In coda ad una serie di esibizioni memorabili per la band tra cui il trionfo dei centocinquantamila di Wembley, i Muse hanno trionfato anche nello scenario senza tempo dell’Arena di Verona. A ulteriore riprova di quanto i tre inglesi siano ormai assurti al ruolo di star planetarie, quasi tutti i preamboli dello show: mancanza di gruppo spalla, crew che nell’attesa dell’inizio accorda gli strumenti ogni due minuti, un palco che per quantità di luci e maxischermi fa invidia a una discoteca e non ultimi i prezzi dei biglietti. Le gradinate dello storico anfiteatro sono un bel miscuglio di età e abbigliamenti, tant’è che si possono scorgere sia le ragazzine invaghite e urlanti, sia i rocker alternativi che seguivano il gruppo dai tempi dei primi vagiti discografici; incredibilmente, caso più unico che raro per una band sempre in evoluzione, saranno accontentate tutte le frange dell’audience con un sapiente alternarsi di pezzi datati e più recenti. Si inizia a mille con Knights Of Cydonia e subito il boato e le urla della folla salgono fino al cielo. Non c’è che dire, in una vivace carrellata di luci e colori i ragazzi riempiono il palco con grande carisma e sembrano padroni assoluti della situazione già da questa prima parte di set. Prima parte che continua con Map Of The Problematique, sempre dall’ultimo Black Holes & Revelations, per poi saltare indietro ad Absolution, ripescare Hysteria e tornare a oggi con "Supermassive Black Holes," qui spogliata di gran parte della patina elettronica presente su disco. L’alternanza tra i due ultimi lavori in studio prosegue: è la volta di Butterflies And Hurricanes con il suo incredibile interludio di pianoforte e quindi di Hoodoo, primo efficace lento che vede Bellamy cesellare melodie sul piano a coda (con brillantissimo coperchio in vetro). Si prendono la loro parte di applausi anche il bassista ChrisWolstenholme e il simpatico batterista Dominic Howard in Feelin’ Good, bluesaccio modaiolo dannatamente efficace che apre la strada ad Apocalypse, Please, ennesimo pezzo vincente e ben suonato. Sorprendente la capacità del gruppo di riprodurre le atmosfere iper-arrangiate degli studio-album aiutandosi solo con poche basi registrate e compensando con esecuzioni splendide e cariche di feeling.
La riduzione per piano di Sunburn colpisce dritta al cuore degli spettatori, che si riprendono però presto alla partenza di Invincible, cantata all’unisono dall’intera platea.Dopo una Man Of Mystery (originariamente degli Shadows) che funge più che altro da divertissement strumentale per la band, Time Is Running Out piomba con l’effetto di una bomba su un’Arena già esaltata che viene poi ancora colpita con Bliss, in una versione abbastanza estesa nel finale. Breve intervallo e il gruppo si ripresenta con strumenti acustici: Soldier’s Poem suona come una ninna nanna ma il pubblico non ha ancora voglia di addormentarsi e saluta con un’ovazione una Unintended inaspettata e una di nuovo elettrica New Born che sembra mettere davvero la parola fine al concerto. E invece, richiamati a gran voce da tutti i presenti i Muse regalano ancora una terremotante rendition di Plug In Baby, la quasi heavy metal Stockholm Sindrome e chiudono questa volta per davvero con Take A Bow, prima traccia dell’ultimo lavoro eseguita con l’ausilio di svariate diavolerie elettroniche. Concerto assolutamente perfetto, tenuto da una band in stato di grazia e all’apice del successo. Il Signore ce li conservi così il più a lungo possibile.
Luca Paron
La riduzione per piano di Sunburn colpisce dritta al cuore degli spettatori, che si riprendono però presto alla partenza di Invincible, cantata all’unisono dall’intera platea.Dopo una Man Of Mystery (originariamente degli Shadows) che funge più che altro da divertissement strumentale per la band, Time Is Running Out piomba con l’effetto di una bomba su un’Arena già esaltata che viene poi ancora colpita con Bliss, in una versione abbastanza estesa nel finale. Breve intervallo e il gruppo si ripresenta con strumenti acustici: Soldier’s Poem suona come una ninna nanna ma il pubblico non ha ancora voglia di addormentarsi e saluta con un’ovazione una Unintended inaspettata e una di nuovo elettrica New Born che sembra mettere davvero la parola fine al concerto. E invece, richiamati a gran voce da tutti i presenti i Muse regalano ancora una terremotante rendition di Plug In Baby, la quasi heavy metal Stockholm Sindrome e chiudono questa volta per davvero con Take A Bow, prima traccia dell’ultimo lavoro eseguita con l’ausilio di svariate diavolerie elettroniche. Concerto assolutamente perfetto, tenuto da una band in stato di grazia e all’apice del successo. Il Signore ce li conservi così il più a lungo possibile.