Bari - A 'Frontiere' Antony Hegarty quando l'emozione si fa evento

“Frontiere”, dopo avere invitato musicisti per conferenze e incontri sul cinema d’autore, a porte chiuse ha voluto concedere qualcosa che andasse oltre, oltre la scadenza prevista della manifestazione, oltre i temi trattati: un salto nella grande musica fatto con stile e con lo sguardo fermo alla cultura. A Gianluigi Trevisi è stata affidata la direzione artistica per un concerto che andasse in ogni caso “oltre Frontiere”. Il 1° ottobre al Teatro Petruzzelli.
Ed è stata così la prima volta a Bari di Antony Hegarty, un cantautore emergente della scena mondiale, un cantante e un autore di nicchia capace di innovare e di riscrivere poesia e romanticismo in chiave musicale. Dotato di una straordinaria sensibilità squisitamente femminile (dovuta anche alla sua “diversità”), e di una voce dalle calde modulazioni, con un particolare vibrato baritonale, l’artista compone delle song molto intime, accorate, introverse, che ben si prestano ad essere eseguite con l’accompagnamento di un’orchestra sinfonica. E così è stato: nel progetto è stata coinvolta l’orchestra del Petruzzelli.
Vale la pena di spendere due parole di presentazione su questo personaggio: nato nel 1981 in Gran Bretagna si trasferisce negli U.S.A. ancora bambino: nelle orecchie ha ancora il synth-pop britannico. A 18 anni respira già l’aria di N.Y. city incentrando la sua ricerca espressiva sull’identità. Dopo avere conseguito la laurea in Teatro Sperimentale ed alcune esperienze teatrali e musicali, nel 1995 fonda il gruppo The Johnsons, ispirato a Marsha P. Johnson, il travestito che aveva fondato una casa di accoglienza ed era poi morto tragicamente. Finora Antony ha pubblicato quattro cd che hanno riscosso un grosso successo presso un pubblico elitario e raffinato. La critica è entusiasta. Sono innumerevoli le sue collaborazioni con artisti che mostrano affinità con il suo sentimento e la sua voce: Lou Reed, Boy George, Laurie Anderson, Yoko Ono, Bjork, Philip Glass, e i nostri Battiato ed Elisa. E se vogliamo provare meglio a definire la sua identità, sicuramente dobbiamo citare Marc Almond, Jeff Buckley, ma anche Bob Wyatt e David Sylvian.
Il concerto.
Sul palco del Petruzzelli l’atmosfera è lunare con dei parallelepipedi spettrali, irregolari e senza basi, che piovono dall’alto. I musicisti sono vestiti di bianco. Tutti! Anche il direttore, il giovanissimo Nico Muhly. Tra le prime file del pubblico siede Franco Battiato, che aveva tenuto una conferenza nel pomeriggio. E poi eccolo, Antony, l’androgino neoromantico dai lunghi capelli, in tunica dai colori tenui: attacca la delicata e sofferta “Rapture” e poi quel gioiello di “Cripple and the Starfish”. L’introduzione desolata del violino, il controcanto del piano, la voce aliena con gli archi che cullano fino al crescendo finale. Il pubblico c’è, con una presenza rispettosa e consapevole. Antony sa coniugare poesia e musicalità delle corde vocali, mantenendo una sorta di sorriso sereno; ma il messaggio che traspare è quello di una innocenza e di una purezza singolari. C’è come un candore assoluto: si percepisce in “I Fell in Love with a Dead Boy”, struggente e teatrale, e in “The Spirit Was Gone”, una nenia dalle emozioni vibranti.
Poi Antony siede al pianoforte e attacca “Swanlights”: non introversioni esasperate, ma il punto d’incontro fra pathos e lirismo. Come in “Salt Silver Oxygen” che ha l’immediatezza di un pop da camera. Ma non è finita: “Snowy Angel” è un affresco fiabesco e suggestivo, “Cut the World” coglie i movimenti dell’anima, il dolore e la speranza dell’umanità. “Another World” è il capolavoro: il pubblico è ammutolito e stupefatto, la voce è di una leggerezza vicina al sussurro; “The Crying Light” (luce che lacrima) apre all’uomo, all’universale, alla spiritualità per trasformare ciò che è nascosto in noi in qualcosa di luminoso. E poi arriva “You Are My Sister” a toccare le corde dell’anima in profondità, laddove sono più fragili e sensibili.
Il concerto finisce, con Antony che si schermisce, che applaude in ginocchio l’orchestra, che accetta un omaggio floreale, che concede infine un bis al pianoforte: e dal nulla prende forma e suono “Hope There’s Someone”, una ballata sulla paura della morte e della solitudine, una ricerca dell’altro, una preghiera di speranza.





Il 3 si replica a Roma al Parco della Musica.
“Ho bisogno di un altro mondo dove ci sia pace, dove io possa andare: ho ancora molti sogni che non hanno mai visto la luce”. (“Another World)
Gianfranco Morisco