Antony, il nuovo disco: 'Sono un figlio della Natura. E di Otis Redding'

Per dare un nome alla sua ispirazione e alla sua musica, così diversa da tutto ciò che si sente in giro, Antony Hegarty stavolta è ricorso a un vocabolo di sua invenzione, “Swanlights”: titolo del nuovo album, il quarto con gli inseparabili Johnsons, che esce nei negozi il 12 ottobre, anche in una lussuosa edizione corredata da un elegante book contenente suoi disegni, foto e collage. “Già, non credo tu possa trovare quella parola sul vocabolario”, sorride impacciato l’imponente artista di nero vestito, ieraticamente accovacciato a gambe incrociate sul divano della lussuosa suite d’hotel milanese in cui incontra i giornalisti. “Deriva da una poesia che ho composto a proposito dell’immagine che uno spirito riflette sull’acqua. Pensavo al fatto che persino un qualcosa che sta a due o tre gradi di separazione dalla sua manifestazione fisica conserva una qualche forma di presenza intangibile che è possibile percepire”. Dieci canzoni (undici nel cd senza libro, il bonus è un duetto con Bjork), ancora una volta all’incrocio tra pop ed opera, melodia e astrazione sonora, sperimentazione e comunicativa. Ancora una volta “aliene”. Da dove arrivano? “Sono una manifestazione di creatività, suppongo. E per me la creatività è stata una luce guida dell’intera esistenza. Un rifugio che mi ha procurato gioia, conforto e alcuni dei momenti più belli della mia vita. In sostanza, credo si tratti di essere aperti alle possibilità del presente. Quel che cerco di fare è di ascoltare sempre più attentamente i suoni, i pensieri e le energie del mondo che mi circonda. Come artista, credo di muovermi nell’ombra di forze molto superiori alle mie: intendo dire la Terra, la massima e più potente espressione di creatività che esista. Mi spinge un impulso simile a quello che muove un figlio, sotto l’ala protettrice della madre”. Eppure in qualche modo, “Swanlights” suona anche differente dagli altri suoi dischi…“Non è lineare come i miei precedenti, in effetti. Io lo trovo decisamente più caotico. Dotato di molte più sfaccettature. Ho voluto creare un inizio e una fine (con ‘Everything is new’ e ‘Christina’s farm’), per suggerire che esiste comunque un ordine, un sistema. Ma per me si tratta soprattutto della sovrapposizione di strati, di punti di vista, di stati emotivi. E ciò appare molto più evidente nel contesto delle immagini raffigurate nel libro, che io trovo molto esplicito e concreto: il volume rappresenta in un certo senso il cuore, il nido dell’album”. Disegni e musica come elementi di un’unica personalità umana e artistica? “Sì, anche se le dinamiche sono totalmente diverse. La musica, per me, è diventata una sorta di dialogo con il mondo. Soprattutto quando sei su un palco, in conversazione con migliaia di persone con cui cerchi di trovare un punto in comune. Disegnare è un atto molto più solitario. Molto più intimo, interiore. Una sensazione quasi familiare. Che mi permette di esplorare più a fondo la percezione che ho del mondo”. Emergono altre somiglianze: i testi di Antony, a volte, sono enigmatici ( “Salt silver oxygen”, la stessa “Swanlights”); altre volte, come nel caso del singolo “Thank you for your love”, nudi e diretti. Lo stesso succede con le immagini (alcune delle quali in mostra alla Triennale di Milano fino a domenica 26 settembre): collage e scarabocchi su pagine di giornali a cui seguono eloquenti ritratti dell’artista. “Sì, credo tu abbia ragione. Come artista visuale, mi reputo naif. Visionando il materiale del libro in anteprima, alcuni esperti d’arte mi hanno suggerito di organizzarlo in una forma più coerente, di cercare una sola visione estetica, un unico approccio tematico. Ma per me si tratta comunque di un’opera unitaria, il cui filo comune è la mia visione del mondo. E’ il diario di una molteplicità di sentimenti differenti. Ho pubblicato questo materiale perché per me significa molto, perché riflette bene quel che sono in questo momento. Non certo perché aspirassi a raggiungere una posizione elevata nella gerarchia delle belle arti”. Temi ricorrenti, nel disco e nel libro. “Forse perché sono opere nate insieme e che si sono mosse in parallelo. In realtà ho cominciato a registrare questo disco in contemporanea con il precedente, ‘The crying light’: l’ho ripreso in mano una volta completato quello. In tutto ciò che faccio ho l’inclinazione al collage, all’assemblaggio, alla ricerca di collegamenti tra i numerosi fili che intreccio. La ricerca di un significato, di una struttura, nella maggior parte dei casi, viene solo in un secondo momento”. Il singolo, “Thank you for your love”, è il brano più diretto e orecchiabile: sembra quasi un omaggio all’amata Nina Simone… “E a Otis Redding, ai miei eroi musicali giovanili. Che si tratti di un tributo allo stile r&b di fine anni ’60-inizi ’70 mi sembra evidente, anche se sul finale il pezzo cambia forma”. L’ep che ha preceduto l’album, e che reca quel brano come title track, contiene una cover di Bob Dylan dal periodo “cristiano”, “Pressing on”, e l’inviolabile “Imagine” di John Lennon. Coraggioso, Antony… “Ho scelto quelle canzoni perché affrontano questioni esistenziali basilari, sia pure dal punto di vista di una generazione diversa dalla mia. Mi piaceva, in qualche modo, usarle come preludio a canzoni e idee che sono invece tipiche del nostro tempo. E volevo cercare un mio percorso, all’interno di quei brani. E’ un processo educativo, esplorare il pensiero e l’immaginario di un altro autore. Adoro fare cover, è sempre elettrizzante e liberatorio. Lo so che è una cosa audace, rifare ‘Imagine’. Ma ho cambiato leggermente la prospettiva: mi sembra che la mia versione sia un po’ più minacciosa dell’originale”. Dylan è stato criticato dai suoi fan per avere ceduto alle lusinghe della pubblicità. Antony, che ha lavorato con Levi’s, Lavazza e Prada, non sembra farsene un problema. “L’economia dell’industria musicale è cambiata radicalmente, la gente oggi compra molti meno dischi di un tempo e la pubblicità diventa per gli artisti una fonte primaria di sostentamento. E’ un panorama diverso da venti anni fa, bisogna prenderne atto. A me sembra un’occasione positiva: dal momento che non posso fare affidamento sulle radio, la pubblicità diventa una piattaforma utile a diffondere la mia musica. Ho collaborato a uno spot per una ditta di profumi in Spagna e mi è piaciuto un sacco: mi piace l’idea che una casalinga che sta lavando i piatti all’ora di pranzo ascolti improvvisamente ‘Hope there’s someone’ uscire dall’apparecchio televisivo. Ovviamente si tratta di valutare se ci si sente a proprio agio oppure no. E ovviamente ci sono dei prodotti con cui non mi sentirei a mio agio… Quando ho lavorato per la Lavazza, invece, ho bevuto così tanto espresso da assumere un colorito giallognolo!”. Strano di sicuro, ascoltare in tv canzoni che parlano di trascendenza, di rapporto ancestrale con la natura, di dicotomia tra corpo e spirito: temi ricorrenti anche in “Swanlights”? “Dicotomia, dici?”, replica soppesando come al solito le parole e prendendosi lunghe pause. “No, io non vivo il corpo come una gabbia. Per me il mondo materiale e quello spirituale sono la stessa cosa. Anche se del corpo, quando ti assale la disperazione, vorresti liberarti”. Nella sua visione panteista e naturalista, Antony usa spesso – anche stavolta – simboli cristiani e religiosi. E parla di Dio come Madre. Proprio come fece, provocando sconcerto negli ambienti ecclesiastici, Papa Luciani più di trent’anni fa… “Davvero? Non lo sapevo…E non mi stupisce che, come mi dici, circolino teorie cospirative sulla sua morte. Molti dei più alti insegnamenti dell’umanità ci arrivano dall’universo femminile, ma queste sono cose che i teologi di sesso maschile insistono a tenere segrete. Soggiogare la femminilità e negare la spiritualità del mondo terreno, per il cristianesimo, l’islam e altre religioni, è stato un modo per assumere il potere ed esercitare controllo sulla gente: ma è dalla Terra che proveniamo, ed è verso di lei e la nostra componente femminile che tendiamo naturalmente. I teologi sostengono che la nostra costituzione spirituale è separata dalla Natura. Che questo ci distingue da ogni altra creatura vivente e da ogni altra manifestazione naturale: si tratti di animali, alberi o montagne. E’ questo il sistema di pensiero che abbiamo sempre utilizzato per giustificare il nostro dominio sul mondo e sugli altri popoli. Ci stiamo addestrando da millenni alla separazione dal mondo naturale, e da lì scaturiscono i nostri mali di oggi”. Per questo, nelle note del libro Antony ringrazia Madre Natura di averlo reso transgender? “Capisco che possa suonare trito e volgare, definirmi un figlio della Natura. Come un vecchio hippie degli anni ’60. Ma il mio credo è basato su convinzioni scientifiche: il nostro corpo è fatto di materia naturale, di energia, di elettricità. Di ossigeno, anidride carbonica e minerali. Siamo un prodotto della Terra nello stesso modo in cui lo è un albero. In questo la metafora della Terra come Madre mi sembra perfettamente giustificata. E’ questo il sistema che ci ha dato vita. Negli insegmamenti cristiani che mi hanno impartito da piccolo, invece, c’è la costante reiterazione del concetto che veniamo da un altro luogo. Da un Dio a cui ritorneremo quando saremo morti. I cristiani credono di essere stati cacciati dal giardino dell’Eden. Per i nativi americani, invece, il giardino dell’Eden è qui. E io la penso come loro: che Dio è tutto intorno a noi. Mi sembra un’idea molto più sensata da utilizzare per cercare di affrontare praticamente i problemi che ci circondano, sapendo che il pianeta si riscalderà di altri tre gradi e mezzo nell’arco di cento anni distruggendo la biodiversità. Perché insistiamo a vivere sull’orlo dell’autodistruzione? Forse la spiegazione è che siamo vitttime di un impulso virulento. In fondo anche i virus sono parte della Natura, assorbono vita e generano sistemi mortali. Ma allora ammettiamolo, una volta per tutte: non siamo mammiferi, noi umani. Siamo dei virus”.