Nella tana dei Coldplay

di James McMahon
VIVA LA VIDA è l'album dei record. Numero uno in 58 paesi. Per spiegare tanto successo XL ha fissato un doppio appuntamento con i Coldplay di Chris Martin: l'intervista di copertina del nuovo numero in edicola e una chicchierata in esclusiva per il sito.
In un punto della zona nord di Londra – dove finisce Camden e inizia Primrose Hill, all’imbocco di un vicolo anonimo, di fronte alle case popolari, c’è un vecchio panificio. Da anni è in disuso, o almeno non fa più pane. A vederlo, mai immagineresti che è stato l’incubatrice di uno dei ritorni sulle scene più illustri dell’anno. Ma per i nuovi inquilini, il cantante Chris Martin, il chitarrista Jonny Buckland (li intervisteremo oggi), il bassista Guy Berryman e il batterista Will Champion (loro invece hanno altri impegni), The Bakery è proprio questo: un rifugio, un posto per creare e riflettere prima che la band londinese si rimetta in moto. «Ci passavo davanti tutti i giorni e pensavo: “Che brutto posto ”», racconta Martin. «Poi un giorno è apparso un cartello “Affittasi”. Allora mi son detto che in un posto così brutto nessuno ci avrebbe dato fastidio…». Anche a Buckland piace molto la nuova base del gruppo: «Per la prima volta abbiamo una sede vera e propria da quando provavamo nella mia stanza da studente nel 1999…», dice entusiasta. «È tutta un’altra cosa». «Ehi!», esclama all’improvviso Chris Martin, con i polsi grondanti di braccialetti di plastica colorati. «Vieni, ti faccio vedere tutto». Beh, sarebbe maleducato rifiutare…Al primo piano c’è lo studio di registrazione, la live room principale ospita tutta l’attrezzatura della band. Al centro della stanza c’è un tabla microfonato attorno a cui si affannano i tecnici della Bakery: «Stanno preparando la tournée», dice Martin in tono cospiratorio. Sulla parete più lunga dello studio spicca un murale che rappresenta la terra vista dallo spazio, icona ambientalista hippy. Le altre pareti sono rosse con slogan e scarabocchi in nero. Su una c’è scritto “Viva La Vida”, sull’altra troneggiano le caricature della band e del suo entourage. «Le ho fatte io», dice Martin tutto fiero, trascinandoci a vedere altre cose della sua nuova proprietà. Come in qualsiasi studio di registrazione, dietro il vetro c’è la sala controllo. Qui però a differenza di tutti gli altri studi, ogni centimetro di parete è coperto da ritagli di riviste con le foto di una serie di icone della cultura pop. C’è PJ Harvey e ci sono gli Stones. «E gli A-Ha», ridacchia Martin. «Ci piacciono gli A-Ha». Poi, superate le piante in vaso e le toilette, molte più di quante possano mai servire alle quattro vesciche dei Coldplay (Chris: «Ce ne sono cinque, è ridicolo!»), in cima alle scale è appeso il famoso ritratto di Astrid Kirchherr dei Beatles quando erano cinque; cinque ragazzi vestiti di pelle ad Amburgo.Le scale portano a una stanza sopra lo studio, una specie di ufficio. Gli scaffali sono pieni di libri, i più eterogenei, dalla raccolta completa dei racconti di Sherlock Holmes alla storia della moderna guerra navale. Noi tre parliamo dei nostri dischi preferiti del momento, e vengo a sapere che Chris vuole andare a vedere i Gallows ma è “terrorizzato”, dice che “finalmente” si è avvicinato a Amy Winehouse e ai primi REM, e consiglia gli Yeasayer. Racconta che sua moglie, l’attrice americana Gwyneth Paltrow, fatica a capire la velocità con cui si evolve la scena musicale britannica. Sia Martin che Buckland esprimono «totale ammirazione» per