Miss Amy Winehouse & Valerie

Miss Amy Jade Winehouse, come amava farsi chiamare. Semplicemente con il suo nome, nessuna aggiunta o modifica posticcia a quelle semplici tre parole che hanno rivoluzionato il mondo della musica in pochissimi anni.
Sono mesi, in effetti, che volevo aggiungere qualcosa su questa figura, particolarmente significativa per me. Non volevo rovinare tutto, sull’onda dell’emotività per la sua precoce morte. Perciò la farò breve.
Ho sempre apprezzato due cose di Amy Winehouse, oltre ovviamente ad amare follemente le sue canzoni. Pur essendo lontana dallo stereotipo di femme fatale, la Winehouse nascondeva un fascino estremo, di grande presa sul sottoscritto. Prima della sua dipartita, molti commentavano (ricordo un articolo dell’inutile The Sun) che non possedeva un briciolo di femminilità. Io credo, al contrario, che riuscisse a mostrare il più alto livello di carisma femminile nel momento in cui prendeva un microfono in mano ed esprimeva al meglio quel che provava, tramite le sue canzoni. Qualcosa del genere ha detto perfino in un recente documentario – tributo di MTV (vedi sotto).
Il suo modo, apparentemente goffo, di ballare cercando di gestire diversi centimetri di tacco continua a farmi impazzire. Sintomo di una ragazza abituata più a chiacchiere e bevute con gli amici, piuttosto che ad occasioni mondane.
Una semplicità proverbiale che mai avrebbe perso nel corso della sua storia, accompagnata da una dissacralità disarmante.
Come ebbe a dire Mark Ronson, suo amico e produttore: ‘Quando venne da me la prima volta, mi avvertirono che non aveva peli sulla lingua: o la si ama o la si odia.’ Credo lo stesso effetto faccia sui fan.
L’altro lato che più mi affascina della Winehouse è l’impianto delle sue canzoni, ponte tra sound moderno e il tradizionale jazz n soul. I suoi testi non sono parole inserite in musica nella speranza di avere un qualche minimo di coerenza; bensì sono confessioni autobiografiche allo stato puro. Non serve il minimo sforzo per capire che quella ragazza di cui canta, a volte smarrita a volte determinata, è la stessa Amy. Un connubio di forze singolari che hanno trovato la loro tragica fine la scorsa estate, in uno dei giorni più tristi della storia musicale britannica e non solo.
Potrei citare miriadi di canzoni stupende (dalla celeberrima Back to Black, alla profetica You Know I am no Good, passando dalla consolatoria Tears dry on their Own). Eppure, sento che l’esibizione che più contiene la quintessenza di Amy Winehouse resta Valerie, magnifica espressione della sua potenza vocale con Mark Ronson in occasione dei Brits Awards 2008. Nonostante siano passati 3 anni, resta un capolavoro di presenza scenica, passione e poderosa voce.