Lui, lui e la molestata Il buffo caso Persecution

Quando mi chiedono chi è il miglior critico del mondo, io rispondo invariabilmente: il passaparola. A differenza di molti recensori, il passaparola non è mai né stupido né corrotto. L’impiegato di banca, lo studente, la casalinga, che al bar o al ristorante tessono con amici e colleghi l’elogio di un film, non propagandano mai una scamorza, e mai e poi mai lo farebbero perché qualcuno li ha pagati. Il grande critico però ha un fratello disonesto e malignetto. Una specie di passaparola numero due che nei film scopre allusioni (più o meno fondate) a questo o quel personaggio famoso. La vittima preferita del malignetto è da vari anni Silvio Berlusconi. Basta che un regista butti in scena un personaggio piccolotto, stempiato, con atteggiamenti da “ghe pensi mi”, e subito un attonito regista è costretto a difendersi, a negare, a giurare che lui a Berlusconi proprio non ci pensava. Il malignetto impazzerà nei prossimi giorni al Festival di Venezia, ma il bersaglio per una volta non sarà il Cavaliere, o non sarà solo lui. Il target finalmente riguarderà qualcuno dall’altra parte della barricata. Fate un po’ voi. Dopodomani (sabato) al Festival presentano “Persecution” di Patrice Chereau. Possibile vincitore di due premi: il Leone d’Oro (perché no?) e la targa per il Queer festival, ovvero la rassegna collaterale dedicata ai film di interesse “gay”. Presidente della giuria è Tinto Brass, ma cosa deve fare uno al giorno d’oggi per farsi sdoganare? Chereau è un grande regista di teatro (ha diretto anche per il Piccolo di Milano) e un metteur en scene di cinema certamente interessante. Il tema dell’omosessualità non gli è certo nuovo. Anzi, diciamo che è tra i suoi tormentoni. Il suo esordio a Cannes avvenne con “L’uomo ferito”, che un perfido critico reintitolò “Latrin story” perché il protagonista, il povero Mezzogiorno, si guadagnava da vivere come prostituto gay nei gabinetti delle stazioni ferroviarie. Con “Persecution”, Chereau aggiunge un ulteriore capitolo alla serie dei “latrin”. Il film riprende, aggiornato, l’eterno motivo del triangolo amoroso. Aggiornato perché non racconta più di lui, lei e l’altro. Ma di lui, lui e l’altra, cioè la donna che ci fa mica male la parte dell’intrusa nel menage dei maschietti. “Persecution” racconta, come dice il titolo, di una persecuzione, diciamo pure di molestie. Parte come una storia di coppia etero. Coppia magari non felicissima (lui, il divo emergente Romain Duris, è evidentemente ambidestro) ma con l’intenzione di riconciliarsi. Finché non arriva un misterioso individuo che si mette a molestare sia lei (Charlotte Gainsbourg) che lui. Le molestie hanno il loro effetto. E il già precario equilibrio della coppia etero si rompe. Che cosa vi ricorda? Non è la prima volta che il cinema accosta un canovaccio del genere. Il teatro c’era già arrivato, oltre sessant’anni fa, con “Adamo”, in cui un giovanissimo e platinatissimo Vittorio Gassman riusciva a convincere la povera Laura Adani che era lei la nota stonata del triangolo. Quindi il tema di “Persecution” non è nuovo e probabilmente non c’è nessuna pretesa da parte di Chereau di battere terreni inesplorati. Il guaio (per Chereau, ma non solo per lui) è che il film arriva in un momento in cui le prime pagine dei giornali parlano di molestie, di telefonate, di omosessuali che non ci stanno a mettersi da parte a favore di coppie etero. Come volete che il malignetto non lavori febbrilmente nella platea veneziana (e dopo qualche giorno in quella italiana)? Come volete che non capti (o non creda di captare) le forti somiglianze, le allusioni, sia pure involontarie? Insomma, in sala forse più di uno ridacchierà. Anche se poi quasi tutti (per civiltà, o ipocrisia, o peggio per convenienza) negheranno che le risatine partite dal buio siano provenute dalla loro bocca. Speriamo che la pellicola abbia buon avvenire nelle sale.