48° FESTIVAL DEI POPOLI - Filmare la musica, Glastonbury

Julien Temple esplora il mito musicale di Glastonbury. Un festival che, dal 1971, si tiene ogni anno in Inghilterra. Il film, presentato anche a Berlino, ripercorre le performance più storiche della manifestazione. Protagonista assoluto però è il pubblico, un oceano di persone tra le quali lo spirito degli anni settanta sembra essere più vivo che mai.
Terra di Albione. Glastonbury è un luogo dove si incrociano correnti storiche e vitali. Cristianità, l’epica anglo-sassone, druidismo. Stonehenge è poco distante. Da più di trenta anni questa terra è anche il luogo di un gigantesco e delirante festival musicale. Centinaia di migliaia di persone fluiscono in questi campi attrattati dalla completa libertà che il festival promette. Oltre alla componente musicale è proprio quella dello stare insieme, del far parte di una comunità e di una celebrazione (come sempre officiata attraverso la musica) che fa arrivare in questo angolo di Inghilterra una coloratissima, selvaggia e oceanica folla. I colori delle tende, il verde delle valli, il marrone del fango. Giorni di assoluta anarchia nei quali lasciarsi andare, giorni in cui le utopie hippy degli anni sessanta ancora non sono morte e defunte. Giorni in cui dare libero spazio alla propria fantasia, attraverso costumi, sculture, performance, giochi circensi, droghe (a quanto sembra tra queste persone gli allucinogeni sono ancora conosciuti).Julian Temple, grazie anche ai contributi presi da molti video amatoriali, ricostruisce l’atmosfera di questo luogo magico, fuori dal tempo, fuori dagli schemi, fuori da ogni definizione. Un lavoro che prende forma attraverso un montaggio serrato e inarrestabile, che catapulta lo spettatore direttamente all’interno di questa manifestazione. Una colonna sonora che raccoglie molti degli artisti più significativi degli ultimi trenta anni accompagna questa moltitudine umana. Perché quello di Temple è un documentario che guarda, prima di tutto, tra le persone, che sale sul palco solo per pochi attimi, per mostrarci chi a Glastonbury è venuto a suonare per portare avanti quella che sembra essere diventata una vera e propria tradizione. E allora vediamo i Velvet Underground, i Radiohead, Joe Strummer, Prodigy e Chemical Brothers, Nick Cave e Bjork, Coldplay e Primal Scream, David Bowie e Morrisey.In questo luogo è ancora presente uno spirito di affrontare e vivere le cose ormai irrimediabilmente perduto. Ormai scaduto in una serie di stereotipi abusati e banali, ridicolizzato da cliches e distrutto da una società consumistica che ha definitivamente messo da parte le esigenze più profonde di ogni persona. Vedere tutta questa gente insieme dà il senso di cosa dovrebbe significare entrare in una chiesa, fare parte di una cerimonia, assistere ad un rituale. Qualcosa che accomuni uomini, donne e bambini, un’esperienza che li coinvolga e li faccia trascendere. Che sia un tramonto, la forza dionisiaca della musica, lo stare nudi o l'assumere allucinogeni non ha importanza, quello che conta è non sentirsi per un attimo più soli, non sentirsi più chiusi nella propria individualità, ma aprirsi finalmente all’altro. Ballando con lui, toccandolo, condividendo lo stesso joint, bevendo dalla stessa bottiglia, dormendogli accanto. Julien Temple testimonia in maniera magnifica tutto questo, lasciando alle immagini la grande capacità di fare entrare in questa dimensione anche chi a Glastonbury non è mai potuto andare.
Emiliano Bertocchi