R.E.M. fan 30!

Il prossimo 5 aprile saranno 30 anni dalla nascita di una delle band più amate (e criticate, e chiacchierate...) del rock. A partire, ovviamente, dal suo leader, da sempre nell'occhio del ciclone fra sessualità multilaterale, amicizie dolorose, buona musica e presunte malattie. Ora anche un libro fotografico rende omaggio ai "Rapid Eye Movement"... di Matteo Cioffi
Quando a soli 16 anni, dopo aver letto la recensione sul “Village Voice”, ho ascoltato per la prima volta questo album, sono rimasto estasiato e ho pensato: è tutto incredibilmente vero! Da allora la mia vita non è stata più la stessa». Folgorato sulla strada di “Horses”, l’opera prima di Patty Smith, ha illuminato Michael Stipe. È stata proprio la regina del punk a stelle e strisce a spingere questo giovanotto dall’aria malinconica, nato nel 1960 ad Athens, città della Georgia, a dare vita, insieme a tre amici concittadini tutti appassionati di musica, a una delle band musicali più importanti della storia del rock. Sì, i mitici R.E.M.: 14 dischi all’attivo, trent’anni di carriera, milioni di fan. E ora anche un bellissimo libro fotografico: “Hello” (Isbn edizioni): la loro vita documentata in più di 150 scatti, eseguiti dal fotografo David Belisle che li ha seguiti passo passo negli ultimi sei anni (in queste pagine, alcune immagini concesse a noi di Velvet). Osannati, ma anche spesso criticati, i R.E.M. dividono da sempre critica e pubblico. Una spaccatura creata fin dal 1983, quando viene inciso “Murmur”, una dozzina di ballate “sospirate” (la parola data all’album significa appunto “mormorio”), intrise di vitalità sonora, in un contesto armonico e graffiante al tempo stesso. «Eppure a noi sembrava solo di divertirci e di fare un gran fottuto casino», racconta Stipe. La sua voce nasale si integra magnificamente con la chitarra folleggiante di Peter Buck, il basso sincopato di Mike Mills e la batteria ritmata di Bill Berry. La critica applaude, ma non si sbilancia. Delude la seconda prova: “Reckoning”, di cui si narra sia stato registrato in tempi record (soli 12 giorni?). Esce vincente solo la voce di Stipe. L’avventura sembra già giunta al termine, quando ecco che la band dal 1985 al 1988, ovviamente oscillando tra alti e bassi, registra ben quattro album, tra cui “Document”, dove spicca la traccia “The One I Love”, il primo singolo dei R.E.M. a entrare nella chart inglese. Ancora Stipe: «Il titolo è un mio sfizio, volevo scrivere una canzone con la parola amore, cosa che non avevo mai fatto prima». Né fino ad allora la band aveva assaggiato il successo vero, che piomba loro addosso nel 1991 con “Out of Time”, il loro capolavoro da 15 milioni di pezzi venduti in tutto il mondo, decisamente più mainstream rispetto ai lavori precedenti e trainato da un singolo che farà storia: “Loosing my Religion”. L’album ha una forte connotazione politica e sociale con testi dichiaratamente contrari alla guerra e a favore della tutela ambientale. L’impegno ha sempre fatto parte della loro storia. Ed è vivo ancora oggi, soprattutto in Stipe, agguerrito sostenitore di Barack Obama. «È l’uomo giusto per ridare fiducia alla politica. Se non avesse vinto le elezioni avrei abbandonato gli Usa e sarei andato a vivere in un altro Paese». I R.E.M. piacciono, “ma sono troppo commerciali”, si sente dire da più parti. Ecco allora l’ennesimo colpo inaspettato: nel 1992 esce “Automatic for the People”, opera struggente dove il concetto della morte aleggia prepotente.
E da lì a poco, Stipe perderà due cari amici: River Phoenix e Kurt Cobain. Proprio con il leader dei Nirvana progettava un album: «Sarebbe stata una via di uscita al totale casino che aveva in testa», confessa Stipe con un po’ di amarezza. La tristezza di quel periodo si ritiene provocata dalle sue condizioni fisiche: non appare in grande forma, c’è chi afferma che sia affetto da Aids, notizia subito smentita, mentre continuano a rincorrersi le voci su una sua presunta omosessualità. Va detto: il gossip piace a Stipe, che ha sempre la risposta pronta condita da un tocco di sottile ironia. «Non mi considero né etero, né gay, né bisessuale: sono semplicemente attratto da tutte le opportunità allo stesso modo». E ancora, a chi dichiara la sua sieropositività: «Sono magro, lo sono sempre stato, ho capelli strani e una brutta pelle: ma non credo che questo sia sufficiente a creare un caso, no?». Bando alle ciance, ciò che conta nei R.E.M. è la musica: con “Monster”, propongono un mix di suoni e generi diversi tra loro, mentre nel 1996 esce l’antologico “New Adventures in hi-fi”, dove nel singolo “E-bow the Letter”, Stipe corona un sogno duettando con Patty Smith, la sua musa di sempre e con la quale nel 2007 si trova a spartire il palco per ritirare la tessera onoraria della Rock and Roll All of Fame. I quattro amici diventano tre con l’uscita di “Up” (1998), il primo album orfano della batteria di Berry, che deve tristemente abbandonare la band per motivi di salute. Non vi farà più ritorno, se non qualche anno dopo in occasione di una breve performance al matrimonio di un amico comune. Senza il batterista storico il risultato è al di sotto delle attese, così come la sua assenza si fa sentire nei cupi “Reveal” (2001) e in “Around the Sun “(2004). La band ha di nuovo il dito puntato contro, dopo questi passi falsi. C’è bisogno di una scossa per ripartire di slancio e riconquistare i fan. E ciò non può che avvenire con un album chiamato, appunto, “Accelerate”, nel quale rispolvera quelle melodie rock del loro esordio. Un inno not politically correct: «“Accelerate” comunica energia e anche rabbia: da cittadini americani è difficile non essere arrabbiati per quel che ha fatto il governo negli ultimi otto anni». Sì, siamo all’era Bush. Ai giorni nostri. I R.E.M. sono già al lavoro da alcune settimane su un nuovo progetto, prodotto da Jacknife Lee, lo stesso di “Accelerate”. Tutti insieme di nuovo per cercare di stupire la platea, magari senza sollevare dubbi. Si vedrà, anche se è proprio vero che per loro gli esami non sembrano finire mai.