Elisa: «Cantare in Arena ti fa sentire abbracciata dagli spettatori»

Un cuore che batte in Arena. Elisa torna in Arena domani sera con la tappa del Heart a-live tour, in quell'anfiteatro che ha visto la data esclusiva del suo show Mechanical dream, nel settembre di due anni fa, premiato dalla Fondazione come migliore show non lirico della stagione 2008. «Torno in Arena per la seconda volta», ci ha detto la cantautrice di Monfalcone, «ma quello di domani sarà un concerto più "normale", se così posso dire. È una data della mia tournée, anche se alla fine un po' speciale lo sarà comunque. Perché l'Arena è un posto particolare, diverso da tutti gli altri».
Cosa dovremo aspettarci?
Non l'ho ideato come un evento unico, come è stato per la prima di Mechanical dream. Sarà uno spettacolo più musicale, non ci saranno inserti teatrali. In questa seconda parte di tour, la musica è slegata da elementi come danza e teatro; sarà lei la protagonista assoluta.
Come sarà la scaletta?
Mista. Ci saranno molte canzoni del passato e del presente. È un concerto libero, coem se fosse quasi uno show da "greatest hits". Ci sono i brani del nuovo album, Heart, ma ce ne saranno anche dal primo disco, Pipes & flowers. Nel mezzo, una parte acustica. È vario e supera le due ore.
Ascoltare musica in Arena è un'esperienza magica. E stare sul palco? Cosa si prova?
Suonare in Arena mi ha dato l'idea di essere avvolta dalle persone. È uno spazio immenso, come un enorme teatro. Senti il pubblico vicino, anche se in realtà è lontano. Pare di stare dentro un teatro senza confini, con tetto il cielo.
C'è chi vuol coprire l'Arena...
Noooo! Vi prego, non fatelo. Sarebbe orrendo; spero non succederà mai. L'Arena è un posto unico proprio perché ha questa struttura e questa acustica. E perché il suo soffitto è il cielo stellato.
Domani sera proporrà anche i brani in italiano che, vista la sua discografia in inglese, potrebbero rappresentare eccezioni. In realtà, si potrebbe realizzare un disco, con tutte le sue canzoni in italiano, no?
Sì, ormai sono arrivata a quota otto, credo, da Luce, Almeno tu nell'universo, Una poesia..., Eppure sentire, Gli ostacoli del cuore... Sono sempre occasioni in cui ho trovato il modo di tradurre quello che volevo dire, con una scelta comunicativa più forte, perché detta nella lingua che parlano tutti. Molte sfumature di senso, nei miei testi in inglese, si perdono.
In «Heart», grazie alla partecipazione di Antony Hegarty (di Antony & the Johnsons) che canta in «Forgiveness», il cerchio si chiude: lei non è solo una cantante italiana che utilizza una lingua straniera, ma un'autrice che può scrivere per un madrelingua inglese. Come mai ha scelto proprio lui?
Credo che Antony abbia una voce incredibile: io ho scritto quella canzone pensando a lui. Molti dei fan di Antony mi hanno detto che potrebbe far parte del suo repertorio, come musicalità. È in realtà parallela al suo mondo: è classica, malinconica, semplice ma viscerale. E siccome la canzoni mi ricordava sempre lui, gli ho chiesto di cantarla. Mi ha risposto di sì, e che ascoltare il mio brano l'ha commosso. È stato un onore per me, e una sorpresa.
Immaginava che le dicesse no?
Io non sono una che crede che tutti mi dicano di sì. E non mi considero un'autrice; nel senso che nel mio immaginario è un mestiere inesistente, anche se di canzoni ne ho scritte tante. C'è sempre un momento, mentre scrivo, che non so bene ricordare. C'è un passaggio che dimentico. So come sono arrivata a comporre fino a quel punto (un'idea, un pensiero, un'ispirazione) ma poi nel processo di scrittura c'è un istante che non so ricordare. Succede e, alla fine, non ho idea di come abbia fatto a portare a termine la canzone. Non posso dire di essere effettivamente un'autrice perché c'è una parte del lavoro che mi risulta misteriosa.

Giulio Brusati

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