Il 23 luglio 2011 la cantante veniva trovata senza vita nella sua casa di Londra. Aveva 27 anni. A distanza di un anno il produttore del suo disco di maggior successo, Back to Black, si rimprovera di non aver capito in tempo il dolore di quel disco
«Ancora oggi, quando entro in un locale e sento una canzone di Amy, mi paralizzo, la mia mente mi isola da tutto, ed è come se fossimo io e lei, di nuovo». A parlare è Mark Ronson, che per Amy Winehouse era stato tante cose: l’amico, il produttore, l’uomo che l’aveva aiutata a raggiungere la perfezione con Back To Black. Ancora oggi, a un anno dalla sua scomparsa (Amy è morta il 23 luglio 2011, per un'intossicazione da alcol), la rocker è un pensiero fisso per lui. «Mi manca, penso spesso a lei, e non è difficile, la sua musica è dappertutto», racconta Ronson, uno dei produttori e dj più importanti al mondo.
«Quando lavoravamo al disco, non mi ero reso conto di quanto fossero dolorose le parole delle sue canzoni», dice, «io pensavo soltanto a fare al meglio il mio lavoro, aiutare Amy a trovare il suo suono. Ma per lei, quella era sofferenza vera, e doveva viverci tutto il tempo con quel dolore».
Mitch Winehouse, il padre (e ora anche biografo) di Amy, ha annunciato che c’è abbastanza materiale da pubblicare uno o forse due dischi postumi (dopo Lioness: Hidden Treasures, uscito a dicembre). La cosa non stupisce Ronson: «Era così sveglia, così brillante, non riusciva mai a suonare le stesse canzoni troppo a lungo».