Nostra signora della manipolazione

L’edizione di oggi del Sunday Times contiene un’interessante intervista a Madonna, in cui la Regina del Pop dimostra chiaramente a Dan Cairns chi controlla la sua vita, la sua incredibile carriera… e questa stessa chiacchierata.Leggiamola insieme.
Il centro nevralgico della Madonna Inc. sta in due case situate nel centro di Londra. Ma quando si trova in Inghilterra, questi edifici sono anche una casa per la cantante i suoi quattro figli: all’interno, non mancano uffici e una palestra personale. Dall’esterno, il complesso di sei piani sembra un normale palazzo londinese anche se, naturalmente, le sue dimensioni sono molto più grandi del normale. C’è una sensazione particolare che pervade queste strade: sono impregnate da una sorta di lusso discreto. Non ci sono cartacce sui marciapiedi immacolati, né gomme o croste di kebab attaccate ai marmi lucenti. Ci si può fermare davanti a casa di Madonna solo per ammirare la perfetta simmetria dei due edifici, o la sobrietà della loro struttura architettonica. Ma a meno che non siate degli avidi paparazzi, potreste persino non notare nulla, dato che, in fin dei conti, queste sono solo due case di una lunga serie che percorre l’intera strada. Anonime, ordinate, mantenute con classe. Madonna non avrebbe scelto nulla di diverso. “Dove vive?”, mi chiede quando finalmente ci incontriamo. “Dalston”, rispondo. Ma il nome non suona nessun campanello. “Stoke Newington”, aggiungo per dare un punto di riferimento. “Ma non è nemmeno Londra”, ribatte con sarcasmo. Ma è proprio così, a dire il vero. Anche la sera prima ero stato in quella stessa strada, ma in un altro palazzo vicino a casa della cantante. Pochi giorni prima, mi era stato dato un bigliettino con l’intestazione “E’ un segno”: si trattava di un invito ad una lezione introduttiva sulla Kabbalah che si sarebbe tenuta nel complesso che Madonna ha comprato per l’organizzazione sei anni fa. Durante quest’ora, un insegnante ha sciorinato quello che i più cinici potrebbero definire un mucchio di idiozie. La nostra corporeità è solamente l’1% di noi, ha spiegato il maestro, aggiungendo che dovremmo concentrarci sul restante 99% e che dovremmo nutrire la nostra vita di spiritualità. Comunque, bisogna ammettere che l’ambiente da un’impressione di calma e benessere, quasi di contemplazione. E come anche il più cursorio riassunto della sua carriera ventennale può far capire, Madonna ha certamente bisogno di calma. Perché il contrario del controllo, della calma è...? “Il caos” ci rivela lei stessa. “Il dolore e la sofferenza”. Il nostro incontro avviene sotto gli auspici dell’imminente pubblicazione di “Celebration” un greatest hits di 36 tracce che sarà anche l’ultimo suo disco pubblicato dalla Warner Bros., ora che Madonna è passata a Live Nation, il promoter americano con cui ha firmato un contratto da 120 milioni di dollari. Ma l’intervista è stata soggetta ad alcune condizioni: niente domande sull’adozione, sul suo divorzio, sulla sua vita sentimentale o il suo credo religioso. Si deve parlare di musica, mi riferisce la portavoce americana di Madonna, Liz Rosenberg, le cui maniere, e persino l’aspetto, ricordano un po’ Roz, la gigantesca lumaca di Monsters Inc. che minacciava: “Stai in guardia, Wazowski. Ti osservo sempre.” La Rosenberg lavora per Madonna da quando, nel 1982, la cantante si è avviata sul viale della celebrità. “Ma comunque” dice Madonna, “il mio sogno era lavorare in un negozio di caramelle. E’ perché sono sempre stata fissata con i dolciumi: non li mangio più, però, visto che ho tutti i denti cariati. Sono andata all’università per un anno, per quanto questa rivelazione possa essere sconcertante, e c’era questo negozio di caramelle dove andavo tutti i giorni. Sa, era uno di quei negozi di dolciumi vecchio stile, dove tutte le leccornie sono in barattoli di vetro. Andavo lì, vedevo tutte queste delizie e mi dicevo che sarebbe stato bellissimo lavorare lì perché avrei potuto mangiare caramelle quando volevo. Non ho avuto le chiavi del negozio di caramelle, ma mi si sono aperte altre porte”. Una perdita per l’industria dolciaria, un guadagno per quella del pop. In “Life with My Sister Madonna”, il libro di memorie scritto da un risentito Christopher Ciccone, il fratello della cantante racconta come ogni singolo minuto della vita della sorella sia programmato al