow iniziò a fotografare prima di Gloeden, stabilendosi prima a Napoli e poi a Roma, e producendo il nudo (sia maschile che femminile) su scala, appunto, "industriale".

Nella sua opera l'alibi artistico è più tenue, e molto spesso i giovani da lui ritratti non pretendono di essere altro che ragazzi proletari italiani, coi segni del lavoro manuale sul corpo, belli, sfacciati e magari pure "disponibili". Non a caso l'attività di Plüschow ebbe termine catastroficamente dopo che un processo, iniziato nel 1907, lo condannò per prossenetismo e lo espulse dall'Italia (nel 1910). Questo fatto mostra quanto, in assenza di un mercato esplicitamente pornografico (come ai giorni nostri) la foto di nudo potesse scivolare in un uso apertamente erotico, e non fosse poi eccessivamente distante (specie per quanto riguarda il reclutamento di modelle e modelli) da àmbiti non propriamente artistici.

Vincenzo Galdi
Da questo punto di vista è analoga la parabola di Vincenzo Galdi (attivo circa 1895-1907), che fu a Napoli modello ed amante di Plüschow, lo seguì poi a Roma come assistente, e infine produsse e commercializzò in proprio nudi maschili e (soprattutto) femminili. Galdi produsse il nudo in un'ottica ormai pienamente (e troppo precocemente) "industriale": accanto a foto d'arte posate, che dimostrano un gusto apprezzabile e una competenza tecnica matura, sta una produzione apertamente pornografica, qualitativamente poco curata, in cui appaiono erezioni, e nella quale le dimensioni del membro del modello sono messe in "debita" evidenza.

Questo era troppo, a maggior ragione per la società del tempo: Galdi fu travolto dallo stesso scandalo di Plüschow, e non si sa più nulla di lui dopo il 1907; si pensa perciò che abbia abbandonato la fotografia.

Frederick Rolfe
Un altro straniero che scelse l'Italia per fotografare il nudo maschile fu lo scrittore inglese Frederick Rolfe (1860-1913). Le sue foto di adolescenti italiani, per quanto di buon livello (al punto che qualcuna fu anche edita sulle prime riviste di fotografia), non vanno comunque al di là di un buon dilettantismo

Gaetano D'Agata
Infine, un epigono italiano di Gloeden, il fotografo taorminese di paesaggi Gaetano D'Agata (1883-1949), provò a far concorrenza al suo concittadino con foto di ragazzi (anche molto giovani) seminudi; tuttavia le sue immagini, pur essendo di buona qualità tecnica, dimostrano per lo più una scarsa sensibilità verso questo tipo di soggetto, soprattutto a causa di una cura insufficiente nella messa in posa, a cui invece faceva molta attenzione il suo concorrente. La scarsa reperibilità attuale di queste sue immagini fa comunque pensare che fin da allora il responso del mercato non fosse stato favorevole.

