Intervista con Ezio Guaitamacchi sul set di "Delitti Rock"

Il noto giornalista e critico musicale Ezio Guaitamacchi ci parla del nuovo programma televisivo ispirato al suo libro,Delitti Rock (2010, Arcana). I misteriosi delitti del rock prendono forma e aspettano solo di essere risolti.
Finalmente dopo tanti rinvii iniziano su Rai 2 i “Delitti Rock”, sei emozionato?
Come sai sono in questo campo da un sacco di anni e l’emozione è passata (ride n.d.a.). Sono contento che finalmente vada in onda perché è stato fatto un grande lavoro, iniziato molto tempo fa. Operativamente ho fatto la prima trasferta londinese a fine gennaio scorso, prima di andare a New York e nella West Coast americana. Poi ci siamo trasferiti a Parigi ed in giro per l’Italia per la puntata su Tenco. In tutto, sono state realizzate una cinquantina di interviste esclusive, personaggi che abbiamo cercato ad hoc per ogni puntata, trovando qualcosa di veramente interessante ed inedito per quello che riguarda l’Italia.
Se non sbaglio, "Delitti Rock" è iniziato come un programma radio, qualche anno fa...
Si è vero, era iniziato come un’idea televisiva che poi ha avuto una gestazione molto lunga e complicata. Nel frattempo è diventato anche un programma radiofonico per la radio della Svizzera Italiana. Dopo l’uscita del libro ho riallacciato i contatti con RaiDue, e l’allora direttore Massimo Giuffredi ha molto apprezzato l’idea. Da lì il progetto si è sviluppato anche sul fronte televisivo.
Come è stato l’approccio nel riadattare il libro alla tv?
Rinaldo Gaspari, regista del programma televisivo, ha fatto un lavoro estremamente importante. Ha condiviso con me tutti i contenuti delle storie e ha trovato il modo migliore per renderle nel linguaggio televisivo migliore. Ogni cosa è stata curata nel minimo dettaglio, dall’atmosfera teatrale in studio dove si muove Massimo Ghini, narratore di queste storia, ai miei interventi in ogni puntata dalle scene del crimine.
In pratica sei l’inviato speciale...
Faccio un pò di tutto, l’autore, l’ideatore, l’inviato speciale, l’intervistatore e mi trovo nei luoghi dove si sono svolti i fatti: davanti al Dakota Building di New York per la puntata su John Lennon, piuttosto che a Londra di fronte alla casa dove è morto Jimi Hendrix. Incontro personaggi che erano, o presenti ai fatti, o che hanno studiato approfonditamente i casi. Per ogni puntata in studio c’è un ospite italiano, il quale ha avuto un legame diretto con il personaggio protagonista della storia. In più, ci saranno musicisti italiani, scelti per la loro esplicita ammirazione verso le varie leggende che suoneranno brani cover in omaggio agli artisti.
Parlavi della scenografia teatrale; la versione in teatro di "Delitti Rock" continuerà?
Sì, sì, c’è ancora, ma è una cosa diversa. Lo spettacolo teatrale isola quattro storie oggi ancor più famose dopo la vicenda di Amy Winehouse: il famigerato “Club J27”. Musicisti morti a 27 anni, tutti con una J nel nome: Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin e Brian Jones.
La rappresentazione teatrale parte dal giorno dei funerali di Jim Morrison e va a ritroso analizzando i possibili legami tra i vari personaggi. Nella finzione teatrale sono un critico musicale americano, forse il primo giornalista musicale della storia, Ralph J.Gleason, e racconto come se fossi un protagonista di quelle vicende.
L’ultima morte celebre che ha stravolto il mondo della musica e dei media è quella di Kurt Cobain. A circa vent’anni da quel giorno il mondo è notevolmente cambiato, e davanti la perdita di Amy Winehouse mi è sembrato tutto molto asettico. Come l’hai vissuta la sua morte?
Diversamente da Kurt Cobain, Amy Winehouse è un altro tipo di artista, è un artista pop, quindi non ha certamente nessun legame con quello che è un discorso generazionale, culturale, storico e geografico come il leader dei Nirvana. Entrambi hanno avuto una personalità molto fragile, problemi di droga e vite sentimentali difficili: quindi vedo analogie nella figura umana, certamente molto meno che nella figura artistica. Amy Winehouse è stata una pop star, quindi rimarrà la sua storia legata al contesto socio culturale che l’ha prodotta.
In questi mesi di globalizzazione impazzita e davanti a questa implosione del sistema, dici che c’è qualche forma di rock che può salvarci?
Il rock può aiutarci a vivere meglio, come qualsiasi forma ed espressione artistica; del resto la funzione dell’arte è quella di farci riflettere e pensare. Non so se sarà il rock, perché con i suoi oltre sessant'anni penso ci abbia già dato molto, ma sono fiducioso sul fatto che ci saranno forme d’arte che continueranno a far elevare gli uomini a valori e a stati d’animo più gratificanti. Di questo ne sono certo, al cento per cento.
Degio De Giorgis