Aborto

"Non esistono misfatti, ma solo fatti"
L'aborto è l'interruzione prematura di una gravidanza. Questa può avvenire per cause naturali (aborto spontaneo) o essere provocata artificialmente (aborto provocato o interruzione volontaria della gravidanza). Si è stabilito, in Italia, come aborto un'interruzione della gravidanza che si verifichi entro il 180° giorno dal concepimento, mentre si parla di parto prematuro o nascita pretermine nel caso di un parto che si verifichi prima della 37a settimana di gestazione compiuta.
L'aborto spontaneo è l'interruzione di una gravidanza avvenuta in modo naturale, non causata da un intervento esterno. Le probabilità che una gravidanza si interrompa spontaneamente sono molto più elevate di quanto comunemente si ritenga, il periodo a maggior rischio è il primo trimestre.
La sintomatologia tipica dell'aborto spontaneo prevede perdite ematiche e contrazioni uterine. Tale sintomatologia tuttavia, piuttosto diffusa, raramente indica necessariamente un aborto: i sintomi sono in realtà poco specifici. La gravidanza può anche interrompersi in maniera del tutto asintomatica: in tal caso si parla, più propriamente, di aborto ritenuto. L'embrione rimane nell'utero con la cervice perfettamente chiusa, anche se ormai non c'è più battito cardiaco. Di solito questo accade entro la dodicesima settimana ed è possibile accertare la situazione attraverso un controllo ecografico. Della stessa categoria fa parte la gravidanza anembrionica, più conosciuta col nome di "uovo chiaro": in questo caso c'è la presenza della camera gestazionale ben impiantata nell'utero, ma non è presente l'embrione né, spesso, il sacco vitellino.
Le cause sono molte e varie, spesso difficilmente riconoscibili, principalmente dovute ad aberrazioni cromosomiche del prodotto del concepimento (embrione o feto), secondariamente a problemi della gestante, tra i quali: utero anomalo (utero setto, bicorne, con presenza di fibroma...) incontinenza cervicale patologie endocrine e immunitarie malattie infettive malnutrizione abuso di droga/alcool/farmaci età materna a rischio (sotto i 20 anni e sopra i 35) Frequentemente si tratta di un episodio sporadico e non ripetuto nella stessa donna. Talvolta può presentarsi l'eventualità di più aborti così precoci da essere scambiati come normale flusso mestruale.
In passato la terapia più diffusa per l'aborto spontaneo era la dilatazione cervicale e lo svuotamento strumentale dell'utero, per prevenire infezioni che avrebbero potuto causare la sterilità o la morte della donna. L'aborto era spesso diagnosticato quando era già presente una forte emorragia o c'erano evidenti sintomi nella donna. La diagnosi in genere era "sanguinamento vaginale anomalo". Dagli anni '90 del secolo scorso, con l'avvento delle ecografie intrauterine e gli studi sull'ormone β-hCG, è possibile diagnosticare la morte del feto prima che si verifichi l'espulsione naturale. L'approccio terapeutico per l'aborto ritenuto è di due tipi: attesa dell'espulsione spontanea del prodotto del concepimento oppure sua rimuozione attraverso curettage chirurgico (raschiamento) o isterosuzione. Attualmente la terapia più accreditata è l'attesa sotto controllo medico, e in paesi come l'Olanda, il Canada, il Regno Unito, è la strategia più applicata. Infatti l'aborto spontaneo spesso si risolve naturalmente con l'espulsione del materiale fetale e questo tipo di approccio, oltre a permettere di studiare l'evoluzione della patologia in modo più completo, evita i rischi connessi con la tecnica di svuotamento che potrebbe causare traumi all'utero con possibili complicazioni per le gravidanze future. In genere comunque si rispetta la scelta della donna che può voler aspettare che la natura faccia il suo corso o ridurre i tempi affidandosi al chirurgo. Altre terapie accreditate sono di tipo farmacologico, come l'uso delle prostaglandine e gli anti-progestinici, in tecniche analoghe all'interruzione volontaria di gravidanza. Questi farmaci favoriscono l'esplusione spontanea del materiale fetale, nel caso di aborto spontaneo, già spento. Spesso il prodotto del concepimento (embrione o feto) espulso precocemente viene controllato istologicamente per una differenziazione da altro materiale. In caso di aborti multipli il controllo istologico prevederà anche una mappa cromosomica.