Tra i fotografi che contribuirono, al di fuori d'Italia, a dare dignità artistica alla foto di nudo maschile, va segnalato l'americano Fred Holland Day. Day si sforzò di dare dignità "pittorica" alla fotografia, attenuando quella che era vista allora come la "crudezza" dell'immagine fotografica attraverso messe in scena accuratissime e manipolazioni che rendevano sfumati, e un poco onirici, i contorni del corpo ritratto.
La nascita del cinema, all'inizio del XX secolo, creò un nuovo campo d'applicazione "legittima" per il nudo (non integrale), sia femminile che maschile: le foto "discinte" dei divi del grande schermo, che iniziarono ad essere proposti e venduti come "sex symbols". Fin dall'epoca dei divi del cinema muto ci rimangono foto di attori quali Rodolfo Valentino o Ramón Novarro a torso nudo o in costume da bagno.
Queste foto erano commissionate dagli stessi "studios" che avevano sotto contratto gli attori, ed erano destinate soprattutto a un pubblico femminile di "fans", tramite riviste specializzate, sempre più diffuse e vendute a basso costo anche a livello popolare. Da questo punto di vista, il cinema crea un nudo maschile "popolare", per quanto sempre molto sorvegliato e soprattutto mai integrale.
Accanto a questo settore, fino alla Seconda guerra mondiale crebbe costantemente la fotografia legata al "culto del corpo" tipico dei movimenti salutisti e nudisti diffusi in molti Paesi europei, anche a livello di massa. Questo fenomeno permise la nascita delle prime riviste dedicate alla cultura fisica (tra cui fu celebre, longeva e spesso assai audace la francese "La culture physique"), da cui deriva il nostro termine culturismo.
Ovviamente, gli editori si resero conto del potenziale commerciale di questo prodotto, che poteva essere consumato anche da chi non frequentava palestre, spingendoli a pubblicare immagini sempre più sensuali ed erotiche, fatto sempre salvo il principio di non mostrare mai i genitali nudi. Tra i fotografi più apprezzati oggi, fra quanti appartennero a questa fase, si segnala qui Kurt Reichert.
La autorità e le chiese non videro comunque di buon occhio tale fenomeno, che fu regolamentato e ostacolato laddove i regimi autoritari lo bollarono come immorale (in particolare, in Italia, col fascismo la produzione di nudo maschile cessò quasi del tutto fino agli anni settanta). Tuttavia qualche riflesso di questa tradizione culturale trasuda anche nell'arte dei regimi totalitari, che ritennero conveniente inglobare per i propri fini (in genere bellici) l'esaltazione del corpo proposta dal movimento della Cultura fisica. Si spiega così come mai traspaia a volte una sensibilità omoerotica in immagini fotografiche ufficiali prodotte dal fascismo e dal nazismo (e perfino in Urss). Con il film Olympia di Leni Riefenstahl, considerato un capolavoro nonostante la committenza venisse esplicitamente dal regime nazista, questo atteggiamento culturale approdò perfino nel cinema.
In Italia Elio Luxardo (1908-1969) produsse immagini di nudo maschile (in genere utilizzando sportivi e accentuando l'aspetto "virile") anche durante il periodo fascista. La sua produzione ebbe comunque una diffusione elitaria, ed è ancora in attesa di una riscoperta e valorizzazione.
Quanto al nudo integrale, durante tutto il periodo fra le due guerre il commercio di foto di questo tipo rimase comunque un fenomeno elitario, spesso clandestino, ristretto ad alcune nazioni soltanto, e riservato a originali "artistici", con ovvie conseguenze sul prezzo e le quantità offerte sul mercato.
Nel dopoguerra, pur permanendo in Europa la tradizionale produzione di nudo maschile legato all'arte e allo sport (artisticamente splendide sono le foto di nudo di olimpionici e culturisti proposte dagli anni trenta ai sessanta del XX secolo dallo Studio Arax di Parigi), la leadership della produzione passa decisamente agli USA, che paradossalmente erano una nazione assai più puritana di quanto non fossero in quel periodo mediamente i paesi europei. Il nuovo benessere di massa, e la crescita vertiginosa della sottocultura omosessuale, avevano però portato a un'esplosione della domanda di nudo maschile commerciale, e la chiusura delle frontiere a immagini considerate "oscene" costrinse gli statunitensi a dotarsi infine di una produzione nazionale.
Non senza contrasti, arresti, sequestri, un nucleo di fotografi diede così vita alla cosiddetta fotografia "beefcake" (di "bistecconi"), sfruttando come paravento il fenomeno in enorme ascesa del culturismo per spacciare come foto di "cultura fisica" immagini di uomini coperti solo da un cache-sexe sempre più vertiginosamente piccolo.
Si trattò di una vera produzione di massa, smerciata o per corrispondenza, o attraverso riviste di culturismo, che di culturismo si occupano ben poco e di culturisti discinti invece molto. Fra i nomi più celebri sicuramente spiccano quelli di Bob Mizer della Athletic Model Guild e di Bruce Bellas ("Bruce of Los Angeles"), ma di elevata qualità artistica si rivelano anche le foto, pur commerciali, di Lon of New York (sin dagli anni quaranta), Douglas of Detroit, Milo of Los Angeles, Chuck Renslow (Kris of Chicago), della Western Photography Guild, di James Bidgood (autore di un universo onirico in cui il "kitsch" assurge ad arte, ispirando successivamente artisti come Pierre e Gilles) e di studi o artisti meno noti come Demi-Dieux, David of London, Vince of London, del francese Jacques Ferrero ed altri ancora. In Italia opera Peppino di Torino, un fotografo ancora interamente da studiare, che ritrae i culturisti italiani; i suoi risultati non sembrano però paragonabili (anche per mancanza di mercato locale che gli permettesse di crescere) a quelli delle controparti statunitensi.
Questo tipo di produzione dilagò ben presto anche al di fuori degli Usa, facilitata dal fatto che alcuni dei culturisti favoriti da queste riviste (per esempio Steve Reeves) divengono star mondiali attraverso il cinema peplum hollywoodiano. Nonostante le autorità italiane si opponessero, anche con sequestri, alla diffusione di riviste culturiste statunitensi, esse ebbero diffusione anche nel nostro Paese. Nel quale peraltro la foto di nudo maschile sembra in questo periodo totalmente scomparsa.
Va notato che con il fenomeno beefcake, il confine tra foto di nudo artistico e foto commerciale erotica viene deliberatamente confuso per due o tre decenni: fotografi di grande talento artistico lavorano nel settore commerciale con foto (per l'epoca) eroticamente allusive, mentre a volte la foto puramente d'arte, o con pretese d'essere tale, spesso si rivela meno audace e più conservatrice di quella commerciale.
Tra i fotografi d'arte vanno comunque segnalati per originalità gli statunitensi George Platt Lynes (di grande eleganza classica, talvolta surreale, e che peraltro vendette sotto pseudonimo le sue immagini a riviste omofile europee), e Carl Van Vechten (con una particolare predilezione per i ritratti di uomini di colore, allora rara negli Usa), il francese Raymond Voinquel (raffinato, colto e molto "classico"), il tedesco Herbert List (anch'egli d'ispirazione "classicista"), ed Herbert Tobias (aperto anche a raccontare la nascente comunità gay di Parigi e Berlino degli anni cinquanta del XX secolo).
Il nudo maschile fotografico integrale fu impiegato per la prima volta in pubblicità nel 1967, in Francia.
Ovviamente uomini nudi in pubblicità erano presenti fin dai tempi dei manifesti Liberty, ma si trattava essenzialmente di disegni, più o meno pittorici. E beefcake fotografati in costumi adamitici erano già stati impiegati fin dal secondo dopoguerra per promuovere attrezzi ginnici o affini. Ma il primo uomo totalmente nudo compare solo alla fine degli anni sessanta, in un annuncio realizzato dall'agenzia Publicis per reclamizzare una ditta di abbigliamento intimo, la Selimaille.
L'annuncio presentava il giovane modello greco Frank Protopapa ritratto di profilo, con la testa rivolta verso lo spettatore, e con le mani conserte a coprire il pube. L'istantanea fu scattata dal fotografo francese Jean-François Bauret.
Nel 1968, la rivista "beefcake" americana Grecian Guild Pictorial vince un ricorso alla Corte Suprema degli USA, che finalmente riconosce al nudo maschile, anche integrale, la possibilità di essere considerato arte. È lo spiraglio che apre la diga alla produzione di un'infinità di riviste, ovviamente tutte "artistiche", di nudo maschile, fenomeno che in breve tempo forza i confini del "comune senso del pudore". Ciò apre a sua volta la strada alla produzione di pornografia vera e propria, in massima parte rivolta al mondo gay e solo in minima parte a quello delle donne.
Il mondo del "beefcake" crolla così nel giro di pochi anni: solo alcuni studios, come la Champion e l'Athletic model Guild, si convertono a un soft-porn (che prevede erezioni, ma non atti sessuali espliciti) che garantisce loro ancora qualche anno di vita.
Con la nascita della pornografia esplicita, l'ambiguità del mondo "beefcake" si risolve, infine: da un lato la produzione pornografica (che può contare anche su alcuni fotografi di grande levatura artistica, come Jim French, ma il cui scopo non è affatto l'arte), dall'altro una crescente produzione di nudo d'arte, che si rivolge in massima parte a un mercato gay il quale, dalla nascita del movimento di liberazione omosessuale in poi, è in crescita tumultuosa.
Tra i fotografi più noti del dopoguerra si citeranno qui Tom Bianchi, Will McBride, l'italiano Tony Patrioli, Herb Ritts, Arthur Tress, Bruce Weber (forse attualmente il più noto ed imitato fotografo di nudo maschile al mondo) e molti altri.
A partire dagli anni ottanta del ventesimo secolo, nella foto d'arte di nudo maschile viene messo in dubbio, a partire dalla provocatoria opera di Robert Mapplethorpe (e di quella, meno nota, di Arthur Tress), la distinzione tra foto d'arte e foto pornografica, con citazioni deliberate di pose e situazioni tipiche della foto pornografica.
Artisti come Bruce LaBruce oggi producono intenzionalmente contaminazione tra foto d'arte e foto pornografica. Ciononostante i due generi rimangono oggi ben distinti, non fosse altro che per la destinazione d'uso e il costo, che divergono notevolmente.
https://it.wikipedia.org/wiki/Nudo_maschile_nella_fotografia

