La serata conclusiva del NapoliFilmFestival regala al pubblico l’incontro con un attore e regista ormai di casa nella nostra regione. Matt Dillon, da pochi giorni cittadino onorario di Forio d’Ischia, racconta la sua esperienza nel cinema americano, intervistato da Antonio Monda. Un excursus che parte dai primi successi con Francis Ford Coppola fino alla nomination agli Oscar, passando per il suo esordio nella regia con “City of Ghosts”.
FRA DRAMMA E COMMEDIA – Dillon ha sempre alternato ruoli diversissimi fra loro: dal poliziotto razzista di “Crash – contatto fisico” allo spasimante di Cameron Diaz in “Tutti pazzi per Mary”. Come è possibile conciliare queste opposte tendenze? “Non è certo facile, ma nemmeno così proibitivo come si crede. Tutto sta anche nel tipo di rapporto che si crea fra gli attori e gli autori. Se questo rapporto funziona anche il più sentito degli attori drammatici potrà diventare un ottimo attore di commedie”. Di certo c’è che la fama di cattivo Matt Dillon l’ha sempre avuta, a causa anche di un carattere non certo semplice da gestire. Senza dimenticare che Coppola lo lanciò in due ruoli estremi quando ancora era poco più che ventenne, sia ne “I ragazzi della 56a strada” che nel successivo “Rusty il selvaggio.” “Francis era un perfezionista precisa Dillon – A volte giravo innumerevoli volte una sola scena, fino a che non rendeva come lui aveva in mente. Dopo tanto stress è normale – dice sorridendo – che alla fine si diventi cattivi”.
UN AMERICANO IN EUROPA – Stimolato da Monda, Dillon parla anche del suo rapporto col cinema europeo, di cui non ha mai fatto mistero del suo apprezzamento, a partire dai nostri Antonioni e Fellini. “Il cinema europeo è molto diverso da quello americano. In un certo senso si assume molti più rischi, ha un alone di mistero molto più forte. A differenza del cinema americano pone domande, non fornisce risposte. In questo senso è molto più stimolante. Certo poi – prosegue – Ci sono registi americani di impostazione molto europea. Penso soprattutto a David Lynch”. Questo porre domande è ciò che ti sei proposto di fare anche in “City of Ghosts”? “Il mio è un film su un inferno, quello della Cambogia. Ho fotografato una realtà troppo a lungo nascosta da tutti, governi e mezzi di comunicazione. Il mio voler porre domande è quindi strettamente connesso alla capacità di riflettere su certe situazioni aberranti ma molte volte nascoste agli occhi dei più”.
…E IL DIBATTITO? – Un incontro molto stimolante, quello con Dillon. Forse quello di maggior interesse visto in questa undicesima edizione del NapoliFilmFestival, dopo quello con Rosi. E proprio per questo si sente forte una mancanza evidente: il dibattito col pubblico, sempre presente nelle passate edizioni. Un vero peccato, considerato il tenore della discussione, pieno di interessanti spunti per cinefili incalliti o semplici curiosi. Una freddezza che ha di molto accentuato la distanza fra il divo sul piedistallo e il pubblico seduto sulle poltrone. Data anche la definizione data di “Incontri ravvicinati”, speriamo che il prossimo anno si torni all’ottima abitudine del dibattito che, fino a questa edizione, aveva ravvivato serate un po’ spente.
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