Abbiamo due casi dell'aborto in fase avanzata: il feto è ancora vivo il feto è morto. Nel primo caso si ha una dilatazione della cervice senza contrazioni, che causa un parto indolore, e quindi l'espulsione del feto, che muore per immaturità. Nel secondo caso si avrà un travaglio, ed un parto tradizionale, spesso accompagnato da emorragie. Effetti psicologici. La donna che ha subito un aborto può aver bisogno di sostegno psicologico che aiuti a gestire il dolore della perdita. A qualsiasi epoca della gestazione avvenga, un aborto spontaneo può essere traumatico e può essere vissuto come un lutto. Talvolta la donna può provare un vero e proprio rifiuto dell'idea di avere altre gravidanze e, se già psicologicamente predisposta, può cadere in seri stati depressivi, dai quali è opportuno aiutarla ad uscire (attraverso terapie psicologiche o semplicemente con il sostegno dei parenti e delle persone affettivamente più vicine) prima che si abbiano gravi conseguenze.
L'Interruzione volontaria di gravidanza (IVG) o aborto provocato consiste nell'interruzione dello sviluppo dell'embrione o del feto e nella sua rimozione dall'utero della gestante. La pratica dell'aborto volontario viene svolta in buona parte del mondo, a discrezione della donna nei primi mesi della gestazione, in presenza di gravi malformazioni al feto, nei casi di pericolo per la salute della madre, nel caso in cui il feto sia frutto di una violenza carnale ai danni della madre, ma anche per altri motivi indipendenti dalla condizione di salute della madre o del feto (come la condizione economica, familiare o sociale). Nei paesi in cui i diritti della persona non sono garantiti come in alcuni paesi in via di sviluppo, può essere il marito a imporre alla donna l'aborto, soprattutto in società di stampo patriarcale dove è preferibile avere figli maschi.
Metodologie dell'aborto provocato. Svuotamento strumentale È la metodologia maggiormente diffusa. Avviene in anestesia parziale della durata dell'intervento (circa 5 minuti). Consiste nello svuotamento dell'utero attraverso l'aspirazione strumentale dell'embrione o feto. A seconda del periodo di gestazione viene effettuato con metodologie diverse: Isterosuzione Utilizzata solo entro le prime otto settimane di gestazione. Consiste nell'aspirazione dell'embrione e dell'endometrio attraverso una canula introdotta nell'utero senza la necessità di dilatazioni della cervice. Dilatazione e revisione della cavità uterina (D&R) Dall'ottava alla dodicesima settimana di gestazione, sono eseguite solitamente la dilatazione e la revisione della cavità uterina (D&R). Sempre in anestesia parziale la cervice viene dilatata per permettere il passaggio delle canule da suzione di diametro maggiore necessarie ad evacuare la maggiore quantità di prodotto del concepimento. La cervice viene dilatata adoperando dei dilatatori meccanici calibrati di diametro progressivamente crescente, necessari a raggiungere la dilatazione desiderata, oppure attraverso dilatatori farmacologici od osmotici, come le alghe marine essiccate. Dilatazione e svuotamento (D&S) Utilizzata solo per gravidanze che superino le dodici settimane (dopo i termini della legge italiana per l'interruzione volontaria); questa procedura consiste nella dilatazione del canale cervicale attraverso l'uso di dilatatori osmotici o meccanici. Il feto viene quindi rimosso. Vengono poi aspirati il liquido amniotico, la placenta e i residui fetali.
