Viva la vida or death and all his friends - Coldplay

Vi risparmierò digressioni storiche e gossip sui Coldplay e per chi non li conoscesse, si può dire che uno dei pregi migliori di questa band, è sicuramente la capacità di risultare alternativi e orecchiabili allo stesso tempo, merito della splendida voce del cantante solista Chirs Martin, della grande sensibilità negli arrangiamenti e della passione e ispirazione che trapela in ogni brano. Il 15 giugno, a soli tre giorni dalla sua uscita in Inghilterra, terra di origine del gruppo, l’album “Viva la vida or death and all his friends” è già primo in classifica con oltre 302,000 copie vendute, un nuovo record per il mercato discografico. Intro strumentale un pò lunga quella di "Life in Techincolor", brano a cui è affidato l’onore e l’onere di aprire l'album, ma vabbè... abbiamo aspettato tanto per poterli ascoltare di nuovo, non saranno certo 2 minuti e mezzo di intro a scoraggiarci, anzi, questa scelta audace ci fa ben sperare.E infatti il primo pezzo cantato dell’album “Cemeteries of London”, non poteva iniziare meglio.Splendide le atmosfere ottenute anche grazie ad una magistrale scelta di suoni, che lasciano cadere improvvisa anche la prima dissonanza quasi a sottolineare la cura che verrà riposta in tutto il progetto, non solo negli arrangiamenti, ma anche nelle scelte armoniche e melodiche.Ci sembra quasi impossibile che il pezzo scorra così liscio, senza doverci prima o poi nauseare con il classico beat "quadrato" indie, eppure al termine della seconda traccia, nessuna delusione è ancora sopraggiunta anzi, cresce forte la sensazione di ritrovarsi ad ascoltare qualcosa di veramente pregevole, fresco, ispirato, ma con lo stile inconfondibile che da sempre identifica il gruppo e la voce di Chris Martin.Complice nella cura delle sonorità e degli arrangiamenti, è sicuramente anche la presenza dietro le quinte di Brian Eno, produttore dell’album insieme a Markus Dravs (già coinvolto in altri progetti con i Depech Mode, Arcade Fire, Björk e altri)La sezione ritmica strizza l’occhio in modo più marcato che negli altri pezzi, alla contaminazione “spagnoleggiante” che pervade tutto l’album, a partire proprio dal titolo “Viva la vida ...”, frutto del “making of” del cd, tra tournée e registrazioni in vari paesi dell’America Latina e in Spagna.Ancora una conclusione audace, che definirei “progressive”, per questo brano che termina con un inserto inaspettato di pianoforte su tutt’altra armonia.Certo il compito di incantarci come sempre, per i Coldplay è fin troppo facile; con la sua voce Chris Martin potrebbe anche cantare su una sinfonia di trapani e frullatori e risultare comunque piacevole.Non è proprio quello che succede nella terza traccia “Lost!” ma, premesso che tutto l’album è un degno successore dei precedenti, questo è sicuramente il brano che ci convince di meno.Per fortuna arriva subito “42” a fugare ogni fantasma, con quella dolcezza in penombra tipica di “Parachutes” (2000) che, per quanto sia il meno “alternativo” tra gli album del gruppo inglese, rimane tutt’oggi il nostro preferito. Piacevole svolta “progressive” anche in questo pezzo intorno al minuto e mezzo, con ritmi spezzati e chitarra distorta in riff con un sound molto personale.Più lineare invece la quinta traccia “Lovers in Japan/Reign of Love”, che sprizza sole e spensieratezza già dalle prime note (Ndr. o forse è solo che non ne possiamo più di tutta questa pioggia…). Il classico pezzo che farebbe da sottofondo ad una bella decappottabile ripresa dall’alto, mentre sfreccia al tramonto su una serie di curve da panico, con la montagna a costeggiare la carreggiata da un lato e il mare dall’altro. Come si desume dal titolo però, il brano riserva una sorpresa e infatti a circa quattro minuti, inizia un secondo brano completamente diverso “Reign of love” appunto, molto melodico, con arpeggi veloci di piano e voce solista in assoluto rilievo.Nella sesta traccia, Chris abbandona decisamente il suo peculiare falsetto per una esplorazione provocante nei registri bassi delle sue corde vocali. Niente da ridire anche in questo caso, neanche per i riff “arabeggianti” di violino e per i controcanti alla Grant Lee Buffalo.Il pezzo sembra chiudersi con un solo di Jon Buckland e il suono di chitarra che ha contribuito fortemente, dopo la voce solista, a caratterizzare questa band.Anche in questo caso però, cè un finale a sorpresa, con una seconda traccia completamente slegata dalla prima, che allunga il pezzo di altri due minuti e mezzo.Curiosa la scelta del gruppo di realizzare queste tracce con doppi brani, piuttosto che dividerli direttamente in tracce separate, quasi si fosse voluto rispettare il limite di 10 canzoni, come numero simbolico di qualcosa. Questo non stupirebbe visto che l’album è farcito di citazioni culturali, a partire dalla copertina dell’album, fino al titolo “Viva la vida”, ispirato ad un dipinto di Frida Kahlo.I Coldplay ce la mettono tutta per non risultare scontati e non hanno paura di cambiare gli accenti dal battere al levare simulando un tempo dispari in ottavi o modificare l'arrangiamento ogni quattro battute, sparando come fuochi d'artificio bellissimi quanto brevi, alcune finezze armoniche o suoni sorprendenti, vuoti e pieni incastrati magistralmente, come nella traccia che da il nome all'album "Viva la vida".Una delle peculiarità degli arrangiamenti dei Coldplay è sicuramente l’utilizzo”indiscriminato” di riverbero, che viene applicato abbondantemente ad ogni canale del mix; arrivano così come un rilassante balsamo i secchi violini di “Viva la vida” intorno al minuto e cinquanta, per farci apprezzare ogni tanto un suono più pulito e meno “lavorato.”Pregevole anche l’ottava traccia, “Violet Hill”, con un inizio duro e tirato, con atmosfere quasi rock ’70, che sfuma infine in un dolcissimo quanto breve duetto piano/voce, stile Coldplay dei tempi andati.Bellissima anche la nona dell’album, “Strawberry swings”, che si apre con incastri di chitarra elettrica che giocano fare le cornamuse e Chris Martin che finalmente si lascia libero di sfoggiare il falsetto che l’ha reso famoso. Probabilmente uno dei pezzi più belli dell’album, a metà tra la giga, il brit pop e l’indie.“Death and all his friends”, in pochi minuti racchiude tutta la vena “epica”della band, affidando la vera chiusura dell’album alla ghost track di 2.40 minuti “The Escapist”, che riprende l’intro iniziale di “Life in technicolor”, quasi un allusione al ciclo infinito vita-morte-vita e chissà, forse, “The Escapist” è ogni essere vivente che, nonostante le apparenze, “sfugge” alla morte per rinascere ad una nuova vita e ad una nuova speranza.In conclusione, un plauso ad una band che non finisce mai di stupire e di reinventarsi, ma lo fa gradualmente, dandoci modo di seguirli in questo viaggio di emozioni che procede di pari passo con la nostra quotidianità.Per i fan gli appuntamenti sono già stati fissati: il 29 a Bologna, al Palamalaguti o il 30 a Milano, al Datchforum. ATTENZIONE: Se metterete questo CD nello stereo, vi risulterà molto difficile riuscire a toglierlo…siete stati avvisati! (ndr. io non ci sono ancora riuscito).
Massimiliano Mattei - Fonte: Terni in rete