Parola di Madonna, che nel suo secondo film da regista, W.E., racconta di Wallis Simpson, «l'americana strana e innamorata che sconvolse un impero e finì sotto osservazione per la sua vita privata»
Quanto mi piacerebbe sapere che cosa, davvero, passa per la testa di Madonna. Quali pensieri stanno dietro lo sguardo tagliente, se quella postura così composta è un gesto di scena o frutto di una disciplina dell’apparire a lungo coltivata. L’intervista è stata breve e ci siamo concentrate soprattutto su W.E., il suo secondo film da regista, da lei anche scritto e prodotto (uscirà in Italia a febbraio con il titolo Edward e Wallis - Il mio regno per una donna), eppure sono uscita da questo incontro con una certezza: Madonna riesce a convincere sempre l’interlocutore di non essere lì per caso, da quasi trent’anni, su quel suo specialissimo piedistallo di icona assoluta, qualunque cosa si metta in mente di fare.
Presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, maltrattato dai critici, anche perché sorvola un po’ troppo sui rapporti dei Windsor con il Nazismo, Edward e Wallis ha portato a casa già due nomination ai Golden Globe. Nomination minori (per la colonna sonora e la canzone dei titoli di coda, Masterpiece) e qualche relativa polemica.
So che non le piace mai rivangare il passato, ma questa è un’occasione per ripercorrere un po’ il suo rapporto con il cinema. Ci sta?
«Va bene. Dall’inizio, eh? Dunque, non sono stata una ragazzina che andava molto al cinema né che aveva fissazioni per attori o attrici. Solo negli anni dell’università ho cominciato a subirne il fascino. Mi colpirono i grandi registi europei, soprattutto. Mi sono formata un gusto estetico, se così si può dire, guardando Fellini e Antonioni, Godard e Malle. Ma non avevo il sogno di recitare o di dirigere».
Poi, però, da cantante ha cominciato a lavorare come attrice.
«Sì, ed è stato a quel punto che il mio rapporto con il cinema è cambiato. Osservavo come funzionava la macchina della realizzazione di un film, ma mi sentivo sempre troppo poco coinvolta. Così l’idea che, un giorno, avrei diretto un mio film, l’ho sempre avuta».
Perché ha aspettato di compiere 50 anni per farlo?
«Non mi sentivo mai pronta, ero nervosa e intimidita dalla difficoltà dell’impresa. E, per di più, sapevo benissimo che la gente avrebbe giudicato con ben altri criteri un mio film, rispetto a come si prende normalmente in considerazione un regista alla sua opera prima».
Ma perché proprio la storia di Wallis l’ha colpita?
«Un po’ perché mi sono facilmente identificata. L’americana strana che viene messa sotto osservazione, l’attenzione dei media, e in quel caso anche delle istituzioni, nei confronti delle tue scelte private: mi ha fatto pensare spesso alla mia vita. Ma soprattutto perché da più di cinquant’anni si ripete che Edward rinunciò al trono per Wallis, mentre io mi sono sempre chiesta a che cosa abbia rinunciato lei e volevo riproporre la storia dal mio punto di vista».
Wallis sposò Edward a 40 anni e non ebbero figli.
«Io credo che per Wallis la mancanza di un figlio sia stata motivo di enorme dolore. Era rimasta incinta da giovane, perse il bambino e le cure un po’ approssimative seguite a quell’aborto spontaneo le impedirono per sempre di avere altre gravidanze. Perdere un figlio, anche nei primi mesi, è un lutto terribile per ogni donna, un lutto che la nostra società tende a sottovalutare. Sono vicende che nascondiamo come polvere sotto i tappeti, non ci piace affrontarle».
Ma lei che ne pensa?
«È giusto che ognuno abbia la possibilità di fare quello che desidera, ma non è mai una scelta facile. Il mondo in cui viviamo è malato di ansia da prestazione, un’oppressione folle che riguarda uomini e donne. Ma soprattutto le donne. Così, ci sono quelle che, rinunciando alla carriera per i figli, si sentono fallite perché non lavorano e altre che, rinunciando ai figli per fare carriera, si sentono ugualmente fallite perché non complete.
Non ci sono risposte sicure su questo, ci sono solo contraddizioni, compromessi e sacrifici per tutte».
Nel capitolo ansie da prestazione, per le donne, c’è anche la bellezza. Wallis non era bella.
«Una volta qualcuno la definì attraente e lei fece notare che quello era solo un modo educato per dire che, pur non essendo bella, riusciva ad apparire al meglio, grazie al suo senso dello stile e alla sicurezza di sé».
E lei, Madonna, che dice?
«Dico che, a quest’età, ho capito che non c’è bisogno di essere Gisele Bündchen per trovare l’amore di un uomo».
L'intervista completa su Vanity Fair in edicola dal 4 gennaio