Meryl Streep a lezione di chitarra da Neil Young

L’attrice premio Oscar si è rivolta a lui per interpretare al meglio il ruolo da rock star nel film di Demme
Si è rivolta a un maestro d’eccezione Meryl Streep per prepararsi al ruolo della rockstar di “Dove eravamo rimasti” ("Ricki and The Flash", il titolo originale), il film di Jonathan Demme. L’attrice premio Oscar è andata infatti a lezione da Neil Young per imparare a strimpellare la chitarra e lui gli ha insegnato alcuni trucchetti, per esempio come si fa a distorcere il suono.
Dopo 'Mamma mia!' e 'Into the woods' tutti conoscono le straordinarie doti canore di Meryl Streep, ma l'attrice ha deciso di fare un passo più lungo e ha imbracciato la chitarra ellettrica per convertirsi definitivamente al rock. Nel film la Streep interpreta una donna che lascia la famiglia per seguire i suoi sogni musicali ma che a un certo punto deve sospendere la carriera per prendersi cura della figlia. La star si muove sul palco con grinta, accarezza la sua Telecaster e, si dice, si è divertita un sacco. Con lei a dividere la scena c'è la figlia vera, Mamie Gummer. La sfida più grande, per Meryl Streep, è stata proprio quella di imparare davvero a suonare la chitarra elettrica, impiegata anche per stupire il pubblico con una versione rock di 'Bad Romance' di Lady Gaga.
http://www.romagnanoi.it/video/1220629/Meryl-Streep-a-lezione-di-chitarra.html

Carmen Consoli tacco 12 e Fender rosa

ROMA, 22 AGO - Voce calda e profonda, gonna di pelle, tacco a spillo e Fender rosa al collo. Carmen Consoli si è presentata così, con la grinta di sempre, sul palco del Meltdown Festival, leggendaria rassegna musicale internazionale arrivata alla sua 22esima edizione che l'ha vista esibirsi in un trio rock tutto al femminile. Il premio oscar David Byrne, direttore artistico del Meltdown di quest'anno l'ha scelta come rappresentante per l'Italia. "Artista unica e in questa formazione è amazing", ha detto.
http://www.bresciaoggi.it/stories/Spettacoli/1276825_carmen_consoli_tacco_12_e_fender_rosa/

Partisan con Vincent Cassel, dal 27 agosto nei cinema italiani

Partisan: video, trailer, poster, immagini e tutte le informazioni sul thriller con Vincent Cassel nei cinema italiani dal 27 agosto 2015.
I Wonder Pictures il prossimo 27 agosto porta nei cinema italiani Partisan, il thriller australiano opera prima di Ariel Kleiman che vede protagonisti Vincent Cassel, Nigel Barber e Jeremy Chabriel.
Gregori (Cassel) è il leader carismatico di un gruppo di donne e bambini maltrattati, il loro protettore e il loro mentore. Tra le attività ordinarie e quotidiane che insegna ai bambini, c’è anche l’omicidio. I problemi sorgono quando Alexander, figlio adottivo prediletto di Gregori, mette in discussione la sua autorità. Il piccolo Alexander è come ogni altro bambino: ingenuo, curioso, sveglio. Ma è anche un assassino perfettamente addestrato. Con ritmo incalzante, Partisan cattura lo spettatore dentro un mondo claustrofobico, governato da un codice morale deformato, dove lo sguardo si apre su visuali sconcertanti e il respiro viene a mancare.

Nel 2010, i cortometraggi che Ariel Kleiman aveva girato al Victorian College of the Arts in Australia iniziarono a ricevere le attenzioni del pubblico mondiale. La sua assurda storia d’amore, Young Love, fu proiettata nel 2010 al Sundance Film Festival dove vinse una Menzione d’Onore per il Miglior Cortometraggio.
Un paio di mesi dopo, il suo film di diploma da 20 minuti, l’epico dramma sottomarino Deeper Than Yesterday, è stato presentato in anteprima mondiale alla Settimana della Critica di Cannes e ha vinto il Kodak Discovery Award per il Miglior Cortometraggio e il Petit Rail d’Or. Il talento di Ariel è stato evidente anche nella selezione ufficiale di Cannes 2010, con il corto Muscles.
Deeper Than Yesterday è stato distribuito e ha vinto premi nei più prestigiosi festival cinematografici del mondo, compreso il Sundance 2011 dove ha ricevuto il Premio della Giuria.
PARTISAN è il primo lungometraggio di Ariel Kleiman. La sceneggiatura del film, co-scritta con la collaboratrice e ragazza Sarah Cyngler, è stata premiata dal Sundance Institute nel 2012 con il Mahindra Global Filmmaking Award, un riconoscimento assegnato in tutto il mondo a quattro filmmaker indipendenti emergenti. Kleiman è anche stato invitato a presentare il progetto al prestigioso Sundance Director’s and Screenwriters Lab.

