Difficile fare una cernita tra i venti film in cartellone ogni giorno al 43º Festival di Sitges. Procedendo per temi, e attenendosi ai titoli in concorso, 100 % fantastici sono sicuramente due film di autori francesi: Rubber (Pneumatico) di Quentin Dupieux e Hybrid 3D di Eric Valette.

Il primo piú che un film sembra una scommessa: vincente.
Fin dal prologo ribadisce che la finzione si sovrappone alla realtá persino in film apparentemente realisti. E il protagonista è un copertone d’automobile, pensante e quindi acerrimo nemico di chi lo maltratta. Sfruttato da alcuni agenti senza scrupoli, il gommone si ribella e diventa il vendicatore di torti subiti. Insospettato all’inizio delle sue scorribande, dovrá poi affrontare apertamente chi gli da la caccia. Thriller tragicomico di 84 minuti, Rubber è girato in inglese su paesaggio desertico americano.
Calorosi applausi hanno accolto le molte situazioni grottesche e a volte esilaranti.
Protagonista del secondo film è un automobile. Non è la prima volta di una macchina diabolica protagonista di un film, ma tutto accade in novanta minuti in un parcheggio sotterraneo. L’auto assassina affronta sei dipendenti del garage: tre meccanici, due ragazze e il gerente. Girato in 3D su sceneggiatura di Neal Marshall Stevens, il thriller aumenta di suspense man mano che gli spazi del Parking si restringono e i meccanici cominciano a soccombere. Lontano da pensieri profondi, il film s’impone come film d’azione con eroi improvvisati in situazioni sempre nuove che portano a un finale epico. Alcuni attori: Melanie Papalia, Shannon Beckner, Oded Fehr.
Francese anche il debutto di Romain Gavras con Notre jour viendra (Verrá il nostro giorno) con Vincent Cassel e Olivier Barthelemy. Siamo giá dalle parti di Pierrot le fou, ma in un nero senza speranza. Rémy, studente dai capelli rossi, maltrattato dai colleghi, lascia il liceo e incontra Patrick, psicoterapeuta, anche lui rosso di capelli. L’uno e l’altro sono in fuga, come due pellerossa banditi delle loro terre. Patrick diventa la guida, e insegna al giovane come scaricare la sua ira. Insieme incappano in avventure sulla strada e piú vengono minacciati, piú diventano minacciosi e pericolosi. Il loro comportamento diventa sempre piú violento ma non conduce in nessun luogo. Sognano l’irlanda. Non vi approderanno proprio per la somma delle loro violenze. Superba interpretazione di Vincent Cassel che a Sitges è stato insignito del Gran Premi Honrífic.
Parlando di violenza non si puó non parlare del film di Hong Kong Wai dor lei ah yut ho (Casa dei sogni) di Pang Ho-cheung che nel 2006 vinse l’Orso d’argento a Berlino con Isabella.
Ambientato prima dell’esplosione della bolla immobiliaria, mostra la difficoltá per i giovani di Hong Kong di comprarsi casa. Nella cittá piú affollata del mondo, i prezzi degli appartamenti sono alle stelle. Cheng, (Josie Ho) una ragazza che svolge un paio di lavori, il padre è malato, crede che l’unica maniera per ottenere un appartamento sia quella di eliminare i concorrenti. In un film totalmente Gore, dove gli omicidi vengono commessi in maniere sempre piú originali e piú spettacolari, la ragazza sopprime con freddezza e determinazione giovani e adulti che direttamente o casualmente intralciano la sua strada. Contratta in maniera urbana l’acquisto dell’appartamento, e si comporta da brava figlia di famiglia, poi entra in azione la personalitá occulta, quella criminale, e lascia una scia di sangue.
Alla fine, come avveniva in La chienne di Jean Renoir, il colpevole non paga. Cheng, infatti, ottiene il suo appartamento, e il film dá l’illusione di chiudersi con un lieto fine.
Dal crimine che paga all’imbroglio che si vende bene, il passaggio porta nella provincia americana dove il tedesco Daniel Stamm ha girato un mockumentary sul reverendo Marcus Cotton (Patrick Fabian) che collabora col regista per svelargli come riesce a dar vita a (finti) esorcismi che gli permettono di mantenere la famiglia. Buon parlatore e ottimo tecnico, Cotton accetta di partecipare al film quale atto riparatore e di redenzione delle sue truffe. Stabilito l’accordo, la troupe si reca in una fattoria isolata della Louisiana dove un padre è ricorso all’esorcista per fermare l’improvvisa morte del bestiame e incomprensibili atti della figlia adolescente. The last Exorcism (L’ultimo esorcismo) è appunto quello fatto in presenza di una troupe, col consenso del fattore e dell’esorcista, che da una `parte tenta di tranquillizzare il contadino tramite un esorcismo condotto sulla figlia, dall’altro a mostrare allo spettatore i trucchi dei quali si avvale Cotton per rendere plausibili i suoi esorcismi. Novanta minuti di tensione nel tentativo di illustrare il meccanismo di una pratica molto diffusa negli Usa in un film che si lascia vedere proprio per seguire la volontá di demistificazione di quel comportamento.
Didattico, in qualche misura, il film appena citato, come la produzione hispano-italiana De mayor quiero ser soldado (Da grande voglio essere un soldato) di Christian Molina girato in inglese con attori statunitensi (Danny Glover e Robert Englund in ruoli secondari), la partecipazione di Valeria Marini, e interpretato da Fergus Riordan, Ben Temple, Andrew Tarbet e Joe Kelly. Protagonista Alex, otto anni, con due amici immaginari: uno buono, l’astronauta; uno malvagio, il militare. Quando nascono due gemelli, Alex si sente trascurato. Riesce a farsi comprare una piccola Tv per la sua camera da letto. Dichiara il regista: un adolescente a diciotto anni avrà visto in Tv 40.000 omicidi e 200.000 atti di violenza. E l’influenza della Tv su Alex giá si vede a dieci anni quando rinunciando all’amicizia con l’astronauta segue le istruzioni del militare e a scuola si comporta da bullo. In evidenza la difficoltá dei genitori a educare il bambino in un mondo che esclude punizioni. Alex stringe amicizia con altri allievi violenti fino a quando la violenza gli si rivolterá contro.
Interessante il tema affrontato da Molina nel suo quarto film, ma va detto che l’intento didattico prevale sullo spettacolo.
Chiudo con un film 100% americano, Super di James Gunn, regista formatosi nella Troma di Lloyd Kauffman, che con vena comica affronta un tema molto caro agli statunitensi, il superuomo che si batte per riparare i torti. Il tema interessa anche i cinesi giudicando dal film in concorso qui e che si è giá visto anche a Venezia, Legend of the Fist: the Return of Chen Zen di Andrew Lau.
Super (Rainn Wilson), cuoco in un Fast Food, è sposato con una splendida cameriera (Liv Tyler). Quando uno sbandato che traffica in droga (Kevin Bacon) gli soffia la donna, lui che ha sempre amato le serie di superuomini alla Tivú, si allena e si compra una maschera per aiutare poveracci in difficoltá. Sará seguito dalla commessa di videoteca (Ellen Page) che lo ritiene autore di azioni eccezionali. Ottengono alcuni successi, ma ci vorrá del tempo prima di debellare la banda dell’uomo che gli ha sottratto la moglie. Volutamente comico, visto che il protagonista è un ciccione di improbabile successo, il film di Gunn fornisce un discreto passatempo.