Nudo in tv? Anche in America si può


La Corte Suprema di Washington inaugura con una sentenza su parolacce e nudità in tv dieci giorni che promettono di lasciare il segno nella vita pubblica degli Stati Uniti. Il verdetto ha respinto la richiesta di una multa di 1,24 milioni di dollari da parte della «Federal Communications Commission», l’Ente federale delle comunicazioni, nei confronti delle tv Fox, Nbc e Abc per violazione dei regolamenti sul pubblico pudore. In particolare le penalità per le frasi oscene riguardavano quanto detto dalla cantante Cher e da Nichole Richie durante i Billboard Music Awards del 2002 e 2003, trasmessi da Fox, come da Bono degli U2 in occasione della premiazione dei Golden Globes in onda sulla Nbc nel 2002. La nudità illegale era stata invece riscontrata per la trasmissione da parte della tv Abc di una puntata del serial «NYPD Blue», sulla polizia di New York, nel quale si vedono con chiarezza e per alcuni secondi i glutei di un’attrice in una scena ritrasmessa negli ultimi anni in più occasioni da 45 emittenti locali affiliate.
La «Fcc» aveva deciso di usare il pugno di ferro contro tali violazioni all’indomani del Super Bowl del 2004, quando la cantante Janet Jackson aveva scoperto all’improvviso un seno durante il concerto di metà partita, sollevando le proteste dell’opinione pubblica nei mesi seguenti. Ma a oltre otto anni di distanza l’umore su questi temi in America è mutato e la Corte Suprema ne trae le conseguenze con una sentenza redatta dal giudice Anthony Kennedy e approvata all’unanimità grazie al consenso di tutti gli otto togati presenti, ma in assenza di Sonya Sotomayor che si era ricusata dal caso.
La tesi di Kennedy è che grandi network nazionali e emittenti locali «non potevano sapere di violare le norme» in quanto «troppo vaghe», oltre al fatto che l’Ente per le comunicazioni «aveva mancato in precedenza di informare in proposito». In sostanza ciò significa contestare la formulazione degli attuali regolamenti, suggerendone la rielaborazione alla luce dell’avvenuta modifica del senso comune del pudore.
Il giudce Ruth Bader Ginsburg, portabandiera dei valori liberal nella Corte Suprema, avrebbe in realtà voluto andare più in là, definendo tali norme incostituzionali e richiamandosi alla libertà di espressione, dunque sfruttando il caso per rivedere giuridicamente i criteri della «pubblica indecenza» che risalgono a sentenze emesse negli Anni 60 e 70. Ma tale strada avrebbe portato allo scontro con i conservatori e la mediazione di Kennedy è servita a scongiurarla.
In questa maniera Kennedy, che fu nominato dal repubblicano Ronald Reagan nel 1988 ma ha spesso sostenuto tesi care ai democratici, si è confermato come il tassello decisivo della Corte Suprema. Adesso l’America guarda a lui in vista degli altri due verdetti attesi entro la fine del mese: sulla costituzionalità della legge anti-clandestini dell’Arizona e della riforma della Sanità approvata dal Congresso nel 2010. In entrambi i casi si tratta di temi al centro della campagna elettorale perché vedono sulle opposte barricate il presidente Barack Obama e lo sfidante repubblicano Mitt Romney, alla guida dei rispettivi schieramenti che spaccano la nazione fomentando continue proteste pubbliche. Proprio il giudice Bader Ginsburg ha spiegato il ritardo del verdetto sulla riforma della Sanità di Obama con il fatto che la Corte Suprema in materia «è molto divisa», lasciando intendere che su questo argomento la mediazione di Kennedy si annuncia assai più difficile.