NOTE DI REGIA
Non ho mai compreso il motivo per cui decido di raccontare certe storie piuttosto che altre, ho sempre seguito un percorso più istintivo. Ragionandoci a posteriori, ho capito che ogni film che ho girato è nato a partire da un’immagine surreale.
All’inizio del 2010, mi sono imbattuto in un articolo del New York Times che parlava della compravendita di bambini assassini in Colombia, i cosiddetti “sicarios”. Al di là della natura orrorifica delle storie e delle azioni commesse da questi bambini, non saprei dire perché mesi dopo l’immagine di un bambino che sparava a un uomo adulto fosse rimasta nella mia testa così ostinatamente. Finché ho letto per caso una citazione di uno dei miei eroi del mondo del cinema, Luis Buñuel, il maestro del surrealismo, che aveva detto una frase tipo “non riesco a immaginare un’immagine più surreale di un uomo che spara a un altro uomo”.
Era una dichiarazione piuttosto semplice ma più ci pensavo, più sentivo la profonda sensazione che avrei dovuto trasformare in un film ciò che sentivo nelle mie viscere. Sapevo sin dall’inizio che non volevo raccontare una storia che parlasse specificamente dei sicarios colombiani. Volevo liberare la loro storia di tutti i fattori economici e socio-politici inerenti a quella precisa realtà. Volevo raccontare una storia molto semplice e umana; qualcosa di universale, ambizioso e mitico sulla relazione tra ragazzini e adulti; sugli adulti che vedono il mondo in un certo modo e cercano di trasmettere la loro visione ai loro figli. Una storia sul potere del pensiero indipendente e sulla tragedia di bambini a cui non è permesso vedere il mondo attraverso occhi sereni e ottimisti.
Mentre scrivevamo PARTISAN, io e Sarah abbiamo spesso pensato al film come fosse una fiaba; e sotto diversi punti di vista effettivamente si tratta della fiaba del Pifferaio Magico. Nella nostra versione, lo strumento ipnotico di Gregori non è un piffero ma la sua bocca. Gregori è arrabbiato, infuriato con il mondo intero e, quasi per vendicarsene, allontana dalla società queste madri e i loro figli. È un po’ come se PARTISAN riprendesse la storia dal momento in cui i bambini sono stati portati nella caverna del Pifferaio. Lì, il Pifferaio elargisce insegnamenti e li incoraggia a odiare la gente esattamente quanto la odia lui. Gregori ottiene questo risultato con la scusa che la vita in questa “caverna” è più felice e sicura, ma tutto deriva dalla sua stessa anima danneggiata.
L’undicenne Alexander è in quel momento della sua vita in cui inizia a pensare indipendentemente e PARTISAN è in gran parte narrato dal suo punto di vista emotivo. Il pubblico si unisce ad Alexander nel suo viaggio fuori dall’infanzia, condivide la sua adorazione e il suo amore per Gregori, il suo benessere all’interno della struttura, la sua paura per il mondo esterno e coloro che vi abitano e la sua confusione nel momento della presa di coscienza.
Vorrei che ogni film che giro portasse il pubblico a fare un viaggio. Adoro quando un film ci lancia in un mondo strano, estremo e imprevedibile. Nonostante questo mondo sia ben distante dalla nostra vita di tutti i giorni, ci connettiamo e ci mettiamo in relazione immediatamente con le emozioni che si dipanano sullo schermo. È questa esperienza la cosa che in assoluto amo più del Cinema. (Ariel Kleiman)
http://www.cineblog.it/post/646943/partisan-trailer-italiano-e-poster-del-film-con-vincent-cassel

Charlotte Gainsbourg: «Vi racconto la mia famiglia non convenzionale»

«I miei genitori avevano un rapporto movimentato. Io e il mio compagno, invece, stiamo insieme da più di vent'anni, ma ci vuole impegno». L'attrice, protagonista del nuovo film di Wim Wenders, si racconta
Charlotte Gainsbourg ti mette subito a tuo agio. Non è truccata, neanche un filo di rossetto, o almeno così sembra. Sei tu il suo centro d’attenzione. Ti sorride fin dal primo «Good morning», il suo sguardo è fisso sui tuoi occhi e solo dopo che ti sei presentato comincia a studiare l’ambiente intorno. C’è un divano avana in stile barocco dietro di noi, ti viene da pensare che forse sarebbe più comodo, ma lei preferisce rannicchiarsi sulla sedia, ginocchia strette al busto. Starà così per tutta l’intervista. Forse è una posizione da timida, da chi ha paura a lasciarsi andare.
Da quando l’11 dicembre 2013 ha perso Kate Barry, sorella per parte di madre (la celebre attrice e cantante Jane Birkin), gettatasi dal quarto piano della sua casa a Parigi, Charlotte – ora 44enne – ha cominciato una nuova fase della sua vita trasferendosi, con il compagno (l’attore e regista Yvan Attal) e i tre figli (18, 13 e 4 anni), dalla capitale francese a New York. Qui non ci sono ricordi e nessuno la ferma per strada per complimentarsi o parlare dei suoi genitori: «Non soffro la loro popolarità, sono fiera di esserne figlia, anche se a volte, quando torno a casa dopo aver parlato tutto il giorno di mio padre Serge, il pensiero che lui non ci sia più si accompagna sempre ad un velo di malinconia».
Il lutto, o meglio, la sua elaborazione riguarda anche Kate, il personaggio che interpreta in Ritorno alla vita di Wim Wenders, dal 24 settembre nelle sale italiane: una madre single cui muore un figlio in un incidente causato (non per sua colpa) da un giovane scrittore, Tomas (James Franco). A entrambi ci vorranno anni per potersi totalmente riprendere. Nel frattempo per lei ci saranno nuovi amori, lavori, problemi, parole, sentimenti e risentimenti.
«Come già indica il titolo, più una favola che un dramma» spiega Wim Wenders, «uno splendido racconto che mi ha toccato nel profondo». La Gainsbourg, invece, inizia raccontando come abbia approcciato diversamente la storia rispetto a quanto accadde con Antichrist di Lars von Trier (2009), altra pellicola in cui affrontava la morte di un figlio. «Per recitare ho bisogno di capire e per capire uso sempre tutta me stessa. E io, da allora, sono cambiata».
Cosa ha capito interpretando Kate?
Mi sono convinta che certi traumi non si superano mai, che sia possibile soltanto conviverci. Per andare avanti bisogna trovare un nuovo equilibrio che li tenga in considerazione.
Cinema come terapia?
A volte sì. Sul set do tutta me stessa. Se piango, piango veramente. Poi, per fortuna, finito un ruolo non me lo porto dietro. Vivo il tutto come una sorta di liberazione.
È una madre apprensiva?
Cambio a seconda dell’età dei ragazzi… A Ben, che ora ha 18 anni, lascio i suoi spazi: so bene che sono proprio le esperienze che ora farà lontano da me e dal papà che lo aiuteranno a crescere e gli permetteranno di capire chi vuole essere davvero. Certo, non mi allontano mai oltre una certa distanza, quel minimo che mi permette di intervenire semmai ce ne fosse bisogno.
E i suoi genitori com’erano?
Mi hanno dato tanto, non erano però genitori tradizionali, il loro è stato un rapporto piuttosto movimentato, ma a noi figli non è mai mancato l’amore.
La sua relazione ultraventennale con Yvan Attal (si sono conosciuti nel 1990 durante la lavorazione del film Aux yeux du monde) appare come una sorta di contrappasso rispetto alla loro storia…
E dire che nacque tutto da un invito a cena… Io avevo 19 anni, lui 24. Ci vuole anche parecchio impegno. La nascita del nostro terzo figlio, quattro anni fa, ci ha fatto bene, con Yvan scherzo e ho sempre splendide conversazioni. Non mi annoia mai.
Cosa le hanno detto i suoi figli dopo che ha interpretato lo “scandaloso” Nymphomaniac di von Trier?
Sul film nulla, non l’hanno visto, ma a Ben a scuola hanno fatto qualche battuta. Lui, per fortuna, sa bene che era solo “cinema”.
È sotto i riflettori da quando è nata. A 13 anni il primo film, a quindici il Premio César, l’Oscar francese: ha mai pensato a una vita lontana dallo spettacolo?
È stato un percorso molto naturale, non ho mai deciso di fare l’attrice o la cantante, è venuto da sé: sono stata spinta più dalla curiosità di scoprire in prima persona quel mondo che mi stava continuamente intorno, che da un percorso scelto consciamente. Penso però di aver fatto la cosa giusta per me. Qualche anno fa ho avuto un brutto incidente (una caduta facendo sci d’acqua, con conseguente emorragia cerebrale e operazione d’urgenza, nel 2007, ndr), per alcune settimane non mi sono mossa dal letto, ma appena possibile mi sono ributtata nel cinema, ho passato buona parte dei mesi successivi sul set.
Come vive il rapporto con la popolarità?
Lo confesso: non mi dispiacerebbe l’anonimato. C’è una bella frase di Kerouac che ho riletto qualche settimana fa in Sulla strada: “L’anonimato nel mondo degli uomini è meglio della fama in cielo”.
Sappiamo che sta girando anche il sequel di Independence Day: non l’avremmo mai immaginata accettare una parte in un film di fantascienza.
In realtà anche Melancholia (sempre di von Trier, ndr) lo era. Però, è vero, è tutto un altro tipo di storia. Ogni tanto mi piace anche intrattenere. Wim ha dichiarato che mi ha scelto per Ritorno alla vita dopo aver visto la locandina di un film in cui sorridevo, Tre cuori di Benoît Jacquot. Mi piace l’idea di divertire e fare ridere. Va bene la leggerezza, ciò che non mi piace è la superficialità. Al cinema, come nella vita.
http://www.iodonna.it/personaggi/interviste-gallery/2015/08/21/charlotte-gainsbourg-basta-drammi-ora-voglio-divertire/?refresh_ce-cp

