Cleptomani estivi

I grandi magazzini erano appena stati inventati, e già l’imprenditore Octave Mouret (nel romanzo di Emile Zola “Al paradiso delle signore”) ha una casistica sulle ladruncole. Alcune lo fanno per professione, e sono le meno moleste perché la polizia le conosce bene. Altre lo fanno “per mania, per una perversione del desiderio, una nuova malattia nervosa che un alienista aveva già studiato”. Le donne incinte si fissano su un oggetto: in casa di una di loro un poliziotto “aveva trovato 248 paia di guanti rosa”. Gli psichiatri confermano: ai tempi delle bottegucce di quartiere le cleptomani erano pressoché sconosciute.
In “The Steal: A Cultural History of Shoplifting” (Penguin Press), Rachel Shteir collega il furto nei negozi alla carriera del primo romanziere che scriveva per denaro. Moll Flanders di Daniel Defoe viene abbandonata a sei mesi da una madre che aveva sottratto tre pezze di pregiata tela d’Olanda a un mercante di Cheapside. Anche la figlia rubacchia, quando non riesce ad arrangiarsi in altro modo (“la povertà è deleteria per la virtù”, questa la sua ferma convinzione). Per entrambe il reato prevede la forca, poi trasformata in deportazione coloniale (Moll finirà in Virginia). Il furto era furto, allora, non semplice taccheggio da attrici che, come Winona Ryder, la mattina fanno acquisti con la carta di credito da Saks a Beverly Hills e il pomeriggio tornano lì per rubacchiare qualcosa. Peggior punizione toccò a Eva, secondo una guardia antitaccheggio intervistata da Rachel Shteir: “La prima femmina ad appropriarsi di roba non sua”.
Leggendo “101 Things You Didn’t Know about Jane Austen” di Patrice Hannon scopriamo (al punto 25) che nel 1799 anche una zia di Jane Austen – la ricca, cinquantenne e maritata Jane Leigh-Perrot – fu processata per aver sottratto varie spanne di merletto in una merceria di Bath. Fu assolta, evitando 14 anni di deportazione in Australia. La famiglia pensò a un complotto, ma era una cleptomane in anticipo sui tempi. Neanche un secolo dopo Octave Mouret – che un po’ si ritiene corresponsabile perché tenta le clienti con cascate di sete scintillanti, broccati e taffetà – colta sul fatto la sorella di un farmacista decide di sistemare la cosa senza scandalo. Stava arrivando la modernità.
Oltre alle squadre antitaccheggio, che cercano di far fronte ai 35 milioni di dollari perduti ogni anno negli Stati Uniti per “differenze inventariali” (questa la formula usata nei bilanci dei nostri grandi magazzini), Rachel Shteir ha frequentato le riunioni dei taccheggiatori anonimi e ha cercato rei confessi su Craigslist, prima di scoprirne molti altri appena raccontava la sua ricerca. Ha perlustrato le statistiche del “Global Retail Theft Barometer”, scoprendo che il più rubato in assoluto è il rasoio Gillette Mach 3, seguito da spazzolini da denti, dvd, batterie, biancheria con pizzi, bistecche. I nostri gestori di supermercati invece temono sopra ogni cosa i vecchietti: se no non si capirebbe perché gli adesivi per dentiere sono ormai circondati da una mostruosità antitaccheggio.
I libri fanno caso a parte. Per un volume antico i bibliofili sono disposti a uccidere, figuriamoci a rubare. Appropriarsi dei nuovi negli anni Settanta era considerato un diritto. “Steal this Book” fu il titolo scelto da Abbie Hoffman per il suo manuale sulla vita a costo zero. “La rivista più rubata nelle librerie britanniche”, era invece lo slogan pubblicitario di Granta, ora dismesso.
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