O meglio: incompetenti, sventurate, fricchettone. Quelle che i figli possono criticare poi facilmente (c’entra qualcosa il fatto che lei
è nata da Jane Birkin e dal mitico Serge?). Quelle presenti nel nuovo film diLars von Trier, una saga intergalattica sulla fine del mondo
di Angelique Chrisafis - foto Matthew Brookes
Charlotte è seduta al tavolino del bar di un albergo parigino. Sta cercando di capire per quale ragione i suoi figli, un giorno, potrebbero detestarla. Perché per lei, la star più autocritica di Francia, è scontato che la detesteranno. «C’è sempre un motivo per cui rimproverare i tuoi genitori», riflette ad alta voce. «È normale. Vedo già che cosa avranno da ridire. Preferisco anticipare il lato negativo, piuttosto che ricevere uno schiaffo in faccia poi».
Charlotte Gainsbourg, 40 anni, è affascinata dai cattivi genitori. «Mi piacciono le madri cattive», dichiara. Quello che vuole dire è che le piace interpretare madri incompetenti, sventurate o fricchettone, che può esorcizzare con un lieto fine. Donne che si rendono conto dei propri errori e accolgono tra le braccia la loro prole disastrata. Melancholia (vedi recensione a pag. 112), il suo secondo film con l’eccentrico autore danese Lars von Trier, è una saga intergalattica da fine del mondo, che ha tra gli interpreti Charlotte Rampling nei panni di una delle madri più atroci mai apparse sul grande schermo. Charlotte Gainsbourg è la sorella maggiore più assennata che cerca di fare i conti con la depressione della minore, un ruolo che non prevedeva alcun elemento legato alla maternità; così l’ha introdotto lei, sviluppando e districando nel film la relazione nevrotica con il suo bambino. A un certo punto, cerca di salvare dalla fine del mondo il figlio insonnolito, ancora in pigiama, facendolo scappare su una macchina per i campi da golf. «Gli errori delle persone sono più interessanti delle loro qualità», riflette.
A questo punto è naturale domandarsi quanto Charlotte odi i propri genitori. Lei è la figlia dell’ultimo bohémien di Parigi, Serge Gainsbourg, e della sua musa, Jane Birkin. Li ricorda rientrare a casa dai nightclub mentre lei si preparava ad andare a scuola. Accenna a quanto sia difficile per qualunque bambino fare i conti con un padre alcolista e affrontare il divorzio dei genitori. Ma insiste di non averli mai odiati e di avere avuto «un’infanzia molto felice».
Venti anni fa, Gainsbourg moriva a 62 anni: la passione per le Gitanes e l’alcol gli erano costati un attacco cardiaco fatale: Charlotte non è riuscita a uscire dalla sua ombra. Attrice, e più di recente cantante, ha smesso di provare a scrollarsi di dosso l’etichetta di Gainsbourg. Ma se la Francia la vede sempre come un’eterna adolescente, lei sa che non è mai riuscita a fare i conti con il dolore per la perdita del padre.
Con la sua famiglia sta ripetendo lo stesso cliché: sposata con l’attore-regista Yvan Attal (con lui ha girato la commedia Mia moglie è un’attrice, che giocava sul loro rapporto nella vita reale), si trova ora al centro dell’attenzione del gossip, il che rimanda all’immagine dei suoi genitori inseguiti dai reporter in ogni angolo del mondo. Negli ultimi anniCharlotte Gainsbourg ha portato più volte in tribunale testate francesi, colpevoli di ficcare il naso nella sua vita privata, speculando sulla fine del suo matrimonio. La coppia ha già due figli, Ben e Alice, 14 e nove anni; la terza, Joe, nata in estate, ha placato un po’ le voci. Ma non spento i riflettori che sono perennemente puntati su di lei.
Charlotte ha esordito come ragazzina prodigio, aggiudicandosi un premio in Francia, a 13 anni, per la sua brillante interpretazione nel filmSarà perché ti amo? di Claude Miller. Sempre alla stessa età ha incisoLemon incest con suo padre, di cui è stato registrato anche un video che li riprende insieme su un letto. Ha dichiarato di essere stata contenta di trovarsi in collegio, all’epoca della sua uscita, risparmiandosi lo scandalo che ne seguì.
A più di 25 anni dal suo esordio, diffida ancora delle interviste, che parodiava brutalmente in Mia moglie è un’attrice. C’incontriamo nell’ultimo rifugio parigino dell’attrice: il bar di un albergo sulla Rive Gauche, non distante dal suo appartamento in Saint-Germain-des-Prés. È seduta a un tavolino sul retro, dietro a una spessa tenda grigia. Per rompere la monotonia, le propongo di parlare in francese. Gainsbourg è perfettamente bilingue, ma nel suo caratteristico stile autodenigratorio spesso dice di non trovarsi perfettamente a suo agio con l’inglese. A casa si esprimeva in francese: suo padre non parlava inglese e Jane Birkin non voleva creare un linguaggio segreto tra lei e i ragazzi. Lo strano e meraviglioso inglese di Charlotte, colto e senza inflessioni, deriva dalle lezioni prese per uno dei suoi primissimi film, Il giardino di cemento.