Lana del Rey annuncia: il 18 settembre esce l'album 'Honeymoon'

Los Angeles (California, Usa), 22 ago. (LaPresse) - Lana Del Rey pubblicherà il suo nuovo album il prossimo mese. La cantante ha annunciato su Instagram l'uscita del suo quarto album che sarà intitolato 'Honeymoon', ovvero 'Luna di miele', sopra la copertina. Il dico sarà disponibile solo a partire dal 18 settembre, ma per ora i fan possono averne un piccolo assaggio con i singoli 'Terrence Loves You' e 'High By The Beach' con un video dal finale a sorpresa...



Di seguito i titolo dei brani che saranno contenuti nell'album:

1. 'Honeymoon'
2. 'Music To Watch Boys To'
3. 'Terrence Loves You'
4. 'God Knows I Tried'
5. 'High By The Beach'
6. 'Freak'
7. 'Art Deco'
8. 'Burnt Norton (Interlude)'
9. 'Religion'
10. 'Salvatore'
11. 'The Blackest Day'
12. '24'
13. 'Swan Song'
14. 'Don't Let Me Be Misunderstood'
http://www.lapresse.it/spettacolo-e-cultura/lana-del-rey-annuncia-il-18-settembre-esce-l-album-honeymoon-1.749987

Meryl Streep si aggiudica il Britannia Award for Excellence in Fiim

Nuovo riconoscimento per la star di Hollywood Meryl Streep: verrà infatti premiata ai 2015 British Academy Britannia Awards con la statuetta Stanley Kubrick Britannia Award for Excellence in Film, in segno di riconoscimento ai suoi meriti come attrice. Prima di lei, a ottenere il premio Robert Downey Jr., George Clooney, Tom Cruise, Clint Eastwood e Steven Spielberg.
Meryl Streep in questi anni si è infatti distinta per le sue molteplici e poliedriche interpretazioni, passando dal cinema al teatro e al musical, senza dimenticare la sua dedizione ai problemi sociali.
Ma non è l'unica a cui è assicurato un premio: Sam Mendes si è aggiudicato il John Schlesinger Britannia Award per l'eccellente regia, invece James Corden per il Britannia for British Artist of the Year di Burberry. Più avanti verranno svelati i nuovi vincitori.
http://www.vogue.it/people-are-talking-about/star-news/2015/08/meryl-streep-britannia-awards

James Franco protagonista del primo trailer di Every Thing Will Be Fine

In occasione della sua presentazione al TIFF, Metropole Films ha diffuso in rete il primo trailer di Every Thing Will Be Fine, pellicola firmata da Wim Wenders con protagonisti James Franco, Charlotte Gainsbourg, Rachel McAdams e Peter Stormare (qui potete leggere la nostra recensione dal Festival di Berlino).
Questa la sinossi ufficiale della pellicola:
Una sera d’inverno. Una macchina su una strada di campagna. Sta nevicando, la visibilità è scarsa. Dal nulla una slitta arriva giù per una collina. L’auto si arresta bruscamente. Alla guida Tomas, uno scrittore. L’uomo non può essere incolpato per quelo che è accaduto. Non è neanche colpa del giovane Christopher, che avrebbe dovuto prendersi più cura di suo fratello. Tomas cadrà in una profonda depressione. La pellicola segue Tomas e i suoi sforzi per dare un senso alla sua vita.
Potete ammirare il trailer qui di seguito:
http://www.badtaste.it/2015/08/19/james-franco-protagonista-del-primo-trailer-di-every-thing-will-be-fine/139781/

