Lucchetti: vi racconto la vita senza donne

FULVIA CAPRARA
INVIATA A VIENNA
Un uomo che resta solo, con tre figli piccoli da allevare, il grande vuoto della compagna scomparsa e i problemi della vita di tutti i giorni. I problemi di un lavoratore di oggi, che non appartiene alla classe borghese, ma non può neanche essere definito proletario. Dopo il grande successo di Mio fratello è figlio unico (che ha inaugurato l’altra sera a Vienna l’ottava edizione della rassegna «Nuovo cinema Italia»), Daniele Luchetti sta scrivendo con Sandro Petraglia e Stefano Rulli il suo prossimo film: «La storia ruota intorno a una comunità quasi esclusivamente maschile, con un personaggio centrale che vive il lutto in una maniera vitale, scombinata, e uno sfondo per lo più lavorativo. La sua non è una famiglia povera, ma le questioni economiche da affrontare sono tante. Nella società italiana contemporanea non esiste una parola che definisca in modo preciso quella fascia sociale che prima si chiamava proletariato, ma che adesso non ha più quelle caratteristiche, gli inglesi direbbero "working class"».Il protagonista del film, ambientato a Roma, dovrebbe essere Elio Germano, il «fascicomunista» di Mio fratello è figlio unico: «Sì, mi piacerebbe che fosse lui». La produzione è Cattleya, magari di nuovo con il sostegno di una major come la Warner, il copione sarà pronto in autunno e le riprese inizieranno nella prossima primavera. In tempi di cinema molto dedito al matriarcato, Luchetti rovescia la prospettiva: «Il film parla della mancanza della figura femminile, in questo caso la donna brilla per assenza. L’immagine maschile rappresenta invece il soggetto debole che si trova a dover scegliere tra lo stereotipo dell’essere forte a tutti i costi e la voglia di cedere ai sentimenti». Il racconto, prosegue Luchetti, «avrà il tono della commedia, con situazioni che potranno anche diventare buffe, ma che, prima di ogni altra cosa, sono reali, perché è importante mantenere il contatto con la realtà. Quando ho girato il documentario sulle case popolari a Ostia, ho imparato che si possono raccontare certi contesti senza compassione, senza lamenti, in modo vivo, restituendo le perplessità e gli accenti comici delle persone che ci si ritrovano dentro».Non a caso Daniele Luchetti, 48 anni, regista nel ‘91 del Portaborse, è un autore che vive la professione in modo fattivo, dedicandosi non solo alla realizzazione dei suoi progetti, ma anche alle difficoltà della categoria. Sul fronte dei «Centoautori» è uno dei nomi più attivi: «Stiamo cercando di mettere in piedi un’associazione che riunisca i rappresentanti dell’audiovisivo, gli autori del cinema e quelli della televisione, abbattendo una barriera che sembrava invalicabile. In questo modo avremo più forza per fare le nostre richieste, è la prima volta che in Italia succede una cosa del genere, abbiamo intenzione di dare l’annuncio durante la prossima Mostra di Venezia».Se i «Centoautori» diventano mille è più facile che vengano ascoltati: «In America lo sciopero degli sceneggiatori ha bloccato l’industria hollywoodiana e adesso si parla di situazioni analoghe con la mobilitazione degli attori. Da noi finora questo era impensabile, ma se smettiamo di lavorare chiusi in compartimenti stagno, allora si può cambiare». Aria nuova anche nel settore degli aiuti ministeriali per girare film? «Non chiediamo un cinema più assistito - dice Luchetti -, ma un cinema più libero, dove sia possibile fare tanti film, di genere e di qualità. Se si fa di più si ha meno paura di sbagliare, e sbagliare serve. Negli anni Settanta in Italia si facevano quasi 400 film all’anno, adesso se ne fanno 60. Io ho 48 anni e ho girato otto film, Mario Moniceli, alla mia età, ne aveva già firmati una trentina». Le commissioni ministeriali che si occupano di finanziamenti devono essere «meno politiche e più competenti. Prima dell’estate avremo un incontro con il neo-ministro Bondi per affrontare questi temi».I premi al Festival di Cannes servono a tutti, non solo a chi se li è portati a casa, e comunque, sostiene Luchetti, qualcosa in Italia è cambiato: «I film sono meno ideologici di un tempo, si raccontano i fatti in modo diverso». Ma soprattutto, si è riaffermata quell’idea di comunità che si era persa e che aveva reso grande il cinema di Risi, Monicelli, Suso Cecchi D’Amico: «Abbiamo ricominciato a discutere di cinema, tra colleghi ci mandiamo mail con le sceneggiature per avere consigli, organizziamo proiezioni private dei film prima che sia finito il montaggio. Siamo convinti che in Italia le cose da raccontare siano tante e che il pubblico sia pronto ad ascoltare».