I Rem e il tour di «Accelerate»: quando il rock suona austero

Elettrico fino a diventare tagliente, veloce quasi a ricordare la fine dell'era punk, solenne come fosse un rito sciamanico ma soprattutto austero, oltre ogni ragionevole aspettativa, negli arrangiamenti, nella scenografia, nei costumi e persino nelle soluzioni tecniche. Questa è la declinazione del rock che propongono dal vivo i Rem versione 2008, quelli dell'album «Accelerate» perfettamente coerenti con gli esordi di «Murmur», ormai risalenti a 25 anni fa, ma già più lontani dalla ricerca melodica inaugurata con «Green» e portata a compimento con «Automatic for the people».Il concerto di Napoli, terza data delle cinque che compongono il loro mini-tour italiano, è un congegno essenziale che intriga e funziona alla perfezione come fosse la riedizione di un'auto che ha fatto epoca: a guidarla ci si diverte e anche tanto, ma la versione originale è tutta un'altra cosa. L'esibizione partenopea si apre con una velocissima «Living well is the best revenge», brano apripista della loro ultima fatica discografica ottimo per strizzare l'occhio ai fan più giovani. Michael Stipe è il solito animale da palcoscenico che, in giacca stretta, cravatta e senza l'abituale ombretto sugli occhi, si dimena sottolineando ogni sillaba del refrain ed ammiccando ad un Mike Mills versione alternative country (cappello texano e camicia decorata con pallet degna di Gram Parsons). Peter Buck, fedele alla vecchia Rickenbacker, scandisce con precisione i riff su cui si articola il brano sostenuto da Scott McCaughey all'altra chitarra e Bill Rieflin alla batteria, i turnisti di sempre. «Begin the begin», tradizionale apertura di ogni loro live act dal 1986 in poi, stavolta è il secondo brano in scaletta ad un passo dalle atmosfere post grunge di «What's the frequency, Kenneth?», provenienti dall'album «Monster». Ma è di nuovo dalle parti di «Accelerate» che la band di Athens Georgia intende portare i fan accorsi negli spazi della Mostra d'Oltremare, grazie agli schizofrenici cambi ritmici e melodici di «Man-sized wreath» e «Hollow man», quest'ultima definita da Stipe «una delle mie preferite tra le nuove canzoni». Bella la parentesi unplugged di «Houston», con Buck che dà il meglio di sé percorrendo il manico di una Gibson acustica con una progressione di accordi aperti. Gli amanti delle dissonanti meditazioni intraprese dal gruppo a metà degli anni Novanta hanno di che divertirsi con «Electrolite», suggestiva ballata che fu terzo singolo del bello e sottovalutato «New adventures in hi-fi». Qui Mills lascia il basso a McCaughey per dedicarsi all'organo, sua vecchia passione, seguendo lo stesso protocollo della commovente «Find the river», brano di chiusura del monumentale «Automatic for the peaple», probabilmente l'apice della loro parabola creativa. Proprio questo disco, così diverso dagli esordi e dalla loro ultima produzione, è per ironia della sorte molto ben rappresentato in scaletta grazie alla spigolosa «Ignoreland», alla sospesa «Drive» e a «Man on the moon», momento clou del bis.La ricerca dell'austerità non passa soltanto per le scelte musicali, ma anche per le soluzioni tecniche. Mentre il gotha del rock mondiale si impegna a stupire, colpisce la veste essenziale dello spettacolo dei Rem: i cinque musicisti presenti sul palco si alternano su otto soli strumenti, rinunciando ad affollare la scena (prassi di molti illustri colleghi) con una selva di chitarre che da sola farebbe spettacolo. Alle spalle del combo statunitense c'è poi un unico megaschermo a cristalli liquidi che riproduce, facendole a pezzi, colorandole e distorcendole, sequenze dell'esibizione. Verso il finale lo show accelera ulteriormente, quando abbandona i toni da denuncia di «Welcome to the occupation» e comincia ad alternare nuove proproste («I'm gonna dj») a classici del loro repertorio anni Ottanta («The one I love» e «Orange crush») per poi mettere l'accento sulle più orecchiabili «Bad day» e «Imitation of life», subito riconosciute anche dai fan meno scafati. Promosso al rango di primo bis è «Supernatural superserious», singolo di lancio della loro ultima fatica discografica cui tocca lasciare il campo a «Losing my religion», il pezzo della loro consacrazione internazionale. La successiva «Pretty persuasion», anno di grazia 1984, è tratta dal loro secondo Lp «Reckonning» ma starebbe benissimo anche nella tracklist di «Accelerate». Ennesimo segno del fatto che i Rem hanno riportato il loro rock a casa, ai tempi in cui l'austerità era dettata più dalle limitate disponibilità economiche che da precise scelte estetiche. Oggi sono multimilionari, eppure si sforzano di suonare alla stessa velocità. «Accelerati» come quando intrattenevano il pubblico dei college americani.
Francesco Prisco