La resistenza rock dei Muse sta per arrivare. Uno sguardo sull’importanza e l’originalità della band di Matthew Bellamy.

Il quinto album in studio del gruppo inglese e' in uscita a Settembre, intanto collochiamo di diritto il power-trio fra i grandi della storia. Esageriamo? Ecco le nostre ragioni. C’e' chi dice che ai giorni nostri essere originali, specialmente nel rock, sia un’eresia, un’impresa impossibile. E non e' poi così difficile crederlo, è stato fatto praticamente di tutto e sono state esplorate miriadi di forme d’espressione diverse, portando la sperimentazione a livelli estremi. Quanti rimpianti, per chi come me è nato due generazioni dopo, per non aver assistito in prima persona agli sconvolgimenti epocali nel mondo della musica. Cosa deve aver provato un ragazzo nel 1967 ascoltando per la prima volta Jimi Hendrix? Quali reazioni sbalordite dopo aver fatto girare nel piatto The dark side of the moon? Cosa voleva dire, dal punto di vista socio-musicale, aderire ad un movimento rivoluzionario come quello del punk? Tutte queste premesse sono necessarie per capire l’attesa attorno a The Resistance, il nuovo lavoro dei Muse. Perché la band inglese, pur essendo tutto sommato giovane (il disco d’esordio, “Showbiz”, è datato 1999), è riuscita a creare un mondo musicale davvero originale e personale, introducendo dinamiche e suoni mai sperimentati prima. In primis a livello compositivo, dove il talento del leader Matthew Bellamy ha saputo unire melodie ed influenze provenienti dalla musica classica (di cui è grande estimatore), con energia e potenza propria dell’hard rock, in alcuni casi sconfinando come furore e cattiveria nel metal. Ascoltate canzoni come “New born” o “Sing for Absolution”, spogliatele degli arrangiamenti e vi renderete conto che a livello di scrittura l’influenza più grande è quella di Johann Sebastian Bach. A grande contrasto con la classicità delle composizioni prestate attenzione al rivestimento sonoro… Il basso di Chris Wolstenholme è sempre alla costante ricerca di suoni futuristici, facendo un massiccio uso di distorsioni ed effettistica, e viaggiando in simbiosi con la furente batteria di Dominic Howard. Mentre proprio la chitarra di Bellamy è riuscita nell’impresa di dare nuova linfa e vitalità ad uno strumento a cui è stato fatto fare praticamente di tutto. Fraseggi originalissimi, ritmiche possenti e soprattutto suoni fantascientifici, a volte strazianti, altre sintetici e acidi, hanno fatto sì che questo strumento, ai limiti della depersonalizzazione, risultasse nuovo e mai sentito, andando a sconfinare nel territorio dell’elettronica ponendosi spesso nel ruolo proprio dei sintetizzatori. E’ anche per questo che i rockettari d’ultima generazione fremono aspettando “The resistance”, che segnerà ancora di più l’avvicinamento della band alla musica classica, tanto che il disco si concluderà con una sinfonia in tre atti dal titolo Exogenesis. Il mondo della musica è quindi pronto ad abbracciare l’ultimo capitolo dell’evoluzione musicale dell’unico gruppo rock capace di piazzarsi a metà strada fra Mozart ed i Prodigy! http://www.musicalnews.com/articolo.php?codice=16626&sz=6