Meryl per sempre

Arrivata al terzo Oscar, la Streep in "Hope Springs" dimostra che dopo 30 anni un matrimonio può essere giovane: in fondo, il suo è così
Meryl Streep ha una gran voglia di parlare del suo nuovo film, la commedia romantica "per la terza età" Hope Springs, diretta da David Frankel, in cui recita accanto a Tommy Lee Jones: sono due coniugi in pensione, che cercano di rinverdire il loro amore anche grazie all'intervento di un terapista di coppia (Steve Carell).
"È l'occasione per parlare intimamente di cose importanti, comuni a tutti, che però si vedono raramente al cinema per (e su) gente della nostra età", dice l'attrice, a 63 anni ancora bella e in gran forma. "Hope Springs è il nostro Blue Valentine", aggiunge ridendo, riferendosi al recente film, sentimentale e di sesso, con Ryan Gosling e Michelle Williams. Una generazione diversa, certo, ma con problemi non dissimili da quelli di genitori e nonni: coppie e amori di lunga durata.
La Streep ne sa qualcosa, da 34 anni è sposata con lo scultore Don Gummer, con cui ha avuto 4 figli (tre femmine e un maschio, oggi ampiamente adulti). Tre volte premio Oscar (l'ultimo a febbraio per The Iron Lady), la Streep è la monogama per eccellenza tra le star di oggi. Mary Louise Streep ha iniziato coi musical scolastici e studiando canto: la musica è stata la sua prima passione.
Debutta in teatro nel Vermont, passa alla School of Drama dell'Università di Yale, diventa attrice (con impiego fisso), al New York Shakespeare Festival di Joseph Papp. Nel '77-78 debutta sul video in The Deadliest Season e nella miniserie Olocausto, al cinema in Julia e Il cacciatore.
L'anno dopo vince il primo Oscar, accanto a Dustin Hoffman, in Kramer contro Kramer, statuetta che raddoppia nell'82 grazie a La scelta di Sophie. Nessuno, nella storia del cinema ha avuto tante nominations come lei (17): a 12 c'è Jack Nicholson.
D: Meryl, è vero che ha voluto recitare in Hope Springs anche per via di Tommy Lee Jones?
R: Verissimo. Tommy Lee e io ci conosciamo da una vita, da quando, agli inizi, abbiamo recitato entrambi al Public Theatre di New York. Era bravissimo, me lo ricordo in una piece di Sam Shepard. E dopo tutti questi anni, Hope Springs è il primo film in cui finalmente ci hanno proposto di lavorare insieme: un'occasione davvero da non perdere. E poi nessuno come lui sa fare il marito bisbetico e scocciato ma dal cuore d'oro! Anche Tommy era entusiasta, in genere non gli offrono parti del genere. In un certo senso, poi, il film appartiene più a lui: è il suo personaggio che cambia. Io lo istigo, lo animo col mio amore, il mio desiderio, ma è lui che farà il viaggio.
D: C'è molta terapia in questo film, lei pensa che possa davvero aiutare una coppia?
R: È una cosa del tutto individuale. Ho visto gente aiutata e altri per cui la terapia ha fallito. Ma non sono un'esperta.
D: In Hope Springs lei recita scene d'amore esplicite: non la imbarazza alla sua età?
R: Non mi fanno nè caldo nè freddo, e proprio per la mia età! (scoppia a ridere, ndr). Una scena è una scena, d'amore o altro non fa differenza. L'importante è che sia onesta.
D: Cosa la rende ancora nervosa, allora, quando recita? 
R: Le uniche volte in cui mi sento nervosa è quando devo fare un discorso, in pubblico, nei panni di me stessa. Per esempio la notte degli Oscar. Non mi chiedete di salire sul podio e... essere me stessa. Posso far comizi nei panni di Margareth Thatcher, non nei miei. È così da quand'ero ragazzina. Non solo la recitazione mi piaceva, ma qualsiasi forma di spettacolo, sono stata una cheerleader nonostante avessi l'apparecchio per i denti e gli occhiali. Insomma, non proprio una Jane Mansfield.
D: È stato facile per lei farsi largo nel cinema?