Buon compleanno, Madonna

La star ha festeggiato i suoi 57 anni con una festa in stile gipsy. Insieme a lei, i quattro figli e gli amici più cari. Con loro ha condiviso via social tanti momenti della serata. E «il regalo più gradito di sempre»: una cagnolina
Non è cifra tonda, quella che ha raggiunto Madonna il 16 agosto. Ma è un compleanno che va festeggiato comunque. Perché lei, che non ha mai avuto paura di dichiarare la sua età, i suoi 57 anni li porta benissimo. Non importa se c'è chi continua a dire che è «troppo vecchia» per continuare a «fare Madonna». 
È l'ageism, bellezza. Quello contro cui ha combattuto nell'ultimo anno, e che ha descritto come una «discriminazione sulla base dell’età. Non c'è differenza tra l'ageism e il razzismo o l'omofobia. La causa è sempre la scarsa conoscenza, l'ignoranza che crea paura e la paura che genera la voglia di distruggere con la critica. Che senso ha? Fatemi vedere il manuale che dice come comportarsi a una certa età. A me non risulta che esista».
E, se esistesse, probabilmente lei lo brucerebbe. Perché a farsi giudicare in base all'anagrafe proprio non ci sta. L'hanno criticata perché esce con uomini molto più giovani, le hanno detto che non può più posare in topless, che deve darsi una calmata. Ma Madonna ha davvero lo stesso «cuore ribelle» che canta, continua a fare tutto quello che ha sempre fatto, e, c'è da scommetterci, non smetterà tanto presto: «La verità è che posso farlo, e quindi lo rifarò».
Alla faccia di chi, come Bbc Radio 1, dice che fa crollare gli ascolti perché ai giovani non piace più. Basta un ritornello come replica: Bitch I'm Madonna.
«Il migliore di sempre». Così Madonna ha definito il compleanno appena festeggiato.
Per l'occasione, la star ha voluto una festa in stile gipsy, che non ha avuto nulla da invidiare a quella dello scorso anno, dove il tema era stato il Grande Gatsby. Fedele al suo stile rock, Madonna si è presentata con un look total black, gioielli importanti e fiori tra i capelli, per ricreare un perfetto outfit "da zingara". 
A festeggiarla, le persone che le sono più care. La figlia maggiore Lourdes, con la quale ha condiviso uno scatto molto tenero, e i più piccoli di casa, Rocco, Mercy e David. «Gipsy Queen», ha scritto la star per descrivere uno scatto irriverente che la ritrae con un'ostia in bocca. In mezzo, una grande "M". Vezzi da diva, come la torta in stile Rebel Heart, (il suo ultimo album, ndr) e l'angolo bar del locale che ha ospitato il party. Per trovare la sezione alcolici era sufficiente individuare una grande M illuminata. Impossibile perdersi, tanto che anche Madonna ci ha scherzato su. 
Il dono più gradito? Una cagnolina, Rosa Lee. «Il più bel regalo di compleanno di sempre», ha commentato la star. Una festa perfettamente riuscita.














http://www.vanityfair.it/people/mondo/15/08/17/madonna-compleanno-57-anni-foto-festa-gipsy-social-figli-gossip

Per i 40enni la vera star è Super Mario, seguono Madonna e i Blues Brothers

E' un idraulico di origini italo-americane, che da 30 anni scorrazza per il Regno dei Funghi, il 'vip' più amato dai 40enni italiani. Super Mario è il personaggio più popolare per la generazione cresciuta negli anni ’80. Da oltre 30 anni eroe dei videogames amato da grandi e piccini, è entrato nell’immaginario collettivo grazie alla sua classica salopette blu, alla maglia rossa e al cappello con l’inconfondibile 'M'.
Protagonista di oltre 100 videogiochi targati Nintendo, che hanno venduto oltre 446 milioni di copie nel mondo dal suo esordio nel lontano 1981 in 'Donkey Kong', Super Mario noto a oltre l'80% degli italiani fra i 35 e i 50 anni, incredibilmente, batte mostri sacri di quegli anni come la stella del pop mondiale Madonna (78%)e i protagonisti del film cult di John Landis 'The Blues Brothers' (75%).
E’ quanto emerge da uno studio di marketing condotto da Levissima su circa 1.000 genitori di età compresa appunto tra i 35 e i 50 anni, in occasione del lancio di un suo prodotto limited edition per i bambini. Lo studio è stato realizzato con metodologia Woa (Web Opinion Analysis) attraverso un monitoraggio online sui principali social network, blog dedicati ai genitori, forum e community specializzate, per eleggere il personaggio più popolare tra gli italiani cresciuti negli anni '80.
"I videogiochi sono stati per i ragazzi cresciuti negli anni ’80 una novità assoluta e la loro formazione è stata fortemente segnata dall’avvento di questa tecnologia -afferma Luca Jourdan, professore di antropologia sociale all’Università degli Studi di Bologna 'Alma Mater Studiorum'- Super Mario, protagonista indiscusso di quella fase videoludica, è lo specchio di quegli anni contraddistinti dal trionfo del neoliberismo e dall’ideologia del mercato. Tutti lo ricordano con affetto anche perché incarna perfettamente l’antieroe umile, un’alternativa al classico e inarrivabile profilo dell’eroe bello e perfetto".
Per molti questo personaggio è riuscito a trasmettere la speranza di vivere un futuro migliore: da semplice idraulico Mario diviene infatti un eroe buono, capace di salvare il proprio universo. Ma è anche simbolo di coesione e condivisione perché crea una comunità identificabile a livello mondiale. Proprio per questo batte anche personaggi storici e letterati come Karl Marx, conosciuto da solo 2 italiani su 10 (22%), Winston Churchill noto solo a 3 italiani su 10 (29%), Sigmund Freud (18%) e Friedrich Nietzsche (16%).
In vetta alla classifica dei personaggi maggiormente noti da chi ha vissuto la propria giovinezza in quegli anni, dopo Super Mario, Madonna e i Blues Brothers, figurano nell'ordine Nelson Mandela (73%), Sandro Pertini (71%), Michael Jackson (70%), Bob Marley (68%), Paolo Rossi (65%), 'La signora in Giallo' (62%), Michael J. Fox (Marty McFly di 'Ritorno al futuro') (59%).
http://www.adnkronos.com/intrattenimento/spettacolo/2015/08/18/per-enni-vera-star-super-mario-batte-madonna-blues-brothers_4E1uPFuKdbO3kRiqz44WZM.html

SINÉAD O’CONNOR, L'AGENZIA DI BOOKING MI HA 'INCULATO' 120.000 EURO

Sinead O’Connor ha rivelato di essere stata ‘inculata’ (“ass raped”, l’espressione usata) dal suo booking agent che le ha sottratto 120.000 euro pagandola soli 500 euro a spettacolo.
Da un punto di vista critico il tour mondiale dellacantautrice irlandese è stato largamente positivo, altrettanto non si può dire dal punto di vista finanziario. La O’Connor sostiene che l’agente che le ha organizzato il ciclo di concerti e il management l’avrebbero ‘inculata’ alla grande.
La cantante ha accusato Rita Zappador della Modus in Rebus di averle rubato un ammontare di 120.000 euro, vale a dire quasi l’intero guadagno dei diciotto mesi di tour.
La frode probabilmente si è verificata quando Sinead ha dovuto cancellare a luglio la branca sudamericana del tour poichè il figlio malato era in pericolo di vita. Gli artisti solitamente hanno delle assicurazioni che coprono questo tipo di rischi. Sembra che la Zappador abbia convinto l’artista e il suo commercialista che la penale fosse di 4.000 dollari per ogni show cancellato, in realtà non era così.
Sul suo profilo Facebook la cantautrice ha pubblicato una immagine (ora rimossa) del contratto di assicurazione dal quale si evince come venisse pagata 500 euro a spettacolo mentre alla Modus in Rebus venivano corrisposti 11.200 euro. Il documento mostra come ogni show generava 47.700 euro – quindi alla cantante veniva pagato circa l’1% dell’ammontare totale delle entrate – e quindi che veniva truffata anche prima della frode vera e propria. Di certo la storia non finirà qui ma bensì in un’aula di tribunale.
http://www.rockol.it/news-645972/sinead-o-connor-booking-frode-tour-rita-zappador-modus-in-rebus