Induzione farmacologica (RU 486). Per approfondire, vedi la voce RU 486. L'induzione farmacologica dell'aborto è l'ultimo metodo di interruzione di gravidanza introdotto nella medicina tradizionale. Con questo metodo il distacco del feto dall'utero è chimico e non è necessario nessun intervento di natura chirurgica sul corpo della donna. L'induzione farmacologica attualmente viene effettuata attraverso l'uso di un derivato steroideo sintetico, il mifepristone o RU 486 e di una prostaglandina, il gemeprost. La prima pillola induce l'aborto fisiologico, mentre la seconda, sempre chimicamente, induce l'espulsione del feto e la pulizia dell'utero. Il suo inventore, Emile-Etienne Beaulieu aveva chiamato questa tecnica contragestione. È, a volte, confusa erroneamente con la pillola del giorno dopo, un metodo di contraccezione post-coitale che non ha nulla a che fare con l'aborto farmacologico. La pillola RU 486 è legale in Francia, Inghilterra, Germania, Austria, Spagna, Usa. Nel 2005 è partita la sperimentazione in Italia, l'uso del farmaco non è ufficialmente proibito, ma esso non è stato ancora iscritto all'elenco dei farmaci la cui vendita è permessa, l'industria che lo produce non ne ha mai fatto richiesta di registrazione. Nel 2006 il Ministero della salute ne ha vietato l'importazione diretta dalla Francia da parte degli ospedali. Altri metodi.
Induzione del travaglio e parto prematuro.
Utilizzato generalmente per salvaguardare la salute della donna in casi di grave pericolo nelle gravidanze dopo la dodicesima settimana, è un parto a tutti gli effetti, provocato farmacologicamente con prostaglandine al fine di provocare l'espulsione del feto (possono occorrere alcuni giorni di applicazione, fino a 4 o 6 , ma più spesso 1 o 2). La fuoriuscita dall'utero provoca generalmente, ma non sempre, la cessazione delle attività vitali del feto a ragione della sua immaturità. Isterotomia.
Raramente utilizzato a causa dei gravi rischi per la fertilità e la salute della donna. È la tecnica che consiste nell'asportazione del feto tramite taglio cesareo. Nascita parziale.
Un metodo efficace negli aborti dalla sedicesima settimana alla nascita, vietato dalla legge italiana, è quello della nascita parziale. Esso consiste nell'estrazione parziale del feto dall'utero attraverso l'uso di una pinza, che permette l'avvicinamento del cranio alla cervice e lo svuotamento del medesimo attraverso l'introduzione in esso di una canula aspiratrice. Lo svuotamento del cranio si rende necessario per permetterne il passaggio agevole attraverso la cervice. Questa metodologia piuttosto brutale è stata oggetto di un'intensa discussione negli Stati Uniti dove, completamente legale in precedenza, se ne è ristretta nel 2003 la possibilità di utilizzo solo ai casi in cui sia in serio pericolo la vita della madre. Conseguenze sulla salute.
