Si sciolgono i R.E.M. "E' il momento giusto"

Il frontman Michael Stipe: "Grazie a chi si è sentito toccato dalla nostra musica per 31 anni, ma tutte le cose hanno fine"
PIERO NEGRI
A fan e amici: come R.E.M. e come amici di una vita e cospiratori, abbiamo deciso di mettere fine ai R.E.M. Ce ne andiamo con una grande senso di gratitudine, di definitività e di stupore per i risultati raggiunti. A tutti quelli che si sono sentiti toccati dalla nostra musica, il nostro più sentito ringraziamento per averci ascoltato». R.E.M.
Tra le ripetizioni e l’inglese involuto e molto personale, così simile ai testi firmati da Michael Stipe, da sempre voce e volto del gruppo, si sente un’emozione forte, la stessa che provano i numerosi appassionati della band. Con i R.E.M. se ne va un’epoca, per una volta non è retorico dirlo. I ragazzi che si incontrarono nel 1980 nella città universitaria di Athens, in Georgia, hanno attraversato da protagonisti gli Anni Ottanta, hanno fatto la storia della musica rock degli Anni Novanta e nell’ultimo decennio hanno gestito il proprio declino senza mai perdere, neppure in parte, il rispetto di chi li aveva amati.
Ieri, sul sito ufficiale, che loro chiamano «Quartier generale», si sono autointervistati per spiegare le ragioni di questa scelta, improvvisa ma non del tutto inattesa. Mike Mills, il bassista, racconta: «Nel corso dell’ultimo tour, ci chiedevamo spesso: “E ora?”. Siamo sempre stati un gruppo nel vero senso del termine. Fratelli che si amano e rispettano. Ci sentiamo pionieri in questo: non ci sono contrasti tra di noi, né disaccordi, non ci sono avvocati coinvolti. Abbiamo preso la decisione insieme, in amicizia, avendo a cuore gli interessi degli altri. È semplicemente il momento giusto».
Michael Stipe, il cantante, commenta così: «Un saggio una volta disse: “A una festa, ciò che è veramente difficile è sapere quando è il momento di andarsene”. Insieme, abbiamo costruito qualcosa di straordinario. L’abbiamo fatto, e ora è il momento di lasciare. Spero che i fan capiscano che questa non è stata una decisione facile, ma anche che tutto finisce, prima o poi, e che noi volevamo fare la cosa giusta, e farla a modo nostro».
Peter Buck, il chitarrista, getta lo sguardo nel futuro, ricordando anche Bill Berry, che lasciò il gruppo nel 1997, e Bertis Downs, il manager che nella loro storia vale quanto un componente della band: «Mike, Michael, Bill, Bertis e io ci separiamo da grandi amici. So che ci incontreremo in futuro, proprio come so che continuerò a vedere chi ci ha seguito e sostenuto negli anni. Anche se sarà soltanto tra i banchi che vendono i dischi in vinile nel negozio locale oppure al fondo del club in cui ci troveremo ad ascoltare un gruppo di diciannovenni che tentano di cambiare il mondo».
Per una volta, sembra tutto vero, tutto lineare. Semplicemente, la scintilla non c’era più. Sono anni (e almeno due album) che le canzoni del gruppo avevano perso quel carattere leggermente eccentrico, sempre un po’ straniante, che avevo reso il loro pop così originale, che l’aveva inciso nel cuore e nella mente di un paio di generazioni di appassionati.
Troppo poco cinici per tirare a campare come Rolling Stones qualunque, troppo eclettici per limitarsi a gestire un marchio di successo, potranno dedicarsi ai loro molteplici interessi: Stipe potrà darsi anima e corpo alla produzione cinematografica, Buck alle sue mille collaborazioni musicali, Mills forse potrà provare a cantare, come gli è capitato di fare in passato. Hanno tutti poco più di 50 anni, e un futuro tutto da scrivere.