Jacko continua a far soldi Dalla Sony altri 200 milioni

Scusate, si erano sbagliati. Non è vero, come hanno scritto per mesi quasi tutti i giornali del mondo, che Michael Jackson sia praticamente morto sul lastrico e ingozzato di debiti. Magari lui e i suoi non erano oculati e parsimoniosi come Rockefeller. Forse qualcuna delle società a lui riconducibili non era proprio in attivo. E molti furbetti del quartierino si sono abbeverati oltremodo alla sua corte dei miracoli. Però, vivo o morto, Michael Jackson è un impero sul quale continua a splendere il sole anche in tempi grami come questi. Lo dimostra l’accordo che i suoi esecutori testamentari John Branca e John McClain, hanno firmato con i capoccioni della Sony Music. Duecentocinquanta milioni di dollari per sette anni di pubblicazioni inedite, dischi, film e persino videogiochi. Durata complessiva: sette anni. In poche parole, ai suoi eredi finiranno duecento milioni di dollari tondi tondi, salvo (favorevoli) imprevisti. Se il patrimonio di Jacko fosse alla canna del gas, non sarebbe stato possibile stipulare un contratto che i soliti esagerati hanno definito «il più lucroso della storia della musica». Non è vero perché, pur variando durata e contenuti, altri artisti come Madonna oppure U2 hanno guadagnato di più. Dettagli. In ogni caso, se la Sony ha detto sì vuol dire che in archivio c’è ancora tanto materiale inedito e che sul repertorio edito resistono margini enormi di guadagno. Perciò quelle sul crac economico della popstar erano le solite voci allarmiste, una tiritera che fa comodo ai più svogliati ma che i fatti smentiscono appena si analizzano con più attenzione. Quando è morto, era formalmente indebitato per quattrocento milioni di dollari. Ma, tra proprietà e diritti d’autore, il suo patrimonio arrivava a quasi seicento milioni. Fate voi.
Intanto i dettagli.
Già a novembre uscirà il primo cd di canzoni inedite, poi seguiranno a valanga ripubblicazioni di vecchi dischi intasate di rarità (si comincia con Off the wall, disco del 1979 che già Michael Jackson voleva masterizzare), dvd di concerti o di dietro le quinte e persino un videogame del quale il cantante, ahilui, dovrebbe essere il protagonista. Insomma, un’industria sullo stile di quella dell’Elvis post mortem e di tutti gli altri eroi della musica leggera che spesso hanno paradossalmente prodotto più nuove canzoni da morti che da vivi. Già che ci siamo, un pensierino deve andare alla famiglia di Michael Jackson, specialmente papà e fratelli, che con tutto questo bendidio andranno a nozze, spendendo un’adeguata dose di retorica ogniqualvolta celebreranno il caro estinto. E chissà quanto a lui piacerebbe. Zero, probabilmente. A otto mesi dalla sua scomparsa, il fatturato dell’azienda è stato di novanta milioni di dollari, spicciolo più spicciolo meno. In tre settimane a luglio, sono state vendute oltre nove milioni di copie dei suoi dischi, roba che nessuno è ormai più in grado di superare neanche da vivo. In totale le copie sono diventate finora quasi quaranta milioni, di cui oltre otto solo negli Stati Uniti e oltre ventinove nel resto del mondo. Perciò Michael Jackson si è rivelato l’artista più venduto del 2009. E, a occhio e croce, il suo catalogo sarà tra i più comprati per i prossimi venti anni, esattamente come è accaduto ai Beatles e a Elvis.
Oltre a questo punto fermo, che già da solo legittimerebbe un accordo faraonico tra la Michael Jackson Family Trust e la Sony, c’è tutto il materiale inedito. Poco prima di morire, lui aveva chiamato Andrea Bocelli (che non rispose alla telefonata) per chiedergli la collaborazione su di un disco di arie liriche che sarà quindi pubblicato prima o poi in qualche forma. E poi ci sono - almeno a dar retta alle indiscrezioni - circa un centinaio di brani inediti accatastati nell’archivio. Nessun artista, oggi, gode di un patrimonio così goloso per i fans e per le case discografiche. Inizierà quindi lo sgocciolìo di brani inediti. Qualcuno dignitoso. Molti inascoltabili o inutili. Si discute sempre dell’opportunità di questo mercimonio che, oltre a fare soldi, serve solo, se va bene, a riempire i chiaroscuri di un artista, quelli che di solito sono i più misteriosi e quindi più affascinanti. Michael Jackson ha trascorso anni nell’ombra artistica, concentrato più su magagne processuali o psicopatologiche. Ma ha continuato a lavorare, a registrare, a fare progetti come se fosse stato ancora un ragazzino sconosciuto. E forse questo entusiasmo così candido e commovente sarebbe da solo il testamento migliore, altro che diluvio di pubblicazioni un tanto al chilo.