Le possibili conseguenze sulla salute fisica della donna variano considerevolmente a seconda della situazione. Va dunque anzitutto considerato il motivo per cui si ricorre all'aborto procurato, e cioè se siano motivi inerenti allo stato di salute della donna o meno.Dal punto di vista fisico, se l'aborto avviene nelle prime otto settimane il rischio è pressoché inesistente e considerevolmente più basso del parto.Il rischio aumenta esponenzialmente al progredire della gestazione. Le complicanze più frequenti sono perforazioni all'utero, alla vescica o all'addome, causate da imperizia o dagli eventuali bruschi movimenti imprevisti della paziente.Un aborto non propriamente eseguito può portare a shock settico se siano rimasti residui nella cavità uterina. Allo stesso modo può generarsi infertilità e nei casi più gravi la morte, che è in massima parte connessa ai rischi della eventuale, e quindi sconsigliata, anestesia totale.Va ricordato che un ridottissimo numero di casi di aborti non va a termine e la gravidanza prosegue, dando luogo regolarmente alla nascita del bambino. Questa eventualità, rara, si verifica nei casi in cui la gravidanza sia in fase molto avanzata.È evidente quindi il motivo per cui la legge obblighi il ricorso a personale medico competente e a strutture adeguate. Solo in queste condizioni è possibile minimizzare i rischi anche nelle situazioni più sfavorevoli. Si è inoltre avanzata l'ipotesi che un aborto procurato possa innalzare il rischio di contrarre cancro al seno. Questo avverrebbe perché all'eliminazione dell'embrione o feto il corpo interromperebbe bruscamente la produzione di specifici ormoni necessaria allo sviluppo del feto. Tale ipotesi, nota come correlazione ABC (abortion-breast cancer), non è mai stata confermata dalle organizzazioni mediche e scientifiche. Qualora si vericasse come attendibile, comunque, aggraverebbe il rischio di tumore tanto nelle donne che ricorrano alla IVG, quanto in quelle, molto più numerose, che perdano il bambino spontaneamente per aborto naturale. In entrambi i casi, infatti la perdita del concepito è brusca e fuori dal tempo naturalmete previsto e in entrambi i casi la produzioni di specifici ormoni si interompe.Per approfondire vedi anche la voce correlazione ABC. Dolore fetale.
Vi è una accesa controversia se sia possibile che il feto percepisca o meno dolore.Alcuni ritengono che possa percepire dolore a partire dal terzo mese di gestazione, altri che ciò non avviene se non a partire dal sesto e oltre perché le necessarie caratteristiche neuroanatomiche non sarebbero state raggiunte.Scientificamente parlando i recettori del dolore iniziano ad apparire a partire dalla settima settimana di gestazione. Tuttavia gli organi coinvolti nel processo giungono a formazione completa solo molto più tardi, e cioè verso la 23esima settimana, quando si formano le connessioni tra il talamo e la corteccia cerebrale.L'impossibilità di misurare il dolore, il dubbio su in che modo esso venga percepito e a carico di quali organi, tuttavia, rende il dibattito difficile da dirimere e la polemica rimane aperta. Sopravvivenza fetale.
In taluni casi, il feto riesce a sopravvivere ad un tentativo di aborto. Quando sussiste "la possibilità di vita autonoma del feto", la legge italiana (art.7, 194) obbliga "il medico che segue l'intervento ad adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto". L'aborto in questo caso non è concesso nel caso di pericolo di gravi malformazioni del nascituro, mentre lo è se la gravidanza comporta un pericolo di vita per la donna. La legge non obbliga esplicitamente a rianimare un feto sopravvissuto, ed è talora interpretata in senso "preventivo", come obbligo che vige prima e durante l'intervento abortivo, ma non per quanto accade dopo la sua conclusione. La legge non specifica se la possibilità di vita autonoma del feto vada rivista alla luce del progresso scientifico e tecnologico, in particolare delle tecniche di rianimazione, individuando una settimana di vita oltre la quale il feto si considera capace di vita autonoma. Il periodo massimo oltre il quale non è più praticabile l'aborto sarebbe compreso fra il limite non raggiunto dalle tecniche di rianimazione e la settimana in cui il feto ha una costituzione degli organi per la quale si inizia a considerare un essere umano in via di formazione. A valle di alcuni episodi di sopravvivenza fetale, singoli ospedali hanno deciso di far firmare alla donna un consenso informato nel quale chiede che sia praticata/negata la rianimazione in caso di sopravvivenza fetale. La soluzione è coerente con la 