i Muse, la band che li ha portati in giro nel loro primo tour. Buckland racconta che ha incontrato per caso Dom (batterista dei Muse) qualche giorno prima «da Marks & Spencer’s con sua mamma». Poi si passa a parlare del festival di Glastonbury: Chris è contento che i Coldplay non si esibiscano quest’anno. «Per la cronaca, secondo me è ottimo che l’attrazione sia Jay-Z», dice sorridendo. “Serve un po’ d’aria nuova». Poi Jonny Buckland sprofonda in una poltrona sacco. Chris Martin sceglie invece il pavimento.Sono stato invitato alla Bakery oggi per parlare del quarto album dei Coldplay, Viva La Vida Or Death And All His Friends. Ci era stato promesso un incontro di venti minuti durante i quali Martin e Buckland ci avrebbero accompagnato in un viaggio nel disco, brano dopo brano. Su insistenza di Chris Martin abbiamo ottenuto due ore in più. Come è noto la EMI, la casa discografica dei Coldplay sta attraversando un periodo difficile e, sotto il profilo commerciale, ci si aspetta moltissimo dal nuovo lavoro della band. La EMI ha fatto di tutto per evitare che i brani dell’album trapelassero prima dell’uscita ufficiale. Noi di NME siamo andati nella sede della casa discografica prima della sua pubblicazione, e hanno tirato fuori il disco da una cassaforte, facendocelo ascoltare in maniera riservata a patto che il contenuto non venga reso pubblico. Chris Martin, però, non è d'accordo con questo tipo di procedura: “Non si può sentire un disco una volta sola… in un ufficio”, sospira. “Cioè, la prima volta che ho ascoltato OK Computer’ ho pensato che era spazzatura”. Ma anche se i Coldplay non vivono l’atmosfera di attesa che si respira in casa discografica (“Non pensiamo a quel genere di cose”) questo disco solleva una marea di interrogativi quanto al peso della band nell’attuale panorama pop. Tanto per cominciare era dal 2005 che non usciva un loro disco e il paesaggio musicale in cui è arrivato Viva La Vida… è pressoché irriconoscibile rispetto a quello in cui regnavano supremi l'ultima volta. Secondo, sull’uscita del disco hanno gravato pesanti ritardi. Dice Martin: "Abbiamo trascorso tantissimo tempo in studio, e poi alla fine abbiamo registrato tutto in 20 minuti”, ma questo non spiega ancora il perché nel marzo 2007 dichiarò a GQ che i Coldplay avrebbero lavorato con Timbaland, una collaborazione che non si è mai realizzata. Né perché lo scorso ottobre la band ha annunciato sul sito web di aver terminato due nuovi brani, Famous Old Painters e Glass Of Water, che non sono inclusi nella versione finale dell’album (anche se, cosa curiosa, entrambi compaiono su una lavagna nello studio della Bakery sotto le parole ‘Flotsam & Jetsam’. “Sono solo delle idée che abbiamo …” dice Buckland, rifiutandosi educatamente di approfondire). Terzo fatto, hanno stabilito che, ad uno sguardo retrospettivo, il loro ultimo lavoro ‘X&Y’ non è poi tanto di loro gusto. Il che forse mette il punto interrogativo finale sul ritorno della band: chi e cosa sono esattamente i Coldplay nel 2008? “Per onestà va detto che quell’album (X&Y era … problematico”, dice Buckland. Ribatto che secondo noi contiene alcuni dei migliori brani della band, ma forse è un po’ ‘moscio’. Buckland ride. “Vuoi dire le ultime canzoni? Sì, la pensiamo così anche noi adesso”. “Ho la sensazione di dover dimostrare tutto a tutti questa volta”, dichiara Martin. “E’ un momento interessante questo per i gruppi musicali. Nessuno vende dischi, tutti sono cupi e pessimisti … in un certo senso per noi è