Interview with Madonna from Entertainment Weekly

Andy Cohen: Madonna! Hi! How are you?
Madonna: I’m tired, not gonna lie.
Andy Cohen: You’re working your ass off, aren’t you?
Madonna: I am. We work really late hours, and I got into the vicious cycle of working late then sleeping late.
Andy Cohen: Where are you right now?
Madonna: I’m in New York.
Andy Cohen: I mean, are you in your tub? In your bed?
Madonna: Ha, no. I wish I was in my bed. If I got in my bed, though, I wouldn’t get out. I’m in my office.
Andy Cohen: And are you in sweats?
Madonna: I’m in silk pajama shorts, if you must know. They were made for me by Dolce & Gabbana, I don’t know, eight years ago, so there’s sort of tattered, vintage look about me.
Andy Cohen: Perfect, you’re giving me full Madonna now! I can’t wait for you get to get back on tour – I love screaming your name at the top of my lungs. Am I going to see dancing nuns on stripper poles?
Madonna: Did somebody tell you that?
Andy Cohen: I saw the trailer.
Madonna: Oops, so I guess the cat’s out of the bag.
Andy Cohen: Was that your idea?
Madonna: I mean, yeah. It was. I just like the juxtaposition. I’m very immersed in deconstructing the concept of sexuality and religion and how it’s not supposed to get together, but in my world it goes together.
Andy Cohen: That’s one of the reasons that I love you. I assume we’ll be hearing “Bitch, get off my pole” while the nuns are on the stripper poles.
Madonna: Mmmm, you might. I don’t want to give away the details. I want people to be surprised.
Andy Cohen: How many hours a day are you rehearsing at this point?
Madonna: Well, I consider meeting for video and fittings all part of the rehearsal process, so that’s, I don’t know, 10 to 12 hours a day.
Andy Cohen: What are you eating?
Madonna: [Laughs] Anything I can get my hands on.
Andy Cohen: Come on!
Madonna: No, really, I have to keep eating so I have energy. I eat food, you know, normal food. Omelets for breakfast, healthy lunches, and things like that, but i’m also supplementing that with power shakes and those energy bars. I have a woman who follows me around. I call her the food police. “Aare you eating? Did you drink enough water?”
I’m like, “Bitch, get off my pole!”
Andy Cohen: By the way, can you cook?
Madonna: Wow, we’re really jumping around.
Andy Cohen: I’m just curious!
Madonna: No, it’s not one of my talents, I’m sorry to say. Everyone asks me that, including my 14-year-old son [Rocco], who is absolutely not satisfied with all of my accomplishments. He just wants me to cook for him. I’m like, “Okay, I’ll get to that. I promise you, when this tour’s over with, I’m gonna cook for you.”
Andy Cohen: I loved seeing Rocco on the last tour. Are we gonna see him doing anything on this one?
Madonna: I think he’s probably gonna work behind the scenes. He’s not interested in performing on stage with me right now. There’s cooler things. Your mom is not that cool when you’re 14.
Andy Cohen: So do you still have the Truth or Dare mother-hen thing going on with the dancers?
Madonna: Of course. Yep. Every day. They’re my little babies.
Andy Cohen: Tell me how you balance hits and new material on your set list.
Madonna: Well it’s tricky. Of course, the thing I’m most excited about doing is my new stuff, because I haven’t done it yet and it’s fresh.
But I realize that people want to hear my older stuff, so for me it’s always a tricky balance trying to keep some kind of continuity, not only with sound, sonically, but also thematically. Because when I first started writing music, I was a young girl, and I didn’t write about very deep things. And now I do. Although going from what I consider to be slightly superficial topics to more profound ways of thinking is also a challenge. That’s why a lot of times I have to take the songs and turn them inside out and make them more ironic than straightforward, so that they work for me.
Andy Cohen: You’ve been teasing your set list on Instagram.
Madonna:Yeah, of course I have.
Andy Cohen: So will I hear “Dress You up”?
Madonna: Yes.
Andy Cohen: “Who’s That Girl”?
Madonna: Yes.
Andy Cohen: “Vogue”?
Madonna: Yes.
Andy Cohen: “Holiday”?
Madonna: Yes.
Andy Cohen: Wow, you’re giving me good info!
Now stop right there!
Andy Cohen: Let me ask you this, do you read the comments under your Instagram posts?
Madonna: Sometimes. Like whenever I’m on holiday.
Andy Cohen: What’s your reaction to them?
Madonna: Sometimes people are really supportive and nice, but you can’t get attached to people saying nice things because then when people say mean things it will bother you. So you just have to take it all in stride, and I really don’t take any of it seriously. I can’t afford to.
The most illuminating thing about reading comments on Instagram is how literal people are, and how people have no sense of humor and no sense of irony; [they] don’t read between the lines. It’s interesting
Andy Cohen: Are you addicted to Instagram a little bit?
Madonna: No, not really. I could live without it. But it’s an important part of my work now. I like to think of it as a kind of art gallery for my thoughts, my dreams, my wishes, my state of mind. Can’t ignore social media.
Andy Cohen: I love that you share old photos of you with your fans. You seem like someone who doesn’t like to look back, but I love it when you do?
Madonna: I love to look back and see the great art and artists that I’ve had the privilege to collaborate with, whether it’s [Jean Paul] Gaultier or Keith Haring or Steven Meisel or Herb Ritts or whomever. I worked with the greatest and the best and the finest. It also feels like a time that will never happen again. Do you know what I mean? So it makes me feel really blessed.
Andy Cohen: It’s trite at this point to say that you reinvent yourself every few years. But I wonder, why is it important for you to keep creating new stuff?
Madonna: Because as an artist I have something new to say every time I make a record. I think that’s kind of a no-brainer. I’m not a “greatest hits” kind of girl. You could say it’s reinventing, but a real artist is continuously changing and evolving because the art is continuously changing and evolving. I mean, Picasso didn’t paint the same paintings over and over again.
Andy Cohen: What is the best and worst part of touring?
Madonna: You’re like, “Yeah, just shut the f— up.”
Andy Cohen: No, no, I got it! I got it!
Madonna: That’s the endless question I get: “Why do you keep doing it?”
Andy Cohen: You obviously don’t have to.
Madonna: But to me, that’s a sexist thing to say. No one said to Picasso when he was 80, “Why are you painting?”
Andy Cohen: Why is that sexist, though?
Madonna: Because he’s a man and nobody asked him that, okay? But because I’m a woman, people ask me. Does anyone ask Mick Jagger why he keeps going on tour?
Andy Cohen: Yeah, I actually think they do. What I’m getting at is, you could probably park it at Madison Square Garden and do a residency twice a month for the next 20 years.
Madonna: I don’t think so.
Andy Cohen: Really?
Madonna: No, people in New York are sick of me.
Andy Cohen: Are you f—ing kidding me? You’re the queen of New York.
Madonna: No. I don’t know.
Andy Cohen: Do you have a favorite city to perform in?
Madonna: Well, in America, my favourite city is New York, obviously. Cause it’s my hometown.
Andy Cohen: Even though they’re over you?
Madonna: You know the old saying: You’re a prophet everywhere but in your own country.
Andy Cohen: Is there a city where you’ve performed that you will not return to?
Madonna: I don’t think I should go back to Moscow or St. Petersburg.
Andy Cohen: You stirred some s— there, but God bless you for doing it. Do you think they would have you back?
Madonna: No. But that’s okay. Why would I even want to perform in a place where being gay is [criminalized]?
Andy Cohen: What’s your current favorite song on Rebel Heart?
Madonna: Well, I love “Ghosttown.” I love “Bitch I’m Madonna,” and I love “Illuminati,” “Holy Water.” The darker, crazier, more controversial songs.
Andy Cohen: Have you seen any tours in the past year that have inspired you? On Instagram, you welcomed Taylor Swift to New York when she was here.
Madonna: I didn’t get the chance to go see her show. I was bummed. We were actually gonna do something together on stage, but I didn’t go to the show because I was rehearsing and I had to shoot a video the next day. Going to shows requires free time. Who’s the last person I saw?…
Andy Cohen: I remember you really heaped a lot of praise on Beyoncé’s last tour.
Madonna: Oh! That’s probably the last big show I’ve seen, and that was really good.
Andy Cohen: What was good about it?
Madonna: She’s a great performer and she puts on a show. She’s a professional, you know what I mean? She ticks all the boxes. She’s great live, and all the stuff around her, it’s complete entertainment. And she gives it her all, so I appreciate that.
Andy Cohen: By the way, what were you gonna do with Taylor Swift on stage?
Madonna: I’m not gonna tell you, because we might still do it. You’re very nosy. You just want to know everything.
Andy Cohen: I really do!
Madonna: I’m just gonna send my diary over to your house, okay? With a key. Open it up, read it, send it back to me, okay?
Andy Cohen: Please do. I want to know f—ing everything!
Madonna: Skip over all the parts about who I have crushes on and things like that.
Andy Cohen: Oh my God. There’s no way I’m skipping that part. Well, now I want to know, do you have a crush on any of your dancers at this current moment in time?
Madonna: I mean. I always do. You have to. I call them my “stage baes”.
Andy Cohen: Perfect.
Madonna: But that’s it, it’s just on the stage.
Andy Cohen: You keep it on the stage. That would be messy, right?
Madonna: Yeah, of course, and that actually makes it more electric, you know?
Andy Cohen: When was the last time you saw your 1991 doc Truth or Dare?
Madonna: Jeez, I don’t know. Several years ago. I’ve seen bits and pieces from it. I sort of gag when I watch it, ’cause I’m like, “Oh my God, I can’t” It’s hard to watch myself do anything. I can’t even stand to watch myself in concert, like my last tour.
Andy Cohen: Really? Why?
Madonna: I just don’t like to watch it. But I think maybe Truth or Dare, I could possibly revisit it right now.
Andy Cohen: Can you call me when you do that, please?
Madonna: Let’s watch it together.
Andy Cohen: I want to film you watching Truth or Dare and release that.
Madonna: Me just going, “I can’t believe I said that. Oh my God, I can’t believe I did that.” The arrogance…
Andy Cohen: Well, the arrogance was brilliant. The shade, the arrogance…
Madonna: The shade was thrown! I’m afraid to watch it. I just think I was a horrible brat, that’s what I’m afraid of.
Andy Cohen: As a student of yours, it seems like you’re having more fun on stage recently. Am I right? Maybe just that you smile more.
Madonna: That could be it. I don’t know. I’m very invested in having a good time with this show. You know, not beating myself up if I make a mistake.
Andy Cohen: So… grill or no grill on stage?
Madonna: It’s really hard to sing with a grill in your mouth. You end up lisping, and putting your teeth together is actually essential to singing well. So as much as I love a grill, it probably won’t be in my mouth when I’m singing.
Andy Cohen: I will be there both nights of Madison Square Garden. I cannot wait.
Madonna: Thank you so much. Make yourself noticeable in the audience so I can bump and grind you.
Entertainment Weekly

