Nel bel sorriso di Audrey Tautou non c’è rivalità con le colleghe francesi sempre più richieste sugli schermi americani. «E’ bello per tutte che Marion Cotillard vinca un Oscar, Mélanie Laurent sia presente in un film d’autore come Beginners, Cécile de France reciti diretta da Eastwood, Charlotte Gainsbourg faccia il giro del mondo…». Per la platea Usa, la trentatreenne Audrey è sempre la dolce Amélie. Ora sta lanciando negli Stati Uniti Delicacy, un altro film francese, prima del festival di Cannes dove in chiusura si vedrà Thérèse D, ultima regia di Claude Miller. «Sono fiera di appartenere all’industria del cinema del mio Paese e, anche se fu una bella esperienza girare Il Codice da Vinci, non mi interessa lasciare Parigi per una avventura hollywoodiana». È stata un po’ la pioniera della rinascita del cinema francese nel mondo. E se un anno fa disse che poteva lasciare il set «perché non soddisfa la mia fame per scoperte pittoriche, letterarie, umanistiche » oggi spiega: «Ogni volta che leggo un bel copione e incontro ingegni come Alain Resnais, Cédric Klapisch, Anne Fontaine, Stephen Frears, naturalmente Jeunet e Miller, mi ritornano slanci, passioni e orgoglio per ciò che possiamo dare alle platee. Sono felice di poter ricordare a un pubblico internazionale come quello di Cannes l’amore per tutto il cinema che Claude Miller ha coltivato per l’intera sua vita». Portavoce del «French Touch» anche per il suo lavoro come volto della Maison e di un profumo Chanel (tanto che è stata soprannominata «la femme N˚5»), tra le più pagate nel suo Paese, Audrey ha lasciato gli studi di Lettere Moderne per la recitazione. Ride dicendo: «Mi sento sempre una turista in America, perché il mio ego è in Francia». Molto riservata, a lungo è stata legata al musicista francese di origini libanesi Matthieu Chedid. Perché ha scelto Delicacy? «Mi piace la mia parigina Nathalie, che resta vedova e sprofonda nella solitudine, ma poi ritrova l’amore per un uomo che tutti giudicano non alla sua altezza. È un film contro ogni pregiudizio». Ora l’aspetta Cannes e qui incontrerà Michel Gondry, che alla Quinzaine presenterà un suo film e che la dirigerà prossimamente. La storia diretta da Miller è tratta da un romanzo di François Mauriac. «Nella Francia del 1920 sono Thérèse Desqueyroux, sposata a un uomo ricco e dal forte carattere. Dopo i nostri primi anni insieme, sogno di lasciare la mediocrità della provincia in cui con lui vivo in una ricca tenuta e di andarmene a Parigi, ma la morte per avvelenamento da arsenico dell’uomo che mi aveva delusa mi vede coinvolta in un processo per omicidio. È un thriller denso di atmosfere e caratteri umani che condensa tutto il cinema anche “noir” di Miller». Racconta invece che Gondry le ha mandato un filmino d’animazione su di lei. «Così mi ha convinto ad accettare il suo prossimo film, L’écume des jours da un romanzo di Boris Vian. Sarò una pattinatrice sul ghiaccio e per questo ruolo mi sto allenando. Il libro fu pubblicato nel 1947 e in esso ci sono l’amore, la morte, il jazz, il reale e l’irreale, la malattia». Ha rifiutato importanti offerte da Hollywood, eppure la francese Audrey confessa di chiamarsi così in omaggio all’attrice di Colazione da Tiffany, uno dei miti indimenticabili del cinema Usa. «I miei genitori amavano la grazia di Audrey Hepburn, l’impegno sociale, la scelta dei film. Per loro era un augurio chiamarmi così». Il successo internazionale non le ha cambiato la vita. «E sono riuscita, sfuggendo al cinema, a recitare in teatro a Parigi Casa di bambola di Henrik Ibsen, esperienza entusiasmante anche perché ritrovavo i miei tempi, le letture e la capacità di stare con me stessa e di non sentirmi mai una star. Cosa chemai voglio e vorrò essere ».