194 che affida alla donna la facoltà di decidere in ogni momento della gravidanza, potendo scegliere di non interpellare il partner. Le tecniche attuali consentono la rianimazione di un individuo a partire dalla 23esima settimana di gravidanza. Conseguenze psicologiche. Le possibili complicanze psicologiche sui soggetti coinvolti sono estremamente variabili e determinati in parte più o meno consistente dall'educazione ricevuta e dalle pressioni sociali cui le persone sono soggette, oltre che dalle caratteristiche specifiche della personalità, della condizione sociale e dello stato psicologico delle persone coinvolte.Gli studi effettuati e l'esperienza clinica suggeriscono che il punto non sia tanto, o non soltanto, se abbia peggiori conseguenze sulla psiche una gravidanza imposta o un aborto spontaneo o procurato.Piuttosto può essere determinante un complesso insieme di senso di colpa, di senso di inadeguatezza di se stessi rispetto alle circostanze, di incomprensione e tentativi di influenzamento da parte di altre persone coinvolte nell'evento, di spaesamento relativo a come gestire il problema, di perdita, di aspettative mancate, di paura di eventuali conseguenze sociali.In altre parole le conseguenze psicologiche si sono dimostrate presenti e anche particolarmente gravi sia in casi di IVG quanto in casi di gravidanza imposta per IVG negata, quanto infine in casi di aborto spontaneo di un figlio desiderato.Tali conseguenze possono spaziare dalla depressione clinica o postpartum, alle tendenze suicide, abuso di farmaci, stati ansiosi e psicosi.È bene ricordare, inoltre, che sebbene gli uomini siano stati educati per molto tempo a considerare una gravidanza indesiderata un problema esclusivamente femminile, abbandonando così le donne a se stesse, col compito di gestire da sole la situazione, diverse cose sono cambiate in questi anni in seguito all'educazione a una maggiore consapevolezza del proprio ruolo nella riproduzione, anche in ambito maschile.Molti ragazzi e giovani uomini in questi ultimi anni hanno mostrato di essere anch'essi sensibili riguardo al problema e di sentirsi direttamente parte in causa. Non vanno quindi trascurate le possibili ripercussioni psicologiche sul potenziale padre del nascituro, nel caso in cui la donne esprima la volontà di interrompere la gravidanza, soprattutto se l'opinione dell'uomo è opposta.Al di là dei fronti polemici aperti sulla questione, ciò che si può realisticamente concludere è che una IVG può esporre le persone coinvolte, in primis e in particolare la donna, ad un elevato rischio di stress psicologico e di gravi sofferenze emotive, in alcuni casi destinate a perdurare nel tempo.Questo fatto, ben noto agli operatori sociali, sanitari e a chiunque abbia avuto modo di essere coinvolto anche solo marginalmente nel processo, induce tanto il fronte degli antiabortisti quanto quello dei sostenitori della legittimità dell'IVG a lavorare per ridurre al minimo possibile il numero delle IVG effettuate, considerandole come un avvenimento che inevitabilmente è (in misura variabile da persona a persona) traumatico sia fisicamente che psicologicamente, per chi lo subisce.In Finlandia sono stati valutati i decessi di tutte le donne in età fertile (non è quindi stata un'indagine su campioni), entro un anno dal termine della gravidanza; è risultato che le donne che abortiscono volontariamente hanno una mortalità tripla rispetto a quelle che partoriscono, con un tasso di suicidi superiore del 700%. Questo studio, tuttavia, proprio in quanto non effettuato su campioni statistici opportunamente formati, va valutato alla luce della diversa composizione sociale, anagrafica ed economica dei due gruppi di donne oggetto del confronto; è cioè possibile e prevedibile che la scelta di abortire sia conseguente a una condizione sociale e individuale insoddisfacente, ad es. per carenti relazioni sociali e familiari, situazione di povertà, immigrazione clandestina etc., stati depressivi pre-esistenti etc., o più semplicemente giovanissima età, che di per sé sono tradizionalmente individuate come fattori statistici di maggiore predisposizione al suicidio. Lo studio non può dunque essere considerato statisticamente significativo e la sua rilevanza nello spiegare la correlazione causa-effetto è nulla in quanto non in grado di isolare il fattore "aborto" rispetto agli altri potenziali fattori causanti l'accresciuta mortalità femminile.
Le informazioni qui riportate hanno solo un fine illustrativo: non sono riferibili né a prescrizioni né a consigli medici
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