Madonna, Devil Pray: dj compra inserzione sul Los Angeles Times per chiedere l'approvazione del suo remix

Un diciottenne dj ha inserito un'inserzione sul Los Angeles Times per attirare l'attenzione di Madonna.
Devil Pray è un brano inserito nell'ultimo album di Madonna, Rebel Heart. Il pezzo è tra i più amati dai fan e proprio uno di questi, Nick Deboni, dj 18enne, ha deciso di creare un remix della canzone e di tentare l'approvazione della diretta interessata. E se Twitter, Facebook e i social network più disparati non funzionano, allora perché non comprare un piccolo spazio sul Los Angeles Times e sperare, almeno così, di avere una risposta -magari positiva- dal suo idolo?
Ed ecco quindi l'idea -con relativi dati Facebook e Soundcloud- per mirare a miss Ciccone e avere la benedizione per il remix.
"I published this ad to reach you Madonna and ask you, please, to approve my remix."
Dopo l'annuncio sul quotidiano -con relativa attenzione da parte di Billboard- gli ascolti del suo remix di Devil Pray sono saliti a oltre 80.000.
Ma adesso tutti attendono una risposta da Madonna: pollice su o giù?
http://www.soundsblog.it/post/408855/madonna-devil-pray-remix-dj-nick-deboni-inserzione