dettaglio. Oggi, invece, quell'inflessibilità è andata in malora. Pochi secondi prima del mio arrivo, ricevo una telefonata che mi avvisa di arrivare quindici minuti dopo. Cosa a cui mi adeguo, per essere parcheggiato nell’ingresso di casa per altri buoni quarantacinque minuti. Colgo l’occasione per darmi un’occhiata intorno. Mentre attendo, Madonna compare di sfuggita, prima di sparire nuovamente al piano di sotto da cui vengono rumori diversi: una risata fragorosa e qualche nota del suo nuovo singolo mischiata al suono di un aspirapolvere. Che stia sbrigando le faccende di casa al ritmo delle sue stesse canzoni?! Mi pare improbabile ma è comunque un’immagine con un certo fascino. Mentre aspetto, noto un quadro di un artista barocco, Gerrit Dou, appeso al muro, che è tutto rivestito di velluto blu. Su un’altra parete, c’è un dipinto che raffigura un paio di pierrot danzanti. L’aria è riempita dal profumo delle candele firmate Christian Dior, le luci sono soffuse: tutto sembra incredibilmente teatrale, quasi religioso. C’è anche un telefono enorme, pieno di etichette con scritto “studio di M”, “camerino di M”, “bagno di M”, “lavanderia”, “sala musica”, “cucina”, “retro”. L’impressione complessiva è di lusso misto a organizzazione rigorosa. Disciplina, controllo, precisione. “Sarebbe questa la mia etichetta?” dice Madonna, anticipandomi. “Sarà, ma penso che nemmeno la gente che scrive queste cose ci creda veramente. Mi pare che, a volte, non si faccia altro che ripetere quello che si è già sentito dire da altri.” Finalmente, ci avviamo nello studio di Madonna, una stanza interamente grigia arredata da un quadro di Frida Kahlo, scaffali di vetro, libri d’arte, foto di famiglia e due poltrone poste l’una di fronte all’altra, su cui ci sediamo. In carne e ossa, vestita con un pantalone nero e una camicetta a maniche corte, Madonna sembra piccola, anche coi tacchi, e carina. Il suo viso è più vivace e trasparente di quello che ci si aspetterebbe, e spesso tradisce espressioni ironiche mentre parla. Il suo accento è evidentemente chiaro, sofisticato, come risultato dei numerosi anni passati nella campagna inglese col marito Guy Ritchie. Per buoni dieci minuti, il suo disagio è evidente: si copre il viso mentre risponde. E quando mi avvicino un po’ per chiarirle meglio una cosa, mi accorgo immediatamente di aver valicato un limite invisibile. Comincio a capire perché la gente si sente così in soggezione davanti a lei: non vorresti mai essere l’oggetto di uno di quegli sguardi pietrificanti. “Che tutti, a un certo punto, abbiano smesso di trattarla come una comune mortale?” le chiedo. “Molta gente è confuse da me”, mi spiega. “Non sanno cosa pensare di me e perciò cercano di etichettarmi, o sminuirmi. Forse si sentono insicuri. Ma ogni volta che dimostriamo un atteggiamento estremamente emotivo, irrazionale o negativo verso qualcuno, o qualcosa, è perché ne siamo intimoriti.” Si ferma un secondo, guarda Liz e dice “chiamiamo i nostri strizzacervelli”. Adesso capisco perchè un critico americano l’anno scorso scrisse ‘se pensate alla sua carriera, non vi verranno in mente delle canzoni’. Video, film, matrimoni, look, bambini, beneficenza: tutto, in un certo senso, ha come oscurato il modo in cui Madonna è divenuta quella che è. “Ma forse, Celebration, non vuole proprio ricordare che le canzoni stanno lì, da qualche parte?” chiedo. La Rosenberg squittisce immediatamente “quel giornalista è un idiota”. “Non è carino dire così,” ribatte Madonna, nel tentativo di non ridere. “Non saprei, dipende da quale parte della barricata ti metti. Alcune persone non apprezzano la mia musica, e perciò non mi vedono come una musicista o una cantautrice. Gli piace pensare che sia un fenomeno culturale”. “Possiamo dire che queste persone ascoltano la sua musica ma reagiscono al contenuto visivo più che a quello emozionale?” proseguo. “Esattamente, è come se dicessero ‘ah, quella è la canzone di quando aveva il reggiseno a punta. Quello è il pezzo delle croci’. Ma suppongo che parte di tutto questo sia anche colpa mia”. “Ma allora,” chiedo, “quando facciamo una retrospettiva della sua carriera cosa vediamo: ispirazione, ironia?” “Manipolazione e provocazione”, ribatte. Un altro giornalista ha sentenziato che ‘la capacità di Madonna di assorbire le tendenze la rende sempre un passo avanti’. “Certamente, il suo fiuto per la musica e per la moda si sono rivelati