Gli Stones, le ragazze e gli anni '70 Wood: "I veri punk eravamo noi"


Il 21 novembre torna nei negozi "Some Girls", il disco del 1976, con dodici brani inediti. Il chitarrista che sostituì Mick Taylor racconta come nacque quell'lp. E giura: "Ora sono sobrio. Penso a un lavoro con il gruppo di Amy Winehouse"
GIUSEPPE VIDETTI
Ha la faccia di un Cristo sofferente. I solchi profondi e le mille rughe lo fanno assomigliare alla maschera di Keith Richards. Ma lo spirito di Ron Wood non è segnato come il fisico. Magro, magrissimo, si agita sul divano come un quindicenne che racconta precoci prodezze sessuali. 
Le ossa scricchiolano, la memoria fa cilecca, cerca di richiamare i ricordi schioccando le dita. Poi si arrende: "Cazzo, ho 64 anni! Il fatto è che io mi sono fermato a 29, poi ogni tanto arriva questa maledetta sciatalgia... e allora m'incazzo, perché dentro mi sento un ragazzino". 
La sua seconda vita iniziò trentacinque anni fa, quando diventò il chitarrista dei Rolling Stones, invitato personalmente da Keith Richards a rimpiazzare Mick Taylor. Era il 1976, la band si apprestava ad entrare in sala per incidere Some girls, l'ennesimo album dell'ennesima svolta. Un momento delicato per i gruppi storici; il punk stava aggredendo la scena rock. "Basta con Beatles e Rolling Stones, sono dinosauri!", blaterava Johnny Rotten dei Sex Pistols. Invece con quel disco Jagger & Richards dimostrarono che non solo erano capaci di aggredire, ma di sbaragliare qualsiasi concorrente.
Il prossimo 21 novembre Some girls (che contiene classici come "Miss you" e "Beast of burden") tornerà sul mercato in una ristampa di lusso che contiene undici inediti ripescati dall'archivio della band dal produttore Don Was. "È una pietra miliare", si esalta Wood. "Suonammo tutto dal vivo, con l'aggressività e la freschezza di una band di adolescenti. Eravamo noi i veri punk".
Il chitarrista aveva cominciato a collaborare con gli Stones nel 1974 - quando era ancora con i Faces - nell'album Black and blue. Tra lui e Keith la sintonia fu immediata, stessa passione per il blues, per le giovanissime, per le droghe. Con la differenza che Wood viveva da salariato e accumulava debiti - solo dopo diciassette anni sarebbe diventato legalmente un Rolling Stone, "quando all'improvviso, con il pagamento delle prime royalty, mi resi conto che stavo guadagnando cento volte di più. Ma chi pensava al denaro allora? Il 1977 era un periodo particolare per la band: Keith era stato arrestato in Canada per possesso di stupefacenti e per lui era più che mai importante tornare a lavorare e dimostrare che poteva produrre con la stessa creatività di un tempo e io pensavo solo a non far rimpiangere Taylor". 
Era già un chitarrista in carriera, protagonista di prestigiose collaborazioni con Jeff Beck e Rod Stewart. Aveva esordito nel gruppo dei Birds a 17 anni, quando Londra era la capitale rock del mondo. "Lavoravamo come dei pazzi, in giro per l'Inghilterra e la Germania con un van sgangherato che era diventato la nostra casa", ricorda.
"A volte non avevamo neanche i soldi per mangiare. Nel periodo natalizio andavamo a tutti i party organizzati dalle case discografiche per fare il pieno di cibo e di alcol. Ci ripagavano l'entusiasmo e la rivalità amichevole con le altre band: Small Faces, Pretty Things, Spencer Davis Group, una grande famiglia". 
Poi entrò nei Faces e al fianco di Rod Stewart divenne una star. "Con Hendrix divisi per qualche tempo un appartamento a Holland Park - la zona dove ancora abito - che ci aveva lasciato la cantante P. P. Arnold. Jimi suonava come se fosse nato con la chitarra in mano, con la destra, con la sinistra, coi denti...". 
Fu corteggiato da Janis Joplin, fraternizzò con Eric Clapton negli anni in cui il chitarrista cercava di farla finita con l'eroina, collaborò con Dylan e Aretha. Tanta gloria, eppure nel 1976, dopo più di dieci anni di diligente militanza nelle file del British rock, Wood sbottò: "È molto facile diventare un bastardo in questo lavoro". Spiega: "Avevo avuto cinque o sei manager che mi avevano letteralmente derubato. Mi ritrovai senza un soldo. Gli sciacalli della musica avevano vita facile con sprovveduti come me. Facevano bene Chuck Berry e Bo Diddley a farsi pagare cash e a filar via con l'incasso della serata nascosto nella la custodia della chitarra". 
Dei disastri parla con la stessa franchezza dei trionfi. Come potrebbe nasconderli? Ce li ha scritti in faccia. Con i quattro figli si è rappacificato dopo il divorzio da Ekaterina Ivanova, una diciottenne con la quale era "inciampato" in un club londinese. Ora giura di essere sobrio e di aver ritrovato una certa stabilità con la brasiliana Ana Araujo. "È stato Damien Hirst (l'artista di Bristol) a salvarmi la vita l'ultima volta", confessa. "È venuto a prendermi in Olanda, ero a pezzi, mi ha letteralmente costretto ad entrare in un centro di riabilitazione. Ora sono sobrio, sto mettendo su una nuova casa, seguo le mostre dei miei quadri in giro per il mondo. Ormai sono io che dico agli altri: ragazzi che si fa? non vi sembra l'ora di tornare a lavorare? Il più scettico è sempre Mick. Dice: siamo sicuri che il mondo ha bisogno di un altro disco degli Stones?". 
La pittura non è più soltanto un'attività secondaria. Uno dei suoi quadri è stato venduto per un milione di dollari, ma il denaro nelle sue mani si squaglia. "Per me è sempre stata una cosa spirituale, un percorso di guarigione, parallelo alla folle vita del rock. È l'unica cosa che riesco a fare in solitudine. La pittura è un'ancora di salvezza, la mia buona stella". 
Paura d'invecchiare? Scoppia in una risata acuta, quasi isterica. "Nooooo. Sono stato al matrimonio di Paul McCartney qualche settimana fa, lui è più vecchio di me, ma ancora in gamba. Mi ha preso da una parte e mi ha detto: "Ron, dovresti fare qualcosa col gruppo di Amy Winehouse, ti adorano". Mi ha dato un'idea, li ho già contattati".