MILANO - Enzo Biagi è morto poco dopo le otto alla clinica Capitanio di Milano, dove era ricoverato da una decina di giorni. Al momento del decesso del popolare giornalista e scrittore c'erano al capezzale le due figlie Bice e Carla, e i generi. Enzo Biagi, testimone del secolo come pochi altri, se ne e' andato. Come una foglia d'autunno - per usare una delle ultime immagini che il popolare giornalista e scrittore era ancora riuscito a dare di se stesso - si è staccato dall'albero della vita, spazzato dal vento forte di una malattia inesorabile. Biagi è morto alla clinica Capitanio, a 87 anni, attorniato dai suoi familiari, che lo hanno assistito in questi ultimi, drammatici dieci giorni. Era nato Pianaccio, piccolo borgo di Lizzano in Belvedere, un paese dell'Appennino tosco-emiliano in provincia di Bologna, il 9 agosto del 1920. Qui giovedi' si terranno i funerali. La camera ardente è prevista alla clinica Capitanio di Milano, oggi e domani. Biagi è stato lucido fino alla fine, come hanno testimoniato i colleghi e gli amici che, in quest'ultima settima, sono andati a trovarlo. Ha lottato "come un leone", non ha subito passivamente l'aggressione della malattia anche se forse era il primo a rendersi conto che la fine era imminente. "Il solito Biagi che tutti conosciamo" è stato il commento di chi era andato a visitarlo. Ma che la battaglia fosse persa lo avevano sostanzialmente ammesso le stesse figlie, Bice e Carla, che in questi giorni non hanno mai rifiutato il contatto con la stampa, un mondo nel quale la famiglia Biagi ha una tradizione ben radicata. "La situazione è precipitata" era stato il primo annuncio e poi, con il passare delle ore e dei giorni "é sempre lucido, determinato, sereno", "c'é stato un lieve miglioramento ma la prognosi resta riservata", "é molto affaticato": frasi, pronunciate in tempi diversi, più eloquenti di qualsiasi bollettino medico sugli alti e bassi. Non restava che attendere, anche perché il pessimismo dei medici non lasciava spazio alla possibilità di una ripresa. Eppure Biagi già altre volte era riuscito a superare serie crisi. In una intervista del 2004, all'epoca del suo allontanamento dalla Rai, parlando dei suoi problemi, ricordava di aver fatto "due pneumotoraci" e di aver impiantati "sei by-pass" anche se su di lui avevano pesato, più di quelli, la morte della moglie Lucia, nel febbraio 2002, e della figlia Anna, a soli 47 anni, nel maggio dell'anno successivo. Ma la sua forte fibra aveva resistito a tutto. Proprio per questo, quando si era diffusa la voce del ricovero in clinica di Biagi, dieci giorni fa, sembrava potesse trattarsi di uno dei tanti controlli ai quali periodicamente veniva sottoposto. In realtà era qualcosa di più: la situazione stava degenerando. Era inevitabilmente questione di giorni e, stamani, è sopravvenuto il decesso. "Si è addormentato sereno" è stata l'immagine di quel momento data dalla figlia Bice.
Enzo Marco Biagi (Pianaccio di Lizzano in Belvedere, 9 agosto 1920 – Milano, 6 novembre 2007) è stato un giornalista, scrittore e conduttore televisivo italiano.
« Ho sempre sognato di fare il giornalista, lo scrissi anche in un tema alle medie: lo immaginavo come un "vendicatore" capace di riparare torti e ingiustizie [...] ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo »
(Enzo Biagi)
Nacque a Pianaccio, un piccolo paese sull'Appennino bolognese, frazione del comune di Lizzano in Belvedere. All'età di nove anni si trasferì a Bologna, dove il padre Dario lavorava, come vice capo magazziniere, in uno zuccherificio già da qualche anno. L'idea di diventare giornalista gli nacque dopo aver letto Martin Eden di Jack London. Frequentò l'istituto tecnico Pier Crescenzi, dove con altri compagni diede vita ad una piccola rivista studentesca, Il Picchio, che si occupava soprattutto di vita scolastica. Il Picchio fu soppresso dopo qualche mese dal regime fascista e da allora nacque in Biagi una forte indole antifascista.
