Il mondo della musica è iper frammentato, titola una ricerca fresca di stampa commissionata dal Midem allaNielsen (consultabile a questo indirizzo previa registrazione). E sembra muoversi sempre più in direzione dello streaming/accesso a discapito del download/possesso, come del resto già evidenziato da numerose altre analisi e proiezioni. Il 26 % del campione sondato da Nielsen nel mese di settembre 2010 (26.644 persone residenti in 53 Paesi diversi) ha infatti confermato di ascoltare regolarmente musica in streaming via pc o cellulare; nello stesso periodo solo il 17 % ha effettuato un download legale di musica (la percentuale scende al 10 % per i download di album interi), mentre poco meno del 50 % continua a scaricare file audio abusivamente. La consapevolezza delle opzioni legali di streaming risulta particolarmente alta nei Paesi dell’area Asia Pacific (Giappone, Corea, Cina, India, Australia, Nuova Zelanda, ecc: 70 %), decisamente inferiore alla media in America Latina (46 %). Ma il vero problema, come ben sanno Spotify e le altre aziende che operano in qeusto settore, è quello di convincere i consumatori a passare gradualmente da un modello gratuito a uno a pagamento: il 57 % del campione dichiara di gradire la fruizione gratuita interrotta o “sporcata” dalla pubblicità, il 37 % dice di essere disposto a fornire certe informazioni personali in cambio dell’accesso gratuito ma solo il 22 % (tra coloro che hanno utilizzato un servizio di streaming nei tre mesi precedenti) afferma di essere disposto a pagarlo. A meno di ottenere qualcosa di più in cambio: ad esempio un accesso privilegiato all’acquisto di biglietti dei concerti degli artisti preferiti (soluzione indicata dal 25 % degli intervistati). L’altro grande rebus, come suggerisce il titolo della ricerca, è la frammentazione di un mercato dove “nessun canale di consumo online monetizzabile è utilizzato da più del 60 % del pubblico globale”. “Il consumo distribuito attraverso una miriade di canali”, sottolineano i ricercatori Nielsen, “significa problemi e potenzialità in eguale misura”. “Il modello unico non esiste più”, conclude il rapporto, “e l’idea di costruire un unico servizio in grado di offrire la consumer experience perfetta non è ancora realizzabile e potrebbe non funzionare (anche se un grande marchio con un prodotto attraente e una forte value proposition dimostra di poter costruire un modello dominante)”. L’esempio suggerito nella parentesi, non c’è bisogno di dirlo, riguarda laApple di Steve Jobs.