Gainsbourg sa che l’interesse verso di lei è legato ai suoi genitori. «Ne sono orgogliosa», dice. «Ma è anche un peso. Non posso mai comportarmi come se i miei genitori non esistessero, perché c’è sempre qualcosa che mi rimanda a loro».
Quest’anno è andata ancora peggio, perché in Francia ci sono state imponenti manifestazioni di commemorazione per il ventesimo anniversario della morte di suo padre. Le chiedo se ha trovato un po’ di felicità o conforto nel pianto collettivo. «Non c’ero. Ho lasciato la Francia apposta. Stavo girando un video musicale a Los Angeles e sono rimasta là. Sono molto contenta che la gente l’abbia celebrato, ma io non posso celebrare la sua morte, mi parrebbe quanto meno singolare».
La casa di suo padre in Rue de Verneuil, a Parigi, è chiusa, conservata così come l’ha lasciata lui. Aveva dipinto le stanze di nero, non aveva specchi che potessero riflettere i suoi lineamenti da rettile e sistemava gli oggetti con una tale precisione, che lui stesso definiva il luogo un “museo”. Una volta Jane Birkin si è lamentata di non poter toccare nulla. Per 15 anni Charlotte ha combattuto con le autorità francesi per trasformare la casa in un museo. Ma ora ha abbandonato il progetto.
«Davamo tutto: così voleva lui, la gente sapeva tutto della sua vita, anche le cose più intime. Mi sono resa conto che potevo tenere un po’ segreta solo questa casa, anche se la gente sa che cosa c’è dentro perché ci sono numerosissime fotografie. Non riesco ad andare sulla sua tomba, al cimitero di Montparnasse, perché c’è sempre gente. Perciò è diventato importante per me tenere la casa in Rue de Verneuil. So che è bizzarro: sto tenendo una casa fantasma, come se lui fosse ancora lì. Mi rassicura sapere che esiste».
Gainsbourg è rimasta prigioniera della stessa battaglia tra pubblico e privato che dovette affrontare il padre. Quando, nel 2007, fu costretta a sottoporsi a un intervento chirurgico per un’emorragia cerebrale, seguita a un incidente sugli sci, era preoccupata che qualcuno potesse fotografarla in ospedale con la flebo al braccio. Quando suo padre ebbe il primo attacco cardiaco, intorno ai 40 anni, venne trasportato in barella da casa sua e chiese agli infermieri di prendere una coperta di cachemire dalla sua camera da letto, per il timore che quella rosso-arancio non andasse bene, nel caso fuori ci fossero stati i fotografi ad aspettarlo.
«I miei genitori ci hanno sempre coinvolto nello spettacolo, scattavamo un mare di fotografie per i giornali», dice. «Ma quando i miei si separarono fu terribile: i paparazzi ci seguivano ovunque. Vivevo in albergo con mia madre. Ci capitava di trovare i fotografi in ascensore o nascosti tra gli alberi. Ho visto mia madre reagire con forza, avviare cause legali. Ho imparato da lei che hai diritto a una vita privata».
È facile cadere nella tentazione di scorgere l’ombra di suo padre nel rapporto tra Charlotte e von Trier. Ammette che all’inizio era disposta a tutto per compiacere il regista e che era molto lusingata di lavorare ancora con lui.Poi, al Festival di Cannes, Charlotte era presente alla conferenza stampa di Melancholia, durante la quale von Trier ha provocatoriamente dichiarato di simpatizzare con Hitler: era abituata alle eccentricità del padre, che bruciò soldi davanti alla tv e realizzò una versione reggae dell’inno francese, ma le battute sui nazisti sono state eccessive, anche perché Serge Gainsbourg era figlio di ebrei russi, costretti a portare la stella gialla in tempo di guerra. Charlotte non è intervenuta nella polemica che ne è seguita. In Antichrist era la personificazione della depressione dello stesso von Trier. In Melancholiaè Kirsten Dunst che interpreta quella parte.
In ogni caso, Von Trier non potrebbe mai torturarla quanto riesce a fare lei: «Non mi avvicino mai a una parte in modo sereno. È come se cercassi qualcosa che mi faccia star male». È naturale pensare che, dopo aver corso il rischio di morire, abbia vinto il desiderio di autopunirsi. Non è così: è tornata all’autocritica spietata. «Ci sono troppe cose di me che non mi piacciono. Ma non significa che io sia negativa» dice. «Sulla bilancia, però, pesano più di quelle che mi piacciono. Sono contenta quando mi dicono che sono stata brava. Io però vedo molti errori. E sono ambiziosa: questo ti permette di raggiungere risultati migliori».
(Traduzione di Stefano Stogl).