Nel 1937, all'età di diciassette anni, compose il suo primo articolo, pubblicato sul quotidiano L'Avvenire d'Italia, che parlava del dilemma sorto nella critica dell'epoca se il poeta di Cesenatico Marino Moretti fosse crepuscolare o no. Cominciò così la sua collaborazione con l'Avvenire occupandosi di cronaca, di colore e di piccole interviste a cantanti lirici.
Nel 1940 fu assunto in pianta stabile dal Carlino Sera, versione serale de Il Resto del Carlino, come estensore di notizie, ovvero colui che si occupa di sistemare gli articoli portati in redazione dai reporter. Nel 1942 fu chiamato alle armi ma non partì mai per il fronte a causa di problemi cardiaci che lo accompagneranno per tutta la vita. Si sposò con Lucia Ghetti, maestra elementare, il 18 dicembre 1943; poco dopo fu costretto a rifugiarsi sulle montagne e qui aderì alla Resistenza combattendo nelle brigate "Giustizia e Libertà" legate al Partito d'Azione.
Terminata la guerra, entrò con le truppe alleate a Bologna e fu proprio lui ad annunciare alla radio locale l'avvenuta liberazione. Poco dopo fu assunto come inviato speciale e critico cinematografico al Resto del Carlino.
Nel 1951 Biagi aderì al manifesto di Stoccolma contro la bomba atomica e, accusato dal suo editore di "essere un comunista sovversivo", fu allontanato dal Resto del Carlino.
Qualche mese dopo, fu assunto da Arnoldo Mondadori e diventò caporedattore del settimanale Epoca, carica che ricoprì dal 1952 al 1960 trasferendosi per la prima volta a Milano. Dopo qualche mese, ne divenne direttore. Il settimanale attraversava un periodo difficile e nel 1951 si erano alternati alla sua guida ben quattro direttori. Biagi impose un decisivo cambiamento di marcia, con nuove rubriche e una nuova veste editoriale, trasformando Epoca da rivista di pettegolezzi a un giornale impegnato. Sotto la sua direzione, Epoca si impose all'attenzione del grande pubblico grazie ad inchieste e reportage esclusivi, in particolare sul caso Montesi e su papa Pio XII. Nel 1960 tuttavia un articolo sugli scontri di Genova e Reggio Emilia contro il governo Tambroni provocò la reazione dura dello stesso e Biagi fu costretto a dimettersi. Qualche mese dopo fu assunto dalla Stampa come inviato speciale.
« Ero l'uomo sbagliato al posto sbagliato: non sapevo tenere gli equlibri politici, anzi proprio non mi interessavano e non amavo stare al telefono con onorevoli e sottosegretari [...] Volevo fare un telegiornale in cui ci fosse tutto, che fosse più vicino alla gente, che fosse al servizio del pubblico non al servizio dei politici »
( Enzo Biagi)
Il 1° ottobre 1961 Biagi diventò direttore del Telegiornale, secondo alcuni per accontentare il Partito Socialista Italiano che in quegli anni iniziava con la Democrazia Cristiana l'esperienza del centrosinistra. Biagi fece assumere in RAI alcuni grandi giornalisti italiani come Giorgio Bocca e Indro Montanelli. Ma ben presto arrivarono critiche durissime soprattutto dal PSDI di Giuseppe Saragat e dalla destra, che fece stampare volantini e manifesti con cui accusò Biagi di essere un comunista. Nel 1963 curò la nascita del telegiornale del secondo canale Rai. Nello stesso anno, lanciò RT-Rotocalco Televisivo, il primo settimanale della televisione italiana. Nel 1963 fu costretto a dimettersi.
Ritorna quindi a La Stampa come inviato speciale, scrivendo anche per il Corriere della Sera e per il settimanale L'Europeo. La sua collaborazione con la Rai, riprende nel 1968 quando chiamato dall'allora direttore generale, Ettore Bernabei si lega alla tv di Stato, per la realizzazione di programmi di approfondimento giornalistico. Tra i più seguiti e innovativi: "Dicono di lei" (1969), una serie di interviste a personaggi famosi, tramite frasi, aforismi, aneddotti sulle loro personalità e "Terza B, facciamo l'appello" (1971), in cui personaggi famosi incontravano dei loro ex compagni di classe, amici dell'adolescenza, i primi timidi amori.
