Achille Saletti
La rinuncia al tour mondiale di Sinead O’Connor, a mio modo di vedere, ci dà una grande lezione. La cantante non solo prende atto della propria fragilità ma lo fa pubblicamente non nascondendosi dietro quei comunicati ufficiali che tutto dicono e nulla lasciano intendere tipico di certi vip nostrani.
Ma il punto non è tanto questo: il punto è nel coraggio di affrontare la vita a partire dal proprio dolore. E di non vergognarsene, al contrario, di renderlo pubblico, di condividerlo.
Il punto è in una inversione pedagogica che, come scrivevano qualche anno or sono due psicoterapeuti francesi (Miguel Banasajag e Gerard Schmit) ci faccia recuperare il senso dell’educare non costruendo sulla pelle dei nostri bambini il culto della fortificazione. Abbandoniamo l’idea di costruire personalità strutturate e fortificate che affrontino la vita quasi la vita fosse una guerra. Dove ogni fragilità, rinuncia, immobilità (ma anche diversità) viene letta con grave colpa e come fallimento esistenziale.
La mistica di un’educazione fortificata ci rende militanti dell’omologazione, della sudditanza al pensiero dominante e quindi proni a ciò che altri ci dicono essere un bene per noi. E siccome, in questo periodo storico, il bene si identifica con il primeggiare (e mai come questi tempi il primeggiare coincide con l’apparire sociale o mediatico) , il rifiuto di tale logica è letta in termini di sconfitta.
Il “preferirei di no” di melvilliana memoria (I would prefere not to) dovrebbe quindi, sempre a mio giudizio, assumere una valenza educativa, non letta come rinuncia alla vita ma, piuttosto, piena immersione nella vita, nella nostra vita e non in quella che altri desiderano per noi.
Se così accadesse potremmo dare maggiore importanza all’ascolto dell’altro, alle sue ragioni, alle scelte di vita. E vincere, vincere nella propria vita assumerebbe una dimensione più intima, una maggiore corrispondenza tra la lettura dei nostri veri desideri e le nostre reali possibilità. Senza armature che ci facciano piacere agli altri più di quanto noi piacciamo a noi stessi.