liberatorio”. Martin mi offre una manciata di noccioline e semi, con la bocca piena. Rifiuto educatamente e aggiungo che non sono esattamente la mia passione. “Neanche la mia. Ma sai cosa mi ha detto Mani ?” Si dà un buffetto sulla pancia e ne prende un’altra manciata . “Ha detto: ‘Una pop star grassa non piace a nessuno, Chris.’” Ride. “Sto per andare in tour, sai com’è”. Uno psicologo definirebbe Chris Martin come una ‘personalità sfaccettata” , che oscilla tra la sicurezza di sé e la vulnerabilità come un neopatentato sulla strada. Però è gentile (insiste per prenotarci un taxi) e spesso incanta (mi informa che ho un bel naso”). Ma ci sono momenti in cui tende ad essere irascibile, pronto a cambiare discorso (passiamo parte dell’intervista a meditare su come la marina uccide le balene) e, di tanto in tanto, dice insopportabili stupidaggini.“Ogni brano è un tentativo da parte nostra di creare un colore diverso”, spiega . “Non importa se l’album è bello o brutto. L’importante è che sia variopinto. La canzoni devono essere sapori mai provati”. Gli diciamo che parla come un hippy. Sorride, prendendolo per un complimento, quando non lo è affatto. Però l’aspetto più importante della personalità di Chris Martin resta la sua fiducia incrollabile. Sapete cosa vuol dire avere il cuore in mano? Beh il cuore di Martin tende a sfuggirgli di mano e a cadere sul pavimento. “Nel disco c’è una strofa che dice “ ‘Just because I’m losing/Doesn’t mean I’m lost’,(solo perché perdo non vuol dire che io mi sia perso)”. “Significa che qualunque siano gli ostacoli che si frappongono, bisogna solo andare avanti. E’ il mio motto. E’ piuttosto lungo e non è in latino, ma è comunque un bel motto”. Sarà anche il motto del cantante, ma certo è il modus operandi della band. Disorientati da X&Y’, un album in cui non credono più ma che ha venduto moltissimo (e molto velocemente: è al terzo posto nella storia delle classifiche UK), i Coldplay erano in crisi esistenziale. Con ‘Viva La Vida…’ hanno deciso di credere in se stessi. “Abbiamo pensato che era impossibile crescere ancora, quindi bisognava migliorare”, rivela Martin. “In realtà siamo un po’ preoccupati perché questa volta non abbiamo inserito nell’album dei brani di successo su cui contare. Ce n’erano alcuni, ma li abbiamo tolti. Abbiamo deciso che era ora di puntare sulle potenzialità della band”. In questo sono stati aiutati dai producer che hanno scelto. Fin dall’inizio sono stati affiancati nella Bakery dal maestro dei Roxy Music Brian Eno e da Markus Dravs. “E’ stata un’idea di Brian collaborare con noi”, spiega Martin. “Lo vedevo spesso per una tazza di tè. Poi è arrivato Markus tramite Win degli Arcade Fire, dopo aver lavorato su ‘Neon Bible’. Win ce lo ha consigliato: “Vi rimetterà in pista”. “Ci ha messo sotto “, concorda Buckland. “Markus ci ha costretto a cambiare completamtne modo di lavorare facendoci capire dove ci avrebbe portato”. In sintonia con l’allegoria di ‘colori e sapori’ cui accennava prima Martin, ‘Viva La Vida…’ è senza dubbio ad oggi la proposta più eterogenea dei Coldplay: ‘Life In Technicolor’ è uno strumentale brioso prima che i Coldplay si calino nel territorio più cupo su cui mai le loro anime eternamente ottimiste abbiano messo piede, la vibrante ‘Cemeteries Of London’. E’ un brano gotico alla maniera dei vecchi fumetti di Batman, da pelle d’oca come le canzoni strappalacrime di Cat Power. Martin la descrive debitamente come un tentativo di “marcia spettrale’, – un salto dalla luce al buio nello