Nobuyoshi Araki verso i limiti del consentito

di Rebecca Vespa C’era una volta nel Giappone claustrofobico e ultrasofisticato un omino di rara curiosità e straordinario carisma. Un fuorilegge dell’obiettivo, un indagatore ossessivo spontaneamente germogliato nel 1940, tra le violenze e le depravazioni dei bassifondi di quella Tokyo caotica, recalcitrante, inafferrabile. C’era una volta la storia del suo sguardo, l’impertinenza delle sue pupille, di quel suo voyeurismo sospeso tra sacra onestà e profana morbosità. C’era una volta la storia di Nobuyoshi Araki, un tempo bestia rara della fotografia nipponica, snobbato e frainteso, accusato di volgarità e feticismo, oggi fotografo sdoganato dall’erotismo imperante di scarso valore artistico (figlio di internet e della odierna cattiva televisione) e quindi nell’ultimo decennio riconosciuto come interprete scandalosamente acuto dei desideri repressi e delle ossessioni collettive. Dopo aver ricevuto consensi in ogni parte del mondo, i suoi scatti sono giunti nuovamente a turbare il nostro paese. L’Istituto Nazionale della Grafica ha deciso di dedicare l’edizione 2007-2008 della rassegna “Vetrine alla Calcografia”, al celebre artista giapponese Nobuyoshi Araki. Fino al 17 febbraio 2008 a Roma (dopo la sede romana la mostra sarà presentata anche a Torino), nella suggestiva cornice di Palazzo Poli in Piazza Fontana di Trevi, sarà possibile godere dell’estetismo, a volte indecente altre raffinato, del celebre artista giapponese in “Araki Gold”. “Con la fotografia, si deve partire da un esame. Un esame è un confronto diretto, un testa a testa. Bisogna fotografare esseri umani. Gli esseri umani sono i volti che si vedono per strada, il vero soggetto. È una storia d’amore tra te e il soggetto, e quella è la realtà. Io la chiamo ”realtà privata“ o ”realtà morta“ (shi-shashin)”. Guardare attraverso il mirino, attirare il nemico, avanzare di un passo, e scattare. Araki ci fa calpestare questo campo di battaglia “occhio a occhio”, presentandoci la sua versatile ed eterogenea ricerca creativa. La mostra ci pone di fronte all’esempio più emblematico di fotografo-predatore, proponendo, oltre all’Araki internazionalmente conosciuto per il suo sofisticato estetismo erotico, un altro inedito, quasi spoglio di quelle morbose curiosità voyeristiche, e più teso verso una fotografia di più alte finalità documentaristiche. In Families, Araki c’immerge nel mondo della gente comune, del vivere quotidiano, ed è qui che l’artista dà respiro al suo più profondo spirito umano. Tokyo Diary racconta con uno scatto onnivoro, il frenetico vivere giornaliero con assistenti e collaboratori negli ultimi anni, dai set per le riviste, ai ritratti, alle serate passate nei bar karaoke con amici e ospiti. Le foto della serie Ginza delineano i contorni del Giappone degli anni sessanta. Nei volti fotografati scopriamo un Araki nuovo, dalla capacità documentaristica, che rivela, nella sua spontaneità e bellezza, il volto di un Giappone nel pieno boom economico, diviso tra il ricordo di un passato nucleare e l’intenzione di farsi riconoscere come nuova, grande potenza mondiale. In Nobles Series, quindici fotografie di nobili famiglie giapponesi che mostrano orgogliose le loro ascendenze, Araki va oltre il semplice ritratto, riscoprendo l’antico volto del Sol Levante, con i suoi miti e leggende che tanto hanno affascinato il mondo occidentale, e che oggi, per via di un’inarrestabile processo di globalizzazione, sembra scomparire. Un’altra serie di ritratti è quella di Famous People, dove, tra i tanti volti noti che hanno amato farsi seviziare dal curioso occhio della macchina da presa di Araki, spiccano registi come Takeshi Kitano e Jim Jarmush, e la cantante Bjork. A se stante la serie policromatica di Flowers, dove i fiori vengono ripresi nel momento di loro massima bellezza, in quel frammento di tempo che anticipa l’inevitabile deperimento. Ma l’arte fotografica di Nobuyoshi Araki, quella che l’ha reso celebre in tutto il mondo, nelle sue variazioni più spudorate e scandalose, non poteva non trovare spazio all’interno della rassegna. È nella serie Bondages che si racconta ciò che da sempre è stato perno essenziale della ricerca artistica di Araki: le donne. Un’ossessione fortunata che lo ha accompagnato sin dagli esordi. Donne accasciate, allungate, allargate. Di ogni età, forma, umore. In pose spudorate e senza compromessi. Sessi grandi, piccoli, neri, schivi o debordanti ma sempre autentici. La sua intera opera infatti è pervasa da un erotismo del tutto personale, a volte tenero e buffo, altre volte cinico, crudele, scioccante. Diversa è la poesia sensuale che trasuda dalle cinque storie di donne, Love Stories, dove l’amore dell’artista per la bellezza e la fragilità del corpo femminile, si fa in un certo qual modo più puro e intenso. Infine, l’Araki inarrestabile, come mostra il puzzle di 5000 Polaroid che fitte occupano lo spazio di tre pareti. Scatti di prova prima dello scatto definitivo. Si dice che non passi giorno senza che il buffo e trascinante artista crivelli di scatti fotografici qualche figura domestica, che si tratti di una casalinga, di una studentessa, di un’impiegata, spesso alla sua prima esperienza, rapita dalla realtà e catapultata anche solo per qualche ora in un oscuro e intenso universo in cui la sola gravità è quella dello sguardo. Fotografa in ambienti veri, spontanei nella loro poca illuminazione o nel caotico arredamento. Spicchi d’appartamenti sgualciti della vita, in cui si svelano le passioni recondite delle protagoniste per caso. Araki si spinge verso i limiti del consentito. Indagando le ombre dei corpi nudi, rovesciandone la pudicizia, violentandoli con l’intenzione, imbavagliando, legando, dominando, senza falsi pudori, senza alcun freno né timore di peccare. “Non lavoro quasi mai con attrici. Scelgo una donna che vedo attraverso il finestrino dell’auto mentre sono fermo ad un semaforo, o una che si siede in treno davanti a me. Spesso sono persone che incontro per caso e che mi suscitano un’emozione drammatica e misteriosa..Io non so nulla sulla natura delle donne. Sono tutte diverse, ognuna ha il suo fascino e per questo io le fotografo. Attraverso l’obiettivo cerco di estrarre il loro quotidiano, oppure la loro sessualità”. Il lavoro di Araki è nero. È figlio della notte, nella quale lui stesso crede di poter osservare meglio la vita, in ogni sua bizzarra variante. E così quando la notte scende sulla città, impastandola di tonalità oscure, languendo sugli incavi delle donne normali, improvvisamente disinibite e date in pasto all’inconscio, la magia si compie e gli istanti catturati finiscono nei confini di quelle fotografie che ci aiutano a riflettere sul concetto stesso di desiderio.