di Simona Orlando
ROMA - A sbancare la diciottesima edizione degli Ema, gli European Music Awards, è stata Lady Gaga, prevedibilmente: trionfa nella categoria Miglior Artista Femminile, in quella Biggest Fan, per la Miglior Canzone e per il Miglior Video con Born this way. Un poker che non ha lasciato partita ad Adele, l’altra favorita, bravissima, il fatto che non abbia guadagnato neppure un riconoscimento dà la misura di quanto la vittoria, in questo contesto, sia decretata solo dalla fedeltà elettorale dei fan.
Miss Germanotta si presenta vestita in modo complicato, indefinibile, prima avvolta in una chiocciola argentata e con maschera nera, si esibisce in cima alla luna su Marry the night, poi ritira il terzo premio in una specie di grammofono ambulante, in lacrime e singhiozzi, il quarto acclamata allo sfinimento dalla sua folla di mostriciattoli.
L’altro a fare bottino è stato, ancora più prevedibilmente, il teen idol Justin Bieber con due premi, come Miglior Artista Maschile e Best Pop, oltre alla speciale menzione Voices Awards per il suo impegno sociale, sebbene in questi giorni sia finito al centro del gossip globale per essere il presunto baby-padre di un figlio avuto con una fan.
Bruno Mars incassa sia il Best Push sia il Best New, i 30 Seconds To Mars vincono il Best World Stage e il Best Alternative, il Best Hip Hop va ad Eminem, il Best Rock ai Linkin Park, il World Wide Act ai coreani Big Bang.
Il Miglior Live è di Katy Perry, che supera signori della musica dal vivo come Coldplay, Foo Fighters e Red Hot Chili Peppers, e basta guardare l’esibizione live di questa band losangelina per capire quanto i premi siano poco rappresentativi della realtà. A vederli sul palco sembrano alieni atterrati in una discoteca di lustrini, fiamme e paillettes, e per qualche minuto si torna a ragionare. Le altre esibizioni sono state di Jessie J, LMFAO, Snow Patrol, David Guetta; la partenza esplosiva con Coldplay, la chitarra di Every teardrop is a waterfall suonata come fosse una cornamusa, perfetta per l’atmosfera irlandese, e un Chris Martin energico, più interessato a muoversi e a divertirsi che a perdersi dietro l’intonatura perfetta, mentre la chiusura è stata affidata ai Queen con un medley di The show must go on, We will rock you e We are the champions. La band ha ricevuto il Global Icon Award, a quarant’anni dalla nascita, con la motivazione di aver influenzato generazioni di musicisti e il chitarrista Brian May ha ringraziato Belfast «che sta mostrando tutta la sua bellezza e l’inizio di una pace vera», in effetti la città per la prima volta è rimbalzata sulla stampa internazionale per questioni musicali e non politiche.
A condurre la serata Selena Gomez, la diciannovenne lanciata da Disney Channel, con tre dischi all’attivo, padrona di casa composta, sciolta, e abbastanza coperta, un pudore a cui ha fatto da contraltare l’incursione sul palco di un uomo completamente nudo, con attributi in bella vista, tanto per dare un tocco di sterile trasgressione che in fondo non sconvolge nemmeno un pubblico di adolescenti. Infine un tributo a Amy Winehouse, «la migliore cosa che sia capitata nell’industria musicale» e che agli Ema di Monaco, nel 2007, c’era eccome, a cantare la sua splendida Back to Black.
Nel frattempo i critici musicali Craig Marks e Rob Tannenbaum pubblicano il libro I want my Mtv, una raccolta di circa quattrocento interviste fatte agli artisti durante il periodo d’oro del canale, tra il 1981 e il 1992, quando non si aveva esperienza dell’industria televisiva, l’offerta musicale era comunque superiore a quella estetica, quando esistevano i memorabili concerti Unplugged e ci si poteva ancora godere qualche stralcio di selvaggia spontaneità.