Nel 1971, dopo numerose collaborazioni al Corriere della Sera e al settimanale L'Europeo, fu nominato direttore del Resto del Carlino con l'obiettivo di trasformarlo in un quotidiano nazionale. In questo periodo riprese la sua collaborazione con la Rai. Il 30 giugno del 1972 fu allontanato dalla direzione del Resto del Carlino e tornò quindi al Corriere della Sera.
Nel 1975, pur senza lasciare il Corriere, collaborò con l'amico Indro Montanelli alla creazione del Giornale.
Dal 1977 al 1980, ritorna a collaborare stabilmente alla Rai, conducendo "Proibito" programma in prima serata su Rai Due che trattava temi d'attualità. All'interno del programma guida due cicli d'inchieste internazionali denominati "Douce France" (1978) e "Made in England" (1980). Intanto, dopo lo scandalo della P2 lascia il Corriere della Sera e collabora come editorialista con La Repubblica, quotidiano che lascerà nel 1988, quando ritornerà al Corriere.
Nel 1982 conduce la prima serie di "Film Dossier", un programma che attraverso film mirati, punta a coinvolgere lo spettatore, nel 1983, dopo un programma su Rai Tre dedicato ad episodi della seconda guerra mondiale (La guerra e dintorni), inizia a condurre su Rai Uno "Linea Diretta", uno dei suoi programmi più seguiti, che propone l'approfondimento del fatto della settimana, tramite il coinvolgimento dei vari protagonisti. Linea Diretta viene trasmesso fino al 1985. L'anno dopo è la volta di "Spot", un settimanale giornalistico, cui Biagi collabora come intervistatore. Nel 1989 riapre i battenti per un anno Linea Diretta.
Nei primi anni Novanta, realizza sopratutto trasmissioni tematiche, di grande spessore, come "Che succede all'Est?" (1990), "I dieci comandamenti all'italiana" (1991), (trasmissione che ricevette i complimenti di Giovanni Paolo II) "Una storia" (1992), (sulla lotta alla mafia). Segue attentamente le vicende di "Mani pulite", con programmi come "Processo al processo su Tangentopoli", (1993) e "Le inchieste di Enzo Biagi" (1993-1994).
Nel 1995 iniziò la trasmissione Il Fatto, un programma di approfondimento dopo il Tg1 sui principali fatti del giorno, di cui Biagi era autore e conduttore. Nel 2004 Il Fatto, che mediamente era seguito da oltre 6.000.000 di telespettatori, fu nominato da una giuria di giornalisti il miglior programma giornalistico realizzato nei cinquant'anni della Rai. Famose resteranno le interviste a Marcello Mastroianni, a Sofia Loren, a Indro Montanelli e le due realizzate a Roberto Benigni, l'ultima delle quali nel 2001, in piena campagna elettorale: il comico toscano, inevitabilmente, parlò di Silvio Berlusconi e della sua candidatura, commentando a modo suo il conflitto d'interessi e il contratto con gli italiani. L'intervista scatenò roventi polemiche contro Benigni e contro Biagi. Il deputato di Alleanza Nazionale e futuro ministro delle comunicazioni, Maurizio Gasparri, parlando ad un'emittente lombarda, auspicò l'allontanamento dalla Rai dello stesso Biagi.