portentosi. Ma quest’ossessione per ciò che assimila, non finisce per oscurare ciò che effettivamente fa con queste tendenze?” “Sicuramente”, risponde. “Tutti siamo in grado di assimilare dati, ma è come li rielaboriamo che ci rende diversi, no?” “Ma forse”, aggiungo io, “concentrarsi sull’assimilazione non rimuove il suo contributo all’equazione?” “Beh, una cosa che mira a sminuirmi”, dice ridendo. “Ma non è questo il fine di tutto l’esercizio?” Le chiedo del suo arrivo a New York negli anni ’70, di quando era senza un soldo e di quando voleva fare la ballerina. Di come si è costruita la reputazione di quella inarrestabile, di mangiatrice di uomini, dei manager licenziati, delle band sfruttate… Cinque anni di gavetta, risparmio e opportunismo l’hanno finalmente ripagata quando nel 1982 ha firmato un contratto discografico. Ma questi stessi anni l'hanno anche segnata in maniera indelebile, come artista. Lo si vede da come parla di questo periodo della sua vita: si ha come l’impressione che nonostante i chiacchierati 300 milioni di sterline in patrimonio, la collezione d’arte, la vita intrigante, i tour di successo (il suo ultimo, lo Sticky and Sweet, ha guadagnato qualcosa come 408 milioni di dollari), Madonna sia ancora un’espressione genuina della multiculturalità e dello sperimentalismo della New York degli anni ’80. E’ un periodo che si è lasciata alle spalle, ma che artisticamente è ancora lì, nella sua immaginazione. Madonna si guarda sempre intorno, si ispira a qualsiasi cosa, prende spunto dai collaboratori, li risucchia e poi va avanti: una vera gazza della cultura. I budget e l’attenzione dei media sono cresciuti, ma lo spirito, lei dice, è sempre quello. “New York non è più come una volta”, prosegue. “E’ stato un momento fantastico: l’incrocio della cultura pop e l’arte. E pensare che ero solita andare a cena con Andy Warhol, Jean-Michel Basquiat e Keith Haring. Era una cosa comune, faceva parte della quotidianità. Quello sì che è un momento della mia vita che meriterebbe davvero attenzione. Facevo concerti in posti come il CBGB prima ancora che la gente mi vagliasse al microscopio. E' stato molto utile per la mia carriera: mi ha dato un senso di sicurezza che nemmeno le batoste più grandi sono riuscite a scrollarmi di dosso.” Madonna contra mundum? E’ il motto di molti artisti, uno stato mentale che li ricarica in vista dei loro prossimi progetti, album o tour che siano. Ma le vendite stratosferiche – e Madonna è l’artista donna più di successo della storia – non riescono comunque a togliere a questi artisti una complesso di vittimismo, di incomprensione e sottovalutazione. Questo potrebbe spiegare perché, alcuni, e in particolare i più intellettualmente vivaci, spaziano in numerosi campi artistici, o si circondano di erudizione e cultura. (In fondo, la stessa frase “Sono andata all’università per un anno, per quanto questa rivelazione possa essere sconcertante” non è incredibilmente rivelatoria?). Madonna, comunque, riesce a superare meglio di altri questi dubbi esistenziali. Le sue ultime pubblicazioni potranno essere eclettiche – bisogna tornare a Ray of Light per ritrovare il suo ultimo vero classico – ma, comunque, Celebration ci ricorda decisamente il grande genio pop che è. Vogue, Cherish, Into the Groove, Borderline, Like a Prayer, Material Girl, Frozen stanno lì a testimoniare che noi, come lei, siamo stati travolti dall’onda della sua celebrità piuttosto che dalla sua musica. “Le canzoni prima di tutto” concorda. “E tutte queste altre cose che la gente ama ricordare sono secondarie, o comunque non così importanti”. Madonna vuole che torniamo alla musica. “Ma, in fin dei conti, non le è mai interessato quello che pensa la gente, no?” chiedo. “Insomma”, mi fulmina. “Credo di essere diventata abbastanza brava a capire quando il giudizio che la gente da sul mio lavoro è influenzato dalla loro opinione di me. Bisogna semplicemente fare quello che sappiamo fare, e poi offrirlo agli altri. Non possiamo controllare il resto. E così nasce l’idea che sia una maniaca del controllo. Posso fare tutte le canzoni che voglio, tutti gli show di questo mondo ma non posso controllare la reazione della gente. Il pubblico pensa ciò che vuole, e si sente come vuole sentirsi. Io posso solo controllare me stessa e, a volte, non riesco bene neanche in quello.” Secondo lei, la sua autodisciplina viene confusa