R: Mi ha aiutato la mia esperienza teatrale. Robert Benton, il regista di Kramer vs. Kramer, mi aveva vista in una messa in scena di Memoria di due lunedì di Arthur Miller, a Broadway, e nella miniserie Olocausto. Il provino con Dustin Hoffman fu comico: ci conoscevamo e temevamo di smascherarci a vicenda. Un'attrice alle prime armi, com'ero io, si sente sempre un po' impostora. Dopo il successo di quel film vennero Manhattan e La scelta di Sophie. Grandi successi. Ma c'era sempre qualcosa che non andava: non ero abbastanza bella, avevo il naso lungo, la faccia spigolosa, mi criticavano per la tendenza a recitare personaggi non americani, dunque con accenti stranieri... O perché ero troppo brava! Dopo Silkwood ('83) non ho più subito la tortura dei provini. È un gran sollievo, il lusso dell'attrice affermata.
D: Presto la vedremo in August: Osage County, accanto a Julia Roberts e Juliette Lewis. Ce ne parla?
R: Faccio una donna che fuma come una turca, è farmaco- dipendente e ammalata di cancro alla bocca. Il film è ambientato in una casa in Oklahoma, con tutte le persiane abbassate, avvolta perennemente nell'ombra. È tratto da una piece teatrale, molto intensa, di Tracy Letts, e ha richiesto il massimo di partecipazione a noi attori. Ma nonostante tutta la sua angoscia, ibseniana direi, ha un qualcosa di vitale. Finisce per essere un inno alla vita.
D: Si parla spesso di un seguito di Il diavolo veste Prada. Ma, si farà mai? E lei ci sarà?
R: Il solo pensiero mi sfianca! Per recitare di nuovo quella diabolica Miranda Pristley dovrei mettermi di nuovo a dieta e fare molti esercizi fisici. Già l'idea mi trasmette un senso di spossatezza. In realtà, forse lo faremo, ma preferisco non pensarci troppo! È più facile interpretare una vecchia con l'Alzheimer, se proprio ci tiene a saperlo.
D: Lei è l'eccezione vivente della regola che a Hollywood non ci sono buoni ruoli per attrici di una certa età...
R: Non ci sono perché li danno tutte a me! (di nuovo scoppia a ridere di gusto, ndr). Scherzi a parte, oggi ci sono più donne registe o sceneggiatrici, come Vanessa Taylor, l'autrice di Hope Springs, e più ruoli tv interessanti: le cose stanno cambiando, e non solo per me! Poi la fortuna aiuta. Alla mia longevità artistica contribuisce il fatto di non fare la snob, di accettare un po' di tutto, di esser sempre disposta a cambiare genere o stili. In un mondo, come quello cinematografico, in piena evoluzione, tra le forze del mercato in campo oggi figurano anche le donne, che capiscono quanto le storie di altre donne, qualsiasi età esse abbiano, possono attrarre il grande pubblico. E anche quanto meritano di venire raccontate.
D: Tornando un attimo a Hope Springs, cosa rende un matrimonio duraturo?
R: Come dice il film, tutto dipende da quanta voglia si ha di vivere. E quanta voglia si ha di affrontare tutti i problemi che vengono con l'esistenza, anche quotidiana. Specie accanto a una persona con cui vivi da trent'anni. Ignorare il fatto che esistano problemi è il pericolo principale per ogni coppia. Non esiste relazione facile, che non necessiti un costante lavoro. Ma se c'è affinità tra i coniugi, come trent'anni di convivenza dovrebbero garantire, e c'è ancora un po' di joie de vivre, tutto si supera.
D: Ma c'è un segreto specifico, particolare, della longevità del suo matrimonio con Don?
R: Che è un tipo di poche parole. La chiacchera la faccio tutta io. Lui ascolta e incassa. E mi ama così come sono: iperattiva e smaniosa, ancora alla mia età. Lui è un artista, introverso e introspettivo. Io una finta artista, una maschera. Lui è scultore di materia, io di espressioni. Ovvero, una strana coppia a suo modo perfetta.
D: C'è qualcosa in cui ora spera?
R: Nipotini! Mia figlia Mamie è sposata con un simpaticissimo ragazzo (l'attore Benjamin Walker, ndr) e ho speranze che accada qualcosa! E sono sempre in ansiosa attesa del prossimo momento che mi aspetta. Qualcuno ha detto che il segreto della vita è godersi il passaggio del tempo e aiutare gli altri, farli felici, esserci. Ci credo fermamente. E poi sto bene, a parte le ginocchia. Le ginocchia sono un problema, ma il resto è sano!