Il 18 aprile 2002 l'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, mentre si trovava in visita ufficiale a Sofia, dichiarò nel corso di una conferenza stampa:
« La Rai tornerà ad essere una tv pubblica, cioè di tutti, non partitica, [...] come è stata durante l'occupazione militare della sinistra. L'uso fatto da Biagi, da quel...come si chiama? Ah Santoro e da Luttazzi è stato veramente criminoso e fatto con i soldi di tutti. Preciso dovere di questa dirigenza sia quello di non permettere più che questo avvenga. [...] Ma siccome non cambieranno... »
L'Agenzia Ansa diffuse la dichiarazione di Berlusconi (che passerà alla storia con la definizione giornalistica di Editto bulgaro). Biagi, di concerto con la sua redazione e ottenuto l'assenso dei vertici della Rai, decise di replicare quella sera stessa nella puntata del Fatto, dichiarando:
« Il presidente del Consiglio non trova niente di meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro, Luttazzi e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? [...] Poi il presidente Berlusconi, siccome non intravede nei tre biechi personaggi pentimento e redenzione, lascerebbe intendere che dovrebbero togliere il disturbo. Signor presidente, dia disposizioni di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho verso me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri [...]. Sono ancora convinto che perfino in questa azienda (che come giustamente ricorda è di tutti, e quindi vorrà sentire tutte le opinioni) ci sia ancora spazio per la libertà di stampa; sta scritto - dia un'occhiata - nella Costituzione. Lavoro qui in Rai dal 1961, ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il palinsesto [...]. Cari telespettatori, questa potrebbe essere l'ultima puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. »
Le trasmissioni del Fatto proseguirono regolarmente fino alla prima settimana di giugno quando terminò la stagione. La dirigenza Rai decise di cancellare il programma, dopo un lungo tira e molla cominciato già a gennaio, cioè prima dell'editto bulgaro, quando il direttore di Rai Uno, Agostino Saccà, si recò alla commissione parlamentare di vigilanza. Egli dichiarò che l'azienda doveva controbbattere Striscia la notizia e non poteva permetterselo con una trasmissione di cinque minuti che aveva conosciuto nell'ultimo periodo un calo di 3-4 punti di share. La dichirazione fu contestata dai commissari del centro-sinistra, durante l'audizione, perché i dati Auditel dichiaravano che il Fatto aveva uno share del 27,92% di media, quasi otto milioni di telespettatori, addirittura superiore alla quota dell'anno prima, che aveva una media del 26,22%.
In seguito, il 17 aprile, furono diffuse le nuove nomine della Rai. Rai Uno venne affidata a Fabrizio Del Noce, ex deputato di Forza Italia, che dichiarò che "stava studiando una soluzione idonea per il Fatto e per Enzo Biagi".
Successivamente, Saccà e Del Noce proposero a Biagi diverse soluzioni alternative per la collocazione del Fatto: alle 13:00, dopo il Tg1 delle 12:30 (ipotesi respinta da Biagi: "È troppo presto per approfondire adeguatamente i fatti del giorno"), poi alle 19:50 (ipotesi respinta anche questa: "Peggio della prima! È assurdo fare l'approfondimento prima della notizia").
Del Noce non confermò alla stampa la presenza del Fatto nei palinsesti, non ancora definitivi per la nuova stagione 2002-2003 e diffusi a maggio. Biagi scrisse al nuovo presidente della Rai, Antonio Baldassare, già membro della Corte Costituzionale, chiedendo spiegazioni sul suo futuro e se la Rai intendesse rinnovare il suo contratto in scadenza a dicembre. Baldassare, presentandosi ai telespettatori come "un punto di riferimento per la libertà dentro la Rai", rispose a Biagi che "è e rimarrà una risorsa per l'azienda", facendosi intervistare proprio al Fatto.
Un mese dopo, durante la tradizionale presentazione a Cannes dei palinsesti autunnali della Rai, il Fatto era assente. Alle domande dei giornalisti, la Rai rispose che "Biagi aveva perso appeal".
Il 2 luglio si tenne un incontro fra Enzo Biagi, il regista del Fatto Loris Mazzetti, Fabrizio Del Noce e Agostino Saccà, che era diventato nel frattempo direttore generale della Rai. In questo vertice si decise di sopprimere Il Fatto e di affidare a Biagi una trasmissione in prima serata, con inchieste e temi d'attualità. Inoltre si decise di rinnovare il contratto che legava Biagi alla Rai.
La bozza del contratto arrivò a Biagi solo il 18 settembre, dopo ripetute sollecitazioni da parte di quest'ultimo. Intanto Il Fatto era stato sostituto da un programma comico, con Tullio Solenghi e Massimo Lopez, "Max e Tux". Il nuovo programma precipitò ben presto dal 27 al 18% di share. Del Noce imputò a Biagi il crollo degli ascolti perché "col suo vittimismo ha scatenato verso Rai Uno un accanimento senza precedenti". Biagi decise di lasciare Rai Uno e intavolò, con la mediazione sempre di Loris Mazzetti, trattative con il direttore di Rai Tre, Paolo Ruffini, per riprodurre Il Fatto sulla sua rete alle 19:53, dopo il Tg3 e i telegiornali regionali. Alla diffusione della notizia, il presidente Rai Baldassarre dichiarò: "E' una bella notizia, ma troppo costosa per Rai Tre".
