Cohen, nessun pentimento

«Quando mi dicono: pentiti/ Mi domando cosa vogliano dire». Comprensibile lo stupore di Leonard Cohen mentre canta «The future»: di cosa mai dovrebbe rammaricarsi questo artista canadese arrivato a superare i 70 anni e capace ancora di eseguire in maniera eccellente il suo repertorio dal vivo? Di questa vitalità e della modernità delle sue composizioni, è testimone il dvd e doppio cd «Live in London». Le registrazioni sono tratte dal concerto che Cohen ha tenuto con la sua band alla 02 Arena di Londra, lo scorso 17 luglio. Per il cantautore e romanziere canadese si è trattato di un ritorno, visto che mancava dal palcoscenico da almeno 15 anni. «Siamo onorati di suonare per voi stanotte», confessa Cohen al pubblico londinese, prima di ammettere che sono passati diversi anni dall'ultima volta che si è esibito dal vivo nella capitale inglese. «Era il 1994 - scherza lui - ed ero solo un ragazzino di 60 anni con un sogno folle». Il ritorno del grande Leonard all'attività concertistica è stato accolto lo scorso anno con entusiasmo: le cifre parlano di 700.000 biglietti venduti per gli 84 concerti del tour.«Live in London» funziona anche come greatest hits, visto che ripercorre tutta la carriera di un artista non solo benedetto dal dono di una voce cupa, profonda e calda ma anche acuto autore di liriche entrate nella storia della musica leggera. Tra amore sacro e amore profano, tra le delizie della carne («I'm your man», «Ain't no cure for love») e la passione per le Scritture («Hallelujah», «Whither thou goest»), Cohen soprattutto in concerto, accompagnato da un coro femminile, mette in scena la dicotomia - ascesi e godimento - presente nella sua scrittura, forse l'elemento che dà modernità alla sua arte.Ogni nuova generazione, dagli anni '60 in poi, riscopre il proprio Cohen ma il cantautore/ performer che forse meglio ne ha capito le spinte opposte e le contraddizioni lancinanti è stato Jeff Buckley. Così possiamo dire che, se oggi il grande saggio Leonard è ascoltato anche dai ventenni, lo si deve alla versione celestiale di «Hallelujah» che ne diede Jeff nel suo primo e ultimo album realizzato in vita, «Grace». Questo brano, cantato dal suo autore nel secondo cd di «Live in London», rimane un capolavoro senza tempo, tanto che è rientrato in vetta alle classifiche inglesi nel marzo del 2008, riscoperto dal reality «American idol», e poi ripreso nella colonna sonora della serie americana per teenager «One tree hill». Lo scorso Natale c'erano 3 versioni del brano nella top 40 inglese: quella della vincitrice di «X Factor» versione britannica, quella di Buckley e poi quella di Cohen stesso. Che il suo fascino, anche vocale, sia rimasto immutato lo dice anche il calendario dei prossimi concerti: il 17 aprile sarà in California, al Coachella Music Festival, la rassegna più «cool» del mondo.
G.BR.
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