Antichrist di Lars von Trier e David Lynch

L'accostamento potrà sembrare azzardato, ma, mentre ieri sera guardavo "Antichrist" ho iniziato ad avvertire un'inconfondibile 'aria di famiglia'. Tenuta ferma la fisiologica distanza tra il nostro e l'umbratile regista danese, due spettri aleggiavano su tutti: Twin Peaks e Blue Velvet. Il primo per l'innesto della riflessione metafisica sul cinema di genere, per il ruolo della natura come incarnazione del Male - numerosissime le scene in cui si indugia sulle fronde degli alberi scosse dal vento, sui cupi presagi legati alle apparizioni delle fiere che popolano il bosco -, per l'ipersessualizzazione, anch'essa bestiale, del Male, sebbene la notoria misoginia del Danese ribalti i ruoli del maschile e del femminile, facendo di Willem Dafoe la 'damsel in distress' braccata dagli amplessi mortali di una Charlotte Gainsbourg ai limiti della ninfomania. La stessa scena della volpe parlante, comparsa dal nulla a dire "il caos regna", che tanto ha lasciato perplesso il pubblico di Cannes, poteva trovar posto senza troppi problemi nell'universo-Twin Peaks, insieme agli indizi del Gigante, al cavallo bianco nel bel mezzo del salotto dei Palmer, o al pomello di legno in cui si trova imprigionata l'anima di Josie Packard. Da notare che il film, girato in Germania, è ambientato nello stato di Washington.
A Blue Velvet invece mi hanno fatto pensare le dilatazioni di certo materiale organico che preparano la discesa agli inferi dei protagonisti: gli steli recisi e marcescenti della pianta nella stanza di ospedale dove è ricoverata Charlotte Gainsbourg, il proliferare mostruoso degli insetti poco al di sotto del primo strato di terra nelle scene girate nel bosco. Anche il furioso amplesso in cui Charlotte Gainsbourg implora di essere schiaffeggiata sembrava appena uscito dall'appartamento di Dorothy, ma per il momento lo prendo come una semplice coincidenza.