Il 20 settembre Biagi, in una lettera al direttore generale Saccà, scrisse che se la Rai aveva ancora bisogno di lui (come dichiarato dallo stesso dg) e se questo ostacolo era rappresentato da problemi economici, egli si dichiarava pronto a rinunciare al suo stipendio, accettando quello dell'ultimo giornalista della Rai, purché detto stipendio venisse inviato al parroco di Vidiciatico, un paesino sperduto nelle montagne bolognesi, che gestiva un ospizio per anziani rimasti soli.
Saccà replicò, con una lettera al quotidiano La Repubblica (che stava dando grande risalto alla vicenda), che il programma non poteva essere trasmesso per esigenze pubblicitarie.
Il 26 settembre Saccà inviò ad Enzo Biagi una raccomandata con ricevuta di ritorno, in cui gli spiegava, con toni formali, che Il Fatto era sospeso, così come le trattative fra lui e la Rai; si sarebbe trovato il tempo più in là per fare un nuovo programma, magari dai temi più leggeri.
Biagi, esausto per quell'interminabile tira e molla, offeso per i contenuti di quella raccomandata che secondo la sua interpretazione "lo cacciava ufficialmente dalla Rai", su consiglio delle figlie e di alcuni colleghi, decise di non rinnovare il contratto e di chiudere il legame fra Biagi e la Rai, con una transazione economica, curata dall'avvocato milanese, Salvatore Trifirò. La Rai riconobbe il lungo lavoro di Biagi "al servizio dell'azienda" e pretese che in cambio non lavorasse per nessun'altra rete nazionale per almeno due anni.
L'annuncio della chiusura del contratto provocò polemiche su tutti i giornali e attacchi durissimi ai dirigenti Rai, già sotto assedio per il crollo degli ascolti (che avevano provocato le dimissioni di tre dei cinque membri del Cda). Saccà e Baldassare dichiararono ai giornali che "Biagi non era stato mandato via", che quella era solo un'invenzione dei giornalisti, che Enzo Biagi era il presente, il passato e il futuro della Rai, che "la presenza di voci discordanti dall'attuale maggioranza, com'è appunto quella di Biagi, era fondamentale". Di fronte a queste levate di scudo, Biagi commentò con ironia: "Ma, se allora tutti mi volevano, chi mi ha mandato via?"
Poco dopo, il consigliere d'amministrazione di AN Marcello Veneziani, dichiarò che Biagi con "quella chiusura del contratto, aveva svenato l'azienda e quindi la smettesse di piagnucolare a destra e a sinistra". Biagi allora rese pubblico il suo contratto di chiusura. La sua liquidazione è la stessa cifra che, successivamente, un giudice stabilirà come risarcimento per Michele Santoro.
Tornò in televisione, dopo due anni di silenzio, alla trasmissione Che tempo che fa intervistato per una ventina di minuti da Fabio Fazio. Il ritorno di Biagi in tv segnò ascolti record per Rai Tre (e per la stessa trasmissione di Fazio) e fece molto scalpore suscitando reazioni diverse nel Paese: il quotidiano La Repubblica titolò il giorno dopo: "Biagi di sera, bel tempo si spera" mentre il giornale Libero, insieme a politici di destra, accusarono Biagi di strumentalizzare la vicenda. Biagi è poi tornato altre due volte alla trasmissione di Fazio, testimoniando ogni volta il suo affetto per la Rai «la mia casa per quarant'anni» e la sua particolare vicinanza a Rai Tre. In una di queste interviste, commentando la grande confusione sul risultato delle elezioni dichiarò: «Ho capito una sola cosa: che nessuno vuol perdere!» che è diventato, di fatto, un tormentone. Biagi è successivamente intervenuto anche al Tg3 e in altri programmi della Rai. Invitato anche da Adriano Celentano nel suo Rock Politik in una puntata dedicata alla libertà di stampa assieme a Santoro, Biagi ha però declinato l'offerta per motivi di salute.
Negli ultimi anni ha scritto sul settimanale L'Espresso, sulla rivista Oggi e sul Corriere della Sera.
Nella sua ultima apparizione televisiva, Biagi ha affermato che il suo ritorno in Rai era molto vicino e, al termine della trasmissione, il direttore generale della Rai, Claudio Cappon, telefonando in diretta, ha annunciato che l'indomani stesso Biagi avrebbe firmato il contratto e sarebbe tornato alla Rai. Alla notizia, il pubblico in sala è esploso in un grande applauso.