col cinismo, anche se ammette che “a volte, non mi fermo davanti a niente”. Certamente, è stata proprio New York a renderla una donna così determinata. “In quel momento sapevo che fare la cantante, la scrittrice era quello che volevo. E non mi importava se dovevo morire di fame, vivere in una stanza con cinque ragazzi o lavarmi in una bacinella. E proprio perché ho avuto un periodo così difficile e non me ne è importato, quando riesci a vivere una vita essenziale e a divertirti lo stesso, quella è la prova che vuoi veramente qualcosa.” Le 36 canzoni di Celebration documentano anche la successione di abili produttori – John John “Jellybean” Benitez, Steve Bray, Pat Leonard, William Orbit, Mirwais, Stuart Price – con cui Madonna ha lavorato. Altre collaborazioni con artisti come Prince e Michael Jackson, invece, non sono state altrettanto brillanti o sono morte in partenza. Della collaborazione con Jackson, per esempio, Madonna ricorda: “Abbiamo passato un po’ di tempo insieme, siamo stati buoni amici ma non abbiamo mai concretizzato nulla. Ho scritto una manciata di versi, glieli ho fatti leggere ma poi lui non volle registrarli. Non voleva essere così provocatorio. E allora perchè ha pensato a me?! Voglio dire, è come chiedere a Quentin Tarantino di fare un film senza violenza. Avevo come la sensazione che fosse troppo inibito e timido. Quando scrivi con qualcuno, diventi incredibilmente timido perché, a meno che non siate buoni amici, non puoi mai essere totalmente onesto e dire ‘questa è la cagata più incredibile che abbia mai sentito’. Hai paura di dire che qualcosa non ti piace perché non vuoi urtare i sentimenti del tuo collaboratore e, quando ti scopri troppo, hai sempre il timore che l'altro non vorrà più lavorare con te." A dire il vero, sono convinto che ogni musicista farebbe carte false per lavorare con Madonna. Ma, sicuramente, non è questo il punto. E' Madonna che deve voler lavorare con loro, mai il contrario. “La prima cosa che mi è venuta in mente,” continua, parlando della morte di Jackson, “è la parola abbandonato. Mi è parso come se tutti lo avessimo abbandonato e chiuso in una scatola con l’etichetta ‘strano’ applicata sopra. Ho sofferto per lui quando ho letto quelle cose terribili, quando l’hanno accusato di molestare i bambini e di tutte quelle cose crudeli senza la minima prova. L’ho compreso perché l'ho provato sulla mia pelle. Quando ho adottato David, mi hanno accusata di averlo rapito. Per l’amor del cielo: è così doloroso, e la gente ama queste polemiche. Questa attitudine al linciaggio è terrificante.” Ascoltando il suo disco, rifletto su come Madonna mi sia apparsa rilassata e stanca allo stesso tempo. Forse è perché le rimangono ancora alcuni show del suo tour, ma c’è, nella sua voce, una certa stanchezza, nonostante lei stessa reciti il mantra: “Sono ancora curiosa, ancora affamata. Voglio più conoscenza, più informazioni, voglio più esperienze”. Il suo entusiasmo per Londra, per la musica, per il successo, traspare chiaramente, soprattutto quando ride – una cosa che fa spesso. Ma ci sono alcuni momenti in cui hai l’impressione che voglia scendere dalla giostra. E, per quanti veti ci fossero sulle domande, non c’è niente di più studiato della sincerità di Madonna, che sembra non poter sostenere discussioni o domande più introspettive. In un certo senso è aperta, eppure rimane sempre impassibile. Un colpo di tosse della Rosenberg mi ricorda che il mio tempo è terminato. E quando lo sente, Madonna guarda un orologio che le pende da una collanina al collo, si alza dalla sedia e dice “E’ ora del mio bagno”. E così sparisce in una stanza che, sicuramente, avrà il suo interno telefonico. E’ una casa dove tutto funziona (quasi) come un orologio svizzero. Ripensi alla carriera che Celebration ripercorre, a come molte cose potrebbero essere andate terribilmente storte e, allora, ti rendi conto che quel desiderio per l’ordine, per la sicurezza e la prevedibilità acquista un nuovo senso. Forse il suo segreto è proprio questo. Lei lo chiama “dolore, sofferenza”. Da giovane, Madonna ha deciso di non vivere più in quel modo. Solo lei sa quanto sia riuscita nel suo intento, e questa, forse, è l’unica percentuale che conta veramente.
Da un’intervista di Dan Cairns pubblicata sul Sunday Times di oggi. Traduzione italiana a cura di drowned.

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