spazio di due brani. “Se ascolti, ci sono dentro un mucchio di cose. Ci sono sesso, morte amore, paura e viaggio, donne e malattia. Tutto lì dentro…”. L’album ruota attorno a un brano che include tutti questi temi ma li spalma su tre parti. Parliamo di 42. L’introduzione è affidata al pianoforte, che ricorda le sonorità di ‘Trouble’, poi viene il ritornello (“there must be something more” grida Martin dal principio alla fine ). E poi? Poi si passa a qualcosa di indicibilmente strano, non sorprende sentirsi dire che a ispirare questa parte sono stati quei pazzi dell’industrial metal tedesco, i Rammstein. Il brano è anche un omaggio all’opera più esoterica dei Radiohead. “Se vogliamo parlare di plagi”, dice un po’ ironico Martin, “Sono certo che la parte centrale è ispirata a loro. Deriva sicuramente dal rock progressivo, senza voler ripetere un ritornello come Bohemian Rhapsody e Happiness Is A Warm Gun o qualcosa del genere”. Un’altra chicca è la baldanzosa e travolgente Viva La Vida…, che vede Martin abbandonare il suo solito falsetto per diventare una sorta di Bono frontman dei Soundgarden con pugnalate alla John Cale. O ‘Violet Hill’ che scimmiotta gli Oasis (“E’ davvero una canzone arrabbiata , della serie diciamo le cose come stanno”) . Oppure ‘Yes’, che ricorda quelle canzoni di protesta prettamente inglesi che scriveva Billy Bragg, solo rivisitata in base al bilancio di una rock band multimiliardaria. Poi c’è ‘Lost’ che, a seconda del livello di cinismo con cui lo si guarda è un brano adatto a fare da colonna sonora a tutti gli appelli TV che mostrano bambini africani con gli occhi pieni di mosche oppure, e attenti a distinguere la verità dall’esagerazione, è davvero il momento più ottimista, gioioso, spirituale che i Coldplay hanno inciso finora.. E’ un trucchetto che usano in tutto l’album, dalla slide guitar vibrata di Strawberry Swing a Death And All His Friends, più ninna nanna che brano pop: prendono i solenni tormentoni della loro produzione passata e gli cambiarono i cromosomi – ‘X&Y… &Z’ forse, per fare canzoni con curve e crepe in cui avventurarsi invece di indulgere nella retorica . “Abbiamo cercato di non comporre molti inni stavolta”, dice Buckland. “il rischio e che se li metti uno in fila all’altro il primo perde efficacia”. “Dopo X&Y abbiamo esaurito la vena melodica,” concorda Martin. “Abbiamo cercato di cambiare un po’ stavolta ”. Anche la presentazione è ragionata . Andate alla traccia cinque (Lovers In Japan’/‘Reign Of Love) e sei (il summenzionato Yes’/‘Chinese Sleep Chant) e vedrete che contengono due brani ciascuna. “Così scaricarli da I tunes costa meno”, spiega Martin. “due brani al prezzo di uno. Paghi uno prendi due , viene dal lavoro al discount Kwik Save credo. Come ho detto prima nessuno compra più album , e di certo non un album intero e noi abbiamo fatto un album che devi avere dall’inizio alla fine. Non vorrei sembrare presuntuoso, ma il disco deve funzionare come un film, bisogna ascoltarlo dall’inizio alla fine”. Davvero lavoravi da Kwik Save, Chris? sorride. “Sì, esatto. Ma dopo un po’ mi hanno detto: ‘Senti Chris, lo so che X&Y non era granché ma davvero non devi per forza continuare a venire a lavorare qui…” Martin e Buckland si mettono a ridere a crepapelle. In un posto da qualche parte nella zona nord di Londra c’è un panificio. E’ in disuso da anni. Ma ora che i Coldplay lottano per reinventarsi, là dentro qualcosa bolle in pentola.
© NME/ IPC+ Syndication e REPUBBLICA XL
Traduzione di Emilia Benghi