Il 22 aprile 2007 è tornato in tv con "RT - Rotocalco Televisivo", aprendo la trasmissione dicendo: "Buonasera, scusate se sono un po' commosso e, magari, si vede. C'è stato qualche inconveniente tecnico e l'intervallo è durato cinque anni" e parlando di resistenza, di quella odierna di chi resiste alla camorra fino alla Resistenza con la R maiuscola, con interviste a chi l'ha vissuta in prima persona.
Non pochi anni prima era stato sottoposto ad un delicato intervento chirurgico durante il quale gli erano stati innestati ben quattro by-pass cardiaci: addirittura, ne prese spunto per una sua battuta scherzosa riferita all'Avv. Gianni Agnelli ("qualcosa più di lui ce l'ho sicuramente, un by-pass in più...").
Ricoverato per oltre dieci giorni in una clinica milanese, a causa di un edema polmonare e di sopraggiunti problemi renali e cardiaci, è morto all'età di 87 anni la mattina del 6 novembre 2007. Pochi giorni prima di morire sembra avesse detto ad un'infermiera, "Si sta come d'autunno \ sugli alberi \ le foglie", citando la poesia "Soldati" di Ungaretti, aggiungendo poi "ma tira un forte vento...", segno di una lucidità intellettuale davvero ammirevole per l'età e le condizioni fisiche.
Tra i numerosi libri pubblicati da Biagi:
in opere:
Un anno Una vita (1992), un libro che contiene tre interviste con pensieri e riflessioni sulle figure di Antonio Di Pietro, Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta. Il titolo si riferisce agli avvenimenti che sconvolsero l'Italia nel 1992 che sono stati talmente intensi come un'intera vita.
La disfatta, (1993) inchiesta su Tangentopoli e sull'Italia delle tangenti
I come Italiani (1972), una sorta di dizionario antropologico sui difetti e i pregi italiani.
Il boss è solo (1986), libro-intervista ai pentiti di mafia
Il sole malato (1987), reportage sull'Aids
L'Italia dei peccatori (1989), tutti i vizi d'Italia
L'albero dai fiori bianchi (1994), raccolta di riflessioni quotidiane, il titolo si riferisce ad un ciliegio che si trova dietro la sua casa.
Il signor Fiat (inchiesta sulla famiglia Agnelli)
La bella vita (intervista all'attore Marcello Mastroianni) del 1996
Sogni perduti (1997) saggio sulle "spalle" di grandi personalità come Montanelli, De Gasperi o Angelo Rizzoli.
Scusate, dimenticavo (1997) ricordi e riflessioni autobiografiche
Racconto di un secolo (1999), interviste sul Novecento ai protagonisti del XX secolo.
Lettera d'amore a una ragazza di una volta (2003), dedicato alla moglie Lucia, da poco scomparsa
Il Fatto (raccolta di interviste) (2003)
La mia America (2004), saggio sul mito dell'America e sulla presidenza Bush
Era ieri (2005) (autobiografia in collaborazione con Loris Mazzetti), il libro che ha venduto di più ed è stato tradotto in nove lingue.
Quello che non si doveva dire (2006) saggio sull'editto bulgaro
Enzo Biagi ha scritto anche tre libri in fumetti: Storia d'Italia a fumetti, Storia di Roma a fumetti e La storia dei popoli a fumetti.
Inoltre:
i romanzi: Disonora il padre (1975), Una signora così così (1979);
una serie di reportage in giro per il mondo pubblicato nella serie "Geografia di Enzo Biagi" (America, 1973; Russia, 1974; Italia, 1975 (disegni di Luciano Francesconi); Germanie, 1976; Scandinavia, 1977; Francia, 1978; Cina, 1979; Inghilterra, 1980). Nel 1994 ha ripreso lo stile della "Geografia" pubblicando i "I padroni del mondo" (Stati Uniti, 1994; Cina, 1994; Russia, 1995;)
i libri storici "1935 e dintorni" (1982) e "1943 e dintorni" (1983), "Noi c'eravamo 1939-45" (1990) su come la gente comune visse il